Il nuovo rettore e i destini incrociati tra Università e territorio

Il nuovo rettore e i destini incrociati tra Università e territorio
di Claudio SCAMARDELLA
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Domenica 16 Giugno 2019, 08:20 - Ultimo aggiornamento: 30 Gennaio, 21:27

Il destino del Sud della Puglia dipenderà, nel prossimo decennio, da ciò che l’Università del Salento riuscirà o non riuscirà a essere. Perciò l’elezione a luglio del nuovo Rettore, che reggerà le sorti dell’Ateneo per sei anni, sarà un passaggio decisivo. Una ragione in più perché diventi centrale nell’agenda del dibattito pubblico, esca dal chiuso delle aule universitarie e coinvolga non solo i docenti, gli studenti e il personale amministrativo.

Una ragione in più perché l’appuntamento venga sottratto a chi intende trasformarlo nell’ennesima battaglia per la conquista di un’altra “casamatta” nello scacchiere del potere locale e regionale, con registi e burattinai che si muovono dietro le quinte. Si tratta di una partita troppo importante e con troppi risvolti per essere trattata al pari dell’elezione di un sindaco, di un Consiglio comunale e della scelta di un assessore alla cultura. O per assecondare spiriti di revanche e di vendette personali.

L’Università non è solo il più importante presidio culturale e una delle aziende del territorio con il maggior numero di occupati, è anche il principale “strumento di interazione e di connessione tra sistema locale e sistema globale”, è l’asset decisivo per vincere la marginalità non solo geografica, ma economica e sociale di questa terra.

Di più: è la chiave di volta per cambiare la direzione di quei tre processi in corso che, se non troveranno in questi anni robusti ed efficaci antidoti, segneranno una prospettiva di desertificazione e uno scenario di insostenibilità del territorio: il forte decremento demografico, l’accentuato invecchiamento della popolazione, l’inarrestabile fuga dei giovani verso luoghi più promettenti e verso terre con più opportunità. È soprattutto l’Università, infatti, che può attirare nuovo capitale umano e di qualità sui territori per renderli sostenibili, sterilizzando il primo e secondo processo, e invertendo il terzo, come dimostrano molte città d’Europa e del Nord che hanno affrontato già da tempo questa sfida. Non è un caso che da molti anni tutti gli studi sul futuro delle città, grandi e piccole, italiane ed europee, portino a conclusioni univoche.

Per essere attrattivi e avere forza propulsiva di sviluppo, i territori devono vincere tre sfide: essere sedi di poli di conoscenza, ricerca e innovazione, connessi attraverso le reti, materiali e immateriali, con tutto il mondo; avere un’alta dotazione di capitale umano qualificato; offrire servizi di grande qualità e dai costi altamente competitivi. Da qui bisogna partire e riconoscere che Lecce, il Salento, il Sud della Puglia, tutta la Puglia e l’intero Mezzogiorno presentano un deficit attualmente enorme su tutti e tre i fronti. Da qui bisogna partire per tenere a debita distanza la pericolosa “retorica delle eccellenze” che i governanti di turno tendono maldestramente a diffondere. I dati sono dati, non opinioni. Nel 1950, qualche anno prima della nascita dell’Università di Lecce, i giovani meridionali sotto i trent’anni erano più di dieci milioni.

Oggi sono poco più di sei milioni, e a metà di questo secolo - come emerge da tutti i rapporti degli istituti di statistica - scenderanno sotto i quattro milioni. Inoltre, la massiccia emigrazione giovanile dal Sud verso i poli metropolitani del Centro e del Nord non conosce tregua. Nell’ultimo anno, gli studenti meridionali iscritti nelle università del Centro-Nord sono stati 172mila, rarissimi i casi di un ritorno alla propria terra. Anzi, i nostri laureati al Nord vengono raggiunti da circa il 70% dei laureati negli Atenei meridionali, i quali una volta ottenuto il titolo emigrano per trovare lavoro. Il peggior saldo negativo spetta alla Puglia, con una perdita netta, nell’ultimo anno, pari ad oltre 35mila studenti. A livello provinciale, invece, il primato spetta alla provincia di Lecce: sono più di 11mila i salentini che studiano negli Atenei delle regioni centro-settentrionali.

Decremento demografico e desertificazione intellettuale: per definire questo duplice processo, sociologi e demografi hanno coniato il brutto neologismo “degiovanimento” del Sud. All’orizzonte, nemmeno troppo lontano, uno scenario da brividi: il rapporto tra popolazione (potenzialmente) attiva e (sicuramente) passiva potrà raggiungere, già intorno al 2035, la parità. Se a tutto questo, aggiungiamo i selvaggi processi di autonomia differenziata e di federalismo fiscale spinto, che il leghismo dilagante vuole imporre, il risultato è inevitabile: la consunzione del territorio per la propria insostenibilità. Tre attori, più di tutti, possono affrontare e invertire questo destino segnato. L’Università, innanzitutto.

Nel suo complesso e in tutte le sue articolazioni, non solo il nuovo Rettore. Va bene la giusta lamentazione per i pesanti tagli che tutti i governi da venti anni a questa parte hanno operato nel settore dell’istruzione, con effetti disastrosi al Sud. E passi anche la “retorica delle eccellenze”, senza però esagerare perché le “eccellenze” spesso emergono dove c’è il deserto intorno, e senza mai dimenticare che i risultati di “eccellenza” sono tutt’altro che appannaggio di una sola branca, come spesso si vuole far credere. Ma il “rivedicazionismo” non può bastare. Il mondo dell’Università deve avere il coraggio di fare i conti con se stesso senza infingimenti, senza ipocrisie e senza alibi. Stemperata la stagione dei veleni interni, sperando che non ritorni sotto mentite spoglie e sotto le mai sopite intenzioni di vendetta, e superata la difficile, quanto necessaria fase del “primum vivere”, è il momento della visione e del progetto. Il diplomificio e la funzione dell’Università come erogatrice di titoli non avrà un grande e luminoso avvenire.

Può far conseguire qualche taglio in meno ai finanziamenti, grazie al temporaneo quanto illusorio incremento degli iscritti. Ma la scelta vincente, da un lato, è puntare sui poli di conoscenza, ricerca e innovazione, anche con una spiccata caratterizzazione territoriale, che esalti e valorizzi la singolare posizione geografica del Salento sia come “terra di frontiera” sia come “terra di mezzo”. Dall’altro, rilanciare istituti di alta specializzazione, a forte attrazione nazionale e internazionale. E qui la governance dell’Università ha un ruolo decisivo: c’è bisogno di scelte nette, anche dolorose, sicuramente impopolari. C’è bisogno di sforzi e sacrifici, senza sconti e senza zone grigie, prosciugando le sacche di improduttività e avendo il coraggio di mettere finalmente in discussione posizioni acquisite e privilegi. Molto è stato fatto in questi anni. Ora occorre accelerare, abbandonando visioni pulviscolari e gestioni dorotee finalizzate, attraverso le reti compromissorie, solo al consenso. Rigore e perseveranza nel combattere persistenti situazioni di spreco e inefficienze, nel tagliare rami secchi e duplicazioni di cattedre, create magari solo per “piazzare” fedelissimi dei baroni o amici degli amici. Rigore e coerenza nell’ammettere e finanziare progetti di ricerca, che non di rado si rivelano solo dei contenitori di spesa privi di contenuti. Rigore e persuasione per trattenere i cervelli. Mai più lasciar partire docenti e intelligenze che stanno facendo le fortune degli Atenei del Nord, e salutarli come una “liberazione” quasi fossero un peso e un tappo qui per chi vuol restare nella mediocrità. Bisogna sostenere, non fare il vuoto intorno a chi, con le proprie competenze e le proprie ricerche accreditate, dialoga con il mondo. E valorizzare, non deprimere quanti - e sono tanti - fanno molto di più del proprio dovere, mentre vedono magari premiato chi urla o ricatta di più. Si tratta, insomma, di dire molti no e pochi sì.

Schiena dritta, autonomia e indipendenza. Altrimenti, il nuovo Rettore non sarà altro che un modesto curatore fallimentare. Il secondo attore è la politica locale. I piani urbanistici generale di Lecce e della cintura di comuni intorno al capoluogo vanno dimensionati - come sta avvenendo nelle grandi capitali europee e nelle grandi città italiane del Nord - con un preciso e imprescindibile obiettivo: l’attrazione di nuovo capitale umano. Ciò significa mettere in campo politiche urbanistiche capaci di attirare investimenti privati per creare servizi di qualità a costi competitivi. Restare o venire a studiare nel Salento deve convenire sia per l’offerta formativa, sia per l’offerta della vasta gamma di servizi da garantire a un giovane studente e, successivamente, a un giovane laureato e, perché no?, a una giovane coppia.

È necessario prevedere, ad esempio, fortissimi incentivi e eccezionali agevolazioni - non esclusa la gratuità in un periodo determinato - per gli alloggi, per il vitto, ma anche per il tempo di vita e per il tempo libero. È quanto stanno progettando a Londra, Stoccolma, Berlino, Milano, ma anche in sedi universitarie europee e italiane più piccole. Così si costruisce una città a misura di giovani, così si dà una prospettiva di vita al territorio, così diventa attrattiva una “scelta di vita” nel Salento. Non crogiolandosi nella stantìa identità territoriale, fatta di sole, mare e vento, con una spruzzatina di pizzica e taranta, o continuando a coltivare e a diffondere la pericolosissima illusione di uno sviluppo (?) monosettoriale, esposto ai venti delle congiunture e delle mode passeggere. A meno che non si voglia fare di questa terra solo il buen retiro di chi ha un’età avanzata e insegue un idilliaco otium per gli ultimi anni della propria vita. Sarebbe l’ultima, aberrante scelta egoistica delle generazioni adulte verso le nuove generazioni, dopo averle già private di molte dosi di futuro su questo territorio.

Terzo attore, ma non certo per ordine di importanza, il settore privato. Le banche del territorio, le imprese innovative e quelle tradizionali di successo devono trovare un modo sinergico per aiutare concretamente e finanziariamente l’Università del Salento. Sponsorizzare qualche evento non basta più, finanziare di tanto in tanto qualche iniziativa o qualche isolato progetto di ricerca, in cambio di un po’ di visibilità, è ormai insufficiente. C’è bisogno di uno sforzo straordinario per far fronte alle politiche nazionali sempre più punitive verso gli Atenei del Sud. E sia chiaro: aiutare non tanto per filantropia, ma per convenienza o, meglio, per la evidente coincidenza tra l’interesse particolare e l’interesse generale: la desertificazione e il “degiovanimento” del territorio, in fondo, sono prospettive letali per tutti, ma ancora prima per le imprese e gli istituti di credito del territorio. La forza di molti Atenei del Nord si basa, oltre che sui finanziamenti statali, sul forte sostegno del settore privato. Sappiamo bene che la collocazione geografica non è una variabile indipendente.

Se il Pil del Sud è fermo al 24% di quello nazionale, la capacità di attrarre risorse alternative è notevolmente ridotta per un’Università del Sud rispetto ad una del Nord.

Ma è il momento di osare e di compiere scelte forti e coraggiose per la sopravvivenza stessa di questa terra. Il settore privato deve capire che ogni euro investito per sostenere l’Università del territorio è un investimento sul proprio futuro. Se non ora, quando? Si tratta di una sfida per tutti, una sfida da brividi per ciò che è rimasto delle classi dirigenti del Salento. E vale la pena concentrarci tutti, a cominciare dal mondo della cultura e dell’intellettualità, per vincerla. Molto più che concentrarsi e disquisire sulla presenza di Belen e Stefano Di Martino nel backstage della Notte della Taranta.

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