La fermezza contro i neo-populisti che negano la scienza

di Mauro CALISE
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Lunedì 26 Luglio 2021, 05:00

Visto che la crisi Covid si protrae, la politica dei partiti e dei leader sta cercando di incorporarla nei propri schemi di combattimento. Continueremo a parlare di emergenza, e di provvedimenti eccezionali. Ma la spinta all’unanimismo che aveva dominato l’anno scorso si è ormai esaurita. E torna a galla la vecchia faglia antisistema. Da un lato la protesta populista, dall’altro lato le elite.
Sono cambiati i rapporti di forza, almeno per il momento. Le élite hanno ripreso il controllo, grazie al ruolo che la scienza – medica, epidemiologica, economica – ha svolto nel fronteggiare la catastrofe. Ma, facendosi beffe di quanti si erano illusi che con la pandemia il mondo sarebbe cambiato, i no-vax stanno tornando alla carica. Riesumando i medesimi slogan e protagonisti con i quali i populisti – di destra e di sinistra – avevano provato ad abbattere la piramide meritocratica su cui si è retto – da tre secoli ad oggi – l’Occidente. E l’esito dello scontro è tornato ad essere incerto. Perché il neo-populismo divampi, ha bisogno di una vittoria simbolo. Molti si cominciano a chiedere se sarà l’Italia a fornirgliela.

Per un soffio – ai calci di rigore – non c’era riuscita l’America. Resto sempre colpito da quanto sia corta la memoria politica, quanto in fretta si dimentichi il rischio, il burrone in cui non si è caduti. Per una manciata di voti, Trump non è stato rieletto. E basta vedere la forza straordinaria che il trumpismo conserva nella società americana – ai vertici come nel suo ventre molle – per sapere che l’individualismo libertario </CJ><CJ1>e antistatalista sarebbe oggi l’ideologia dominante, se solo quella manciata di voti fosse finita dall’altra parte. Invece, ha prevalso Biden. E in Europa continua a brillare la stella di Mario Draghi. 
Oggi ricorrono nove anni da quella frase fatidica con cui il governatore della Bce riportò l’immagine europea ai valori di solidarietà e di coesione dei suoi padri fondatori. Un ruolo che si è rafforzato enormemente nel tornante drammatico di quest’ultimo anno. Ma sarebbe illusorio pensare che questa svolta ha messo radici salde negli elettorati. Al contrario. Il consenso di cui godono – nelle piazze e nei sondaggi – gli alfieri populisti è stato soltanto scalfito. È vero, rispetto a due anni fa, l’onda d’urto è scemata, i toni si sono – un po’ - abbassati. Per stare ai due casi più eclatanti, la sconfitta alle regionali di Le Pen e la battuta d’arresto di Salvini segnalano qualche difficoltà. Nondimeno, fa una certa impressione vedere che la tragedia in cui il virus ha precipitato il mondo non abbia modificato l’opinione di decine di milioni di persone, che restano pervicacemente convinte che la realtà non è quella che si vede. Ma un oscuro complotto dei potenti ai danni dei meno abbienti.
Forse è giunto il momento di riprendere, e rilanciare, molto sul serio lo slogan di Mario Draghi. Non più come un impegno finanziario, ma come un programma politico. Smetterla di illudersi di usare, nella battaglia contro i no-vax, il guanto di velluto dell’opzione e della persuasione. Ma seguire, e se necessario irrigidire, la linea intransigente di Macron. Non a caso, il leader che per primo si troverà ad affrontare nelle urne la ribellione che già serpeggia nelle piazze. Sui vaccini, niente mediazioni. O con la scienza, la protezione dello Stato e il rispetto delle più elementari regole della convivenza civile. O contro questo sistema, e fuori. 
Conoscendo il Premier, è probabile che stia meditando questo passo.

Già se ne è avuta qualche avvisaglia, a proposito dei pronunciamenti ambigui di alcuni leader che siedono nella sua maggioranza. Ma per saltare il fosso è necessario che il segnale venga dato al paese. Con chiarezza e, se occorre, con durezza. C’è una linea di intransigenza che non può essere messa in discussione. E che verrà fatta rispettare. Da tutti. Cittadini e partiti. Whatever it takes. A qualunque costo.

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