Agamben e Cacciari, così la filosofia del sospetto può riportarci all'oscurantismo

di Francesco FISTETTI
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Domenica 1 Agosto 2021, 05:00

La lettera di Giorgio Agamben e Massimo Cacciari sul decreto riguardante il green pass, pubblicata il 28 luglio sul sito dell’Istituto italiano degli Studi Filosofici di Napoli, ha suscitato un fiume in piena di reazioni che dai giornali è tracimato sui social, dove è diventato una sorta di vessillo ideologico, se non dei novax, certamente degli scettici. 
Soprattutto la denuncia di una presunta “discriminazione” tra cittadini di serie A e cittadini di serie B, che il “certificato verde” introdurrebbe, alimenta, al di là dell’intenzione degli autori, una diffidenza contro il sapere scientifico che va ben oltre la filosofia del sospetto (si ricordino i maestri del sospetto che Paul Ricoeur amava indicare: Marx, Nietzsche e Freud). Una presa di posizione del genere può, senza accorgersene, precipitare nell’oscurantismo più becero, che ormai molti invocano come legittimo diritto all’ignoranza ponendo disinvoltamente sullo stesso piano verità e menzogna, fatti reali e fake news. Quando nella lettera leggiamo che “il vaccinato non solo può contagiare, ma può ancora ammalarsi”, bisogna obiettare che la scienza è strutturalmente incerta, procede, per dirla con Popper, “per prove ed errori” e, ciò che più conta, non esiste, come affermava Duhem, un “experimentum crucis”, vale a dire un esperimento definitivo, tale da mettere una teoria scientifica al riparo una volta per tutte da qualsiasi contestazione o revisione. Quindi, nemmeno la cosiddetta “immunità di gregge”, quando raggiunta, potrebbe garantirci l’immunità assoluta.

Un dibattito dal livello adeguato

Fauci, il consigliere medico della Casa Bianca, ha inteso dire esattamente questo quando ha affermato che, essendo cambiato il virus (con la variante Delta), le persone vaccinate possono reinfettarsi e trasmettere il Covid. Di qui la retromarcia del presidente Biden che ha imposto ai funzionari statunitensi l’obbligo della vaccinazione e ha raccomandato a tutti i vaccinati le mascherine al chiuso. Ma la lettera di Agamben e Cacciari è ancora più grave perché proviene da due filosofi internazionalmente conosciuti, e proprio per questo ci saremmo aspettati un’apertura intellettuale adeguata all’argomento trattato. Esso, infatti, ha una portata davvero globale, perché sono in gioco la sopravvivenza della vita umana sulla Terra e l’abitabilità stessa del nostro pianeta, come migliaia di studi scientifici e di istituzioni internazionali a cominciare da Unesco, Oms, Greanpeace, Amnesty International, ecc. non si stancano di documentare. Oggi il tema della tutela della vita e di che cosa significhi promuovere la dignità della vita umana non può prescindere dalla presa d’atto delle condizioni oggettive – climatiche, ambientali, demografiche – del tutto nuove rispetto al passato, in cui si trova il genere umano. Tutto un filone del pensiero contemporaneo da anni ormai va ripetendo che siamo entrati nell’epoca dell’Antropocene, cioè di una nuova era geologica in cui la catastrofe ecologica non più è una profezia da letteratura distopica, ma uno scenario a medio termine più che probabile se non si pongono in atto controtendenze efficaci. 

Un profondo sconvolgimento

In questa prospettiva, le diseguaglianze sociali – e, di conseguenza, la discriminazione tra categorie di persone - sono destinate a crescere a dismisura nel mondo e all’interno degli Stati; così pure aumenteranno enormemente gli scarti umani, gli esclusi, le displaced persons (come le chiama l’Agenzia dei Rifugiati), persone considerate “superflue” e perciò ritenute suscettibili di essere relegate in una cittadinanza di serie B. La pandemia, dunque, non è un episodio transitorio, ma, per usare un’espressione di Marcel Mauss, un “fatto sociale totale”, vale a dire un evento che cambierà in profondità le forme di vita dell’homo sapiens, anche se non sappiamo ancora come. È in questo contesto che dobbiamo situare il tema della libertà.

L’allarme di Agamben e Cacciari che pratiche securitarie come il green pass generino uno “Stato dispotico” analoghe a quelle della Cina di Xi Jinping e della Russia di Putin è plausibile, solo se tiene presente che è la globalizzazione neoliberista a spingere nella direzione di un restringimento dei diritti sia sociali che individuali, che le carte costituzionali del secondo dopoguerra avevano sancito come spina dorsale delle democrazie europee. Perdere di vista questo macroscopico dato di fatto storico-politico e interpretare le democrazie europee, come fanno i nostri autori, alla stessa stregua (o quasi) di regimi biopolitici illiberali in cui, almeno secondo Agamben, la legalità costituzionale è sospesa e vige lo Stato di eccezione, è una forzatura teorica e politica pericolosa. 

La libertà come tema cruciale

Ma chiediamoci: da dove nasce il terrore di un Stato leviatanico che attraverso il green pass potrebbe tracciare e sorvegliare ogni nostro più piccolo movimento, se non dalla tendenza di un capitalismo neoliberista a superare ogni limite e a invadere tutte le sfere della vita quotidiana? Questa pulsione all’illimitazione è una dinamica di tutte le oligarchie finanziarie contemporanee e delle classi dominanti nella lotta per l’egemonia sul teatro geopolitico al fine di appropriarsi delle risorse e di conquistare porzioni sempre più ampie di mercato. La radice delle pratiche discriminatorie è il capitalismo dei Big Data, che affida ai dispositivi algoritmici il controllo delle nostre preferenze di mercato e perfino delle nostre emozioni, non fa nessuna differenza tra Stati dispotici e Stati liberaldemocratici. L’unica libertà che conosce è quella del consumo e, più in generale, dell’accumulazione della ricchezza e del potere. Perciò, oggi più che mai, i filosofi hanno il dovere di ripensare il tema cruciale della libertà in una dimensione al contempo mondiale e nazionale, al di fuori delle anguste polemiche domestiche, in vista della costruzione di una civiltà superiore e di una comunità di liberi ed eguali. 

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