Il cambio di passo non c'è: il Mezzogiorno deve ancora aspettare

Il cambio di passo non c'è: il Mezzogiorno deve ancora aspettare
di Nando SANTONASTASO
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Mercoledì 17 Ottobre 2018, 18:50 - Ultimo aggiornamento: 18:58
C’è un problema di cambio di passo (che non c’è) nei confronti del Mezzogiorno. Un problema che rischia di riprodurre con il governo gialloverde, autodefinitosi «del cambiamento», uno schema caro a molti esecutivi che l’hanno preceduto senza lasciare alcun rimpianto. Nel senso che la cosiddetta centralità del Sud continua a rimanere uno slogan, accompagnato per carità dalle migliori intenzioni, ma non una priorità assoluta, incontrovertibile.

Tra il Reddito di cittadinanza e l’approvazione di norme meno complicate sul piano burocratico ma di forte impatto per la crescita economica di queste aree, come la riserva del 34% della spesa ordinaria dei ministeri al Mezzogiorno o il varo del decreto di semplificazione indispensabile a far decollare sul serio le Zes di Campania e Calabria, la distanza resta ancora enorme. Il Reddito è dentro la manovra e l’attuale maggioranza fa quadrato per difenderlo nonostante le tante perplessità suscitate; la riserva del 34% e il decreto per le Zes no, e probabilmente non tutti i parlamentari di Lega e 5 Stelle sanno di cosa parliamo.

Si dirà: un conto sono la legge di Bilancio e il decreto fiscale che riguardano comunque tutta l'Italia, un altro i provvedimenti destinati ad un'area in grave sofferenza nonostante i timidi segnali di ripresa degli ultimi anni. Ma il punto, al contrario, è proprio questo: misure come quelle citate non farebbero bene solo al Mezzogiorno ma all'intero Paese perché garantirebbero, com'è stato più volte scritto e dimostrato, ritorni economici, occupazionali e sociali decisivi anche per il Nord. Pensate solo a quanti cantieri si potrebbero aprire nel Meridione attraverso il 34% della spesa totale dei ministeri. E immaginate per i grandi investitori nazionali e internazionali quale attrazione a investire produrrebbe una Zona economica speciale in territori come la Campania e la Calabria che hanno fame di lavoro, sviluppo, qualità produttiva. I polacchi, per non citare i soliti cinesi, ci hanno costruito un tasso di crescita della loro economia da fare invidia.

Purtroppo siamo alle solite e nemmeno la riconosciuta disponibilità del ministro per il Sud, Barbara Lezzi, ad occuparsi di questi temi (ieri pomeriggio ne ha parlato in collegamento video con gli imprenditori dell'Unione industriali di Napoli nell'inedito scenario dell'azienda di eccellenza nell'abbigliamento Kiton di Arzano) riesce a cancellare questa sensazione. Il ministro aggiorna sostanzialmente i dossier di misure che la politica avrebbe dovuto mettere in cima all'elenco delle cose da fare anche perché non si tratta di novità dell'ultima ora o dall'iter sconosciuto. Lezzi conferma la volontà di estendere il 34% anche ai grandi players pubblici delle infrastrutture, come Anas e Ferrovie dello Stato. E aggiunge che se il Dpcm non arrivasse subito, si opterebbe per un fondo di perequazione nel quale confluirebbero tutte le risorse non spese dai ministeri per il Sud nei prossimi due anni e la cui destinazione resterebbe comunque vincolata. Ma cosa sarebbe successo se il governo avesse inserito la riserva di spesa sullo stesso piano del Reddito e della pensione di cittadinanza, mostrando anche politicamente quel cambiamento di passo che in tanti avevano immaginati? L'effetto, ne siamo sicuri, sarebbe stato di gran lunga più forte e convincente: si sarebbe finalmente scritta la parola fine all'inadempienza di tutti i governi di fronte ad una norma sancita dalla Costituzione che da sola, se applicata, avrebbe permesso al Sud di crescere ben oltre lo zero virgola qualcosa di questi ultimi tempi.

Stesso discorso per le Zes. Il decreto di semplificazione è la vera chiave di accesso: nel senso che si possono anche immaginare aziende locali e non pronte ad investire nei 5600 ettari della Zona speciale campana ma senza le norme che permetteranno loro di accelerare al massimo tutte le procedure autorizzative, doganali e burocratiche nessuna si farà mai veramente avanti. Il ministro parla di decreto entro fine anno e annuncia che attualmente il testo è all'esame del ministero del Tesoro. Ma ancora una volta l'impressione è che la valutazione politica complessiva su una tale, dirompente novità non sia così scontata e che comunque non sia una priorità di tutto il governo. Lezzi ribadisce che su questi fronti e su altri, come la decontribuzione totale per i futuri assunti nel Sud, il suo impegno continuerà ad essere quotidiano e non c'è alcun motivo per dubitarne. Ma il problema non è questo: sta a monte, nella visione del governo per il Mezzogiorno che continua a non essere chiara e di cui si continua a parlare pochissimo. Guarda caso, come a proposito della spinta delle Regioni del Nord ad accelerare la riforma per avere più competenze e dunque più risorse da spendere nei loro territori: Lezzi garantisce la sua attenzione anche su questo fronte, essendosi peraltro più volte pronunciata contro un disegno del genere. Ma volete scommettere che alla fine il cambiamento di passo lo farà proprio l'autonomia rafforzata in salsa veneta, lombarda ed emiliana sostenuta dalla Lega e dagli equilibri complicati di questo governo?
 
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