È da Chernobyl in poi, da quando il fallout radioattivo è entrato sottopelle e nei polmoni di chi abitava in quell’area di 150mila chilometri quadrati, che l’Europa ha avuto a cuore i bimbi d’Ucraina più degli altri. Perché colpiti a tradimento, infausti nei loro destini. Un’infanzia più difficile che altrove, tra le più bersagliate al mondo. Non ce ne accorgiamo solo oggi, ora che la Russia vuol riprendersi a colpi di missili e bombe l’Ucraina, indipendente dal 1991 e con lo sguardo ad Occidente inseguendo il sogno Ue. Perché i bambini e i ragazzini ucraini non riescono a crescere come vorrebbero e dovrebbero. E il travaglio delle generazioni dei trentenni di oggi, in fondo, è iniziato quasi 40 anni fa. Era l’aprile del 1986 quando a Chernobyl, cento chilometri a nord di Kiev, scoppiava un reattore della centrale nucleare, con effetti devastanti per anni sulla salute (morti e ammalati di cancro alla tiroide e leucemia, in una conta mai risultata certa e ancora oggetto di disputa) e un eco-sistema che avrà bisogno fino a 30mila anni per tornare ad essere abitabile.
Oggi un’altra generazione di bambini ucraini è messa a rischio.
È un misto dolente di pianto e paura, affogato nell’orrore della guerra che non ha pietà dei bambini, distruggendo le loro case, le loro scuole, i loro ospedali. Sono quasi 8 milioni i più piccoli, in tutta l’Ucraina. Lo segnala l’Unicef, che con una martellante campagna di comunicazione mondiale invita a far presto, prestissimo per aiutare i bambini. Ed intanto chiede di fermare i combattimenti proprio per la grandissima quantità di bambini coinvolti. Altrimenti sarà un disastro nel disastro. Perché i figli dell’Ucraina, i figli innocenti della guerra di Putin, sono quelli che – ancora una volta – porteranno le cicatrici peggiori del conflitto, segnando intere generazioni, compromettendo un futuro che ancora una volta si annuncia privo di normalità. Esattamente come lo fu per i bimbi di Chernobyl.
Molti di quei bambini, sopravvissuti alle radiazioni, spesso senza più genitori, ora combattono. Tanti di loro, da piccoli, li abbiamo ospitati in Italia o curati in Europa. Li ribattezzammo “i bimbi di Chernobyl”, piccoli come i nostri bambini ma mille volte più vulnerabili. Oggi sono uomini e donne pronti al sacrificio per il loro Paese, ad alimentare le file dell’esercito o della resistenza ucraina. Altri furono definitivamente adottati in Europa e i più colpiti sono stati seguiti in una rete di ospedali e orfanotrofi. Costretti ad avere un’infanzia e un’adolescenza diverse, più tormentate, e quando appena si coltivava una rinnovata speranza è giunta la crisi del Donbass, nel 2014, altra guerra, altro dolore, le mine. Secondo una stima attendibile sono oltre 500mila i minori coinvolti in quel conflitto, dei quali 430mila con cicatrici di vario tipo. L’Unicef, nel 2015, ha tirato le somme: 42 bambini morti e 109 feriti per le mine.
No, mai più guerre si è pensato e sperato poi. E mentre madri e padri costruivano in Europa piccoli tesoretti da riportare in patria, i figli d’Ucraina immaginavano finalmente un futuro di crescita, scuola, giochi, serenità. Un futuro normale. Alla fine è venuta la guerra dello zar Vladimir a seminare nuovo terrore, a stiparli nei tunnel, a spegnere il loro sorriso, a costringerli a mettere in uno zainetto qualche indumento, giochi e quaderni sperando di fuggire via dall’orrore. Un esodo verso Occidente che si stima già in mezzo milione di persone. Qualche mamma ha scritto con la vernice “Qui bambino”, sui cofani delle auto in fuga, sperando che i carri armati russi non mirino proprio a loro durante l’attacco. E finora, secondo il governo ucraino, già 14 minori morti e 116 feriti. Ma il rischio verrà poi dalle mine a forma di giocattolo e telefonini, sganciate nell’area di Sumy con le bombe russe a grappolo. Lo sminamento dell’intera Ucraina, se la guerra finisse ora e considerando quanto avvenuto nel 2014 anche ad opera degli stessi ucraini contro i separatisti russi del Donbass, potrebbe durare fino al 2080. In compenso, in questi giorni di guerra, sono già nati sei bimbi, tra cui “Mia” venuta alla luce nel tunnel della metro di Kiev. Piccole vite, vagiti di speranza. Ma come sempre in salita, nell’inferno di un Paese in fiamme, l’Ucraina che, in una complessa stratificazione etnica durata secoli, rincorre la pace senza riuscire mai a raggiungerla.