Una nuova creatività per i tempi che verranno

di Antonio ERRICO
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Domenica 31 Gennaio 2021, 16:11

Spesso ci si chiede, per diverse e ovvie o meno ovvie ragioni, quali saperi saranno necessari, essenziali, indispensabili, nei tempi che verranno, che cosa sarà richiesto o preteso dai contesti del sociale, dall’universo del lavoro, dalle condizioni che caratterizzano le relazioni interpersonali. Ci si chiede se basteranno gli apprendimenti che si è riusciti a conquistare fino ad un certo punto attraverso i territori della formazione che ciascuno avrà attraversato, o se ci sarà bisogno di una conoscenza sempre nuova e ulteriore, di una disponibilità costante a tendersi verso orizzonti che fanno intravedere nuove occasioni e possibilità di sapere, nuovi paesaggi di culture.

Spesso ci si chiede questo e ciascuno dà, anche solo a se stesso, delle risposte che alle volte, o spesso, in realtà diventano altre domande. Perché è complicato, è difficile, fare previsioni. I contesti sociali mutano rapidamente le loro configurazioni. Il lavoro si trasforma in continuazione e di conseguenza mutano le forme e gli strumenti con cui si realizza. Le relazioni interpersonali sono inevitabilmente condizionate da tutte le situazioni che coinvolgono ogni singola persona. I fatti che accadono, i fenomeni che si verificano esigono una molteplicità di interpretazioni.

Allora rispondersi alla domanda che riguarda i saperi che saranno essenziali domani l’altro o probabilmente anche domani, diventa pressoché impossibile o comunque oltremodo azzardato.
Per esempio: si può dire le lingue. Ma è una risposta troppo facile. Non basta. Bisogna chiedersi e rispondersi quali lingue, senza potersi permettere di dare per scontato che le lingue di oggi che diciamo dominanti e funzionali, restino dominanti e funzionali in un futuro anche prossimo.

Ci si potrebbe rispondere le conoscenze scientifiche, tecnologiche, e qualcuno addirittura potrebbe osare e sussurrare quelle umanistiche, comprese le lingue che inesattamente vengono definite morte ma che non lo sono per niente perché con le loro grammatiche offrono la possibilità di comprendere e interpretare il mondo che ci gira intorno. Poi qualcuno potrebbe osare ancora di più e ripetere, non sussurrando ma ad alta voce, che sarebbe anche ora di smetterla con l’arbitraria separazione di sapere umanistico e sapere scientifico, per il fatto che la conoscenza è tale quando rappresenta l’integrazione di elementi che hanno provenienze diverse.
Le risposte che si possono dare alla domanda sono talmente tante che alla fine del conto si ha l’impressione che una risposta non si sappia dare. Ma se proprio ci si volesse ostinare a trovarne una, forse si potrebbe far riferimento a quella conformazione della personalità e della conoscenza che viene definita con la denominazione di creatività.

Allora, quando sembra che si sia trovata la risposta, la situazione si fa ancora più complicata, perché ognuno ha una propria idea, e spesso anche più di una, di che cosa sia la creatività.

Anche in questo caso ogni idea può essere giusta a condizione che si spogli il concetto di creatività da ogni velo di romanticheria, di spontaneismo, che lo si affranchi da ogni pregiudiziale. La creatività non è esclusa da nessuna sfera del sapere.

Albert Einstein non fu meno creativo di Dino Campana e Dino Campana non lo fu meno di Albert Einstein.
Ciascuno ha una propria idea di che cosa sia creatività, dunque. Qualcuno per esempio ritiene che creatività significhi essere capaci di far agire le conoscenze che si hanno in modo da acquisirne altre che consentano di salvarsi la vita. Come Robinson Crusoe. Adattandosi a situazioni e luoghi sconosciuti, ricalibrando i propri tempi, confrontandosi con creature che hanno storie diverse. Ricominciando tutto daccapo quando i fatti che accadono impongono di ricominciare tutto daccapo. Forse creatività significa fare esperienza della riconversione, della rideterminazione, della riformulazione di conoscenze e della rigenerazione delle competenze. Forse significa essere capaci di mettere a soqquadro l’acquisito. Forse, per certi aspetti, il concetto di creatività si potrebbe associare a quello di cultura secondo la definizione che in “Auto da fé” propose Eugenio Montale: la cultura è quello “che rimane nell’uomo quando ha dimenticato tutto quello che ha appreso”. Per cui può ricominciare ad imparare tutto di nuovo. Con la stessa disponibilità, la stessa tensione, la stessa passione di quando ha imparato una volta.

Allora, forse domani l’altro oppure anche domani, servirà una creatività intesa come conoscenza aperta, disposta ad accogliere nuovi espressioni culturali, nuovi linguaggi, nuovi pensieri. Forse servirà una conoscenza che dia la possibilità di assumere molteplici prospettive, di ridisegnare gli spazi dell’esistenza, di cercare un diverso equilibrio per i suoi tempi. Soprattutto servirà un sapere che non rifiuti mai il nuovo che arriva, che non diffidi dei significati sconosciuti, che riesca a contemperare le storie che sono state e quelle che attraversano il presente con quelle che si immagina possano accadere. Forse servirà una conoscenza che sia capace non solo di andare oltre se stessa ma anche di rinunciare alle sue strutture per rifondarsi su strutture diverse.

Forse servirà l’esperienza di una creatività come avventura straordinaria nel proprio tempo, nella propria esistenza, protesa verso il futuro che si dispiega all’orizzonte.

Forse servirà questo. Forse servirà altro che adesso non si riesce nemmeno a immaginare.
 

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