Il federalismo e le assenze dei parlamentari meridionali

Il federalismo e le assenze dei parlamentari meridionali
di Gianfranco VIESTI
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Mercoledì 8 Novembre 2017, 23:10
Nel nostro paese è in corso una lotta, piuttosto aspra, per la ripartizione territoriale delle risorse pubbliche; la suddivisione fra regioni e enti locali di fondi nazionali (sanità), e della spesa pubblica - operata dai ministeri o da soggetti come Inps o Anas - che ricade all’interno di ciascun territorio: istruzione, welfare, pensioni, investimenti pubblici.
È iniziata con la fine della Prima Repubblica, e con le prime misure di riequilibrio dei conti pubblici.
E con l’azione politica della Lega Nord, che ha rivendicato (e rivendica) condizioni di maggior favore per i territori in cui essa è insediata. È colpa gravissima, storica, delle classi dirigenti del paese, e in particolare delle regioni settentrionali, quella di avallato questo genere di contrapposizione territoriale. Queste tensioni si sono rafforzate con il maggior decentramento: le Regioni sono emerse come soggetti che richiedono maggiori risorse per i propri bilanci. Poi con la crisi economica, il peggioramento delle condizioni dei cittadini e le nuove misure di austerità dal 2011 in poi: con meno risorse per tutti cresce l’importanza di ritagliarsi una fetta più grande. Recentemente, sono venute esplicitamente alla luce con i referendum: formalmente sulle competenze, ma sostanzialmente sulle risorse. È un processo che non nasce oggi, quindi. E che segnerà ancora a lungo le vicende politiche ed economiche dell’Italia.
Per gestire questi conflitti, si è cercato, opportunamente, di abbandonare la “spesa storica”, per cui ciascuno riceve quanto in passato, e di affidarsi a nuove misure. Si è partiti con la sanità, in cui ormai da molti anni le risorse sono allocate sulla base di “criteri di riparto”; poi il processo ha toccato altri comparti, fra cui quello dell’istruzione universitaria. Con la legge sul federalismo fiscale si sono estesi questi principi ad altre materie.
Il bilancio che ad oggi si può fare di questo processo è molto negativo. Si è riusciti a trovare intese sui principi; ma i problemi sono nati, e ci sono oggi, quando da essi si è passati agli indicatori concreti e quindi alle risorse finanziarie. Questi processi sono assai oscuri. Certo, si tratta di calcoli complessi, di indicatori tecnici. Ma si ha la netta impressione che ci sia un desiderio di tenere i dati, e quindi i risultati che ne conseguono, fuori dalla immediata comprensione dei cittadini. Sono rarissimi i casi in cui si riesce a mostrare ai cittadini italiani gli esiti concreti, per loro vite, per i loro diritti di cittadinanza, delle decisioni che vengono prese. Sono spesso necessari lavori di scavo dei documenti e dei dati.
Il potere sta in mano a chi controlla i dati: dirigenti ministeriali, strutture pubbliche ad hoc, tecnici che lavorano per le istanze, come la Conferenza Stato-Regioni, in cui queste scelte sono ratificate. Essi non hanno alcun interesse a rendere i processi maggiormente intellegibili e quindi a condividerlo. Molti fra loro sono convinti di essere depositari di un sapere tecnico oggettivo che va sottratto alle decisioni politiche. Ma ogni scelta tecnica che viene compiuta è spesso frutto delle convinzioni, o dei desideri, di questi decisori: che si presentano come tecnici super partes e invece sono spesso pienamente coinvolti. La politica controlla pochissimo; scelte assai importanti sono sostanzialmente sottratte al controllo parlamentare. Si tratta di un vulnus grave per la stessa vita democratica del Paese.
Spesso queste scelte penalizzano i cittadini del Mezzogiorno. Da sempre, per fare l’esempio più rilevante, per i fondi sanitari si tiene giustamente conto dell’anzianità della popolazione, ma non degli “indici di deprivazione”, cioè della presenza di cittadini più deboli, anche sotto il profilo della salute. Nell’ultimo decennio è stata messa in atto una politica di riduzione sistematica del sistema universitario del Sud, basata su indicatori “tecnici”, in realtà assai politici.
Questo è esito di più fattori. Non ci sono più partiti nazionali ad operare mediazioni. Vi è una forte determinazione delle regioni più ricche, specie in tempi di magra, ad appropriarsi di una quota maggiore delle risorse; piaccia o no, il leghismo ha culturalmente vinto: ormai molti lo ritengono giusto. È diffusa la convinzione che verso il Mezzogiorno arrivi un fiume di risorse pubbliche; l’idea, sostenuta anche autorevolmente, che esse vengano sistematicamente dissipate. Basta con gli sprechi dei nostri soldi al Sud.
Spesso questi territori hanno elevate capacità tecniche, per incidere sulla costruzione dei meccanismi di calcolo, e una notevole coesione politica, che va al di là degli schieramenti. Le controparti meridionali sono spesso assai carenti sotto il profilo tecnico. Ma soprattutto sono debolissime politicamente. I parlamentari meridionali della Commissione sul federalismo fiscale semplicemente non partecipano alle riunioni. Le regioni del Mezzogiorno spesso avallano decisioni che vanno chiaramente contro i propri interessi.
Difficile spiegare perché questo accada. Si possono fare alcune ipotesi, tutte ugualmente inquietanti: che la maggior parte dei politici meridionali tenda a farsi benvolere dai leader nazionali anche assumendo un basso profilo; che avalli queste scelte per riceverne compensazioni. È assai probabile che una parte non piccola dei politici meridionali sia poi assai più interessata a risorse finanziarie che essa può direttamente intermediare, e dirottare particolaristicamente verso singoli o gruppi che poi saranno riconoscenti a breve, quando serve, piuttosto che a meccanismi generali nei quali non è chiaro il loro merito e che hanno effetti nel lungo periodo. Non sarebbe una novità: da decenni al Sud sono più deboli che nel resto del paese le grandi politiche che avvantaggiano tutti i cittadini (l’istruzione) e più forti quelle che hanno beneficiari individuabili (pensioni di invalidità). Come che sia, il quadro appare fosco. Questi temi andrebbero finalmente presi sul serio, anche nel Mezzogiorno.
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