La giustizia e la necessità di una riforma: ipotesi, proposte e referendum per sradicare qualsiasi forma di populismo

La giustizia e la necessità di una riforma: ipotesi, proposte e referendum per sradicare qualsiasi forma di populismo
di Massimo ADINOLFI
4 Minuti di Lettura
Sabato 5 Giugno 2021, 05:00

Vi sono diverse cose di un certo peso nella riforma della giustizia a cui sta lavorando Marta Cartabia. Almeno due punti meritano massima considerazione. Il primo: l’abolizione dell’appello del pubblico ministero, il che in breve significa che se in primo grado l’imputato non viene condannato, il pubblico ministero non può ricorrere contro la sentenza di assoluzione. È una misura che si ispira al principio che la colpevolezza va stabilita oltre ogni ragionevole dubbio. In effetti, è complicato immaginare che si possa giungere a una condanna indubitabile, se sono stato già assolto una prima volta. Il secondo punto riguarda l’estensione del ventaglio di sanzioni penali non detentive. In breve: meno carcere. Punire non vuol dire necessariamente sbattere in galera: si possono adottare pene alternative e ricorrere alla detenzione carceraria solo in casi estremi, che è quel che si afferma solennemente ma che non sempre succede.

Vi sono poi altri punti significativi, in grado di incidere sui tempi della giustizia. La telematizzazione, l’ampliamento del ricorso ai riti alternativi al processo, l’estensione dei casi di non punibilità per particolare tenuità del fatto: si potrebbe continuare. Ma al di là della materia tecnica (tecnica, però, fino a un certo punto, visto che incide su aspetti fondamentali della vita delle persone, e non c’è bisogno di aver letto il «Processo» di Kafka per convincersene), resta vero che l’indirizzo complessivo del progetto Cartabia punta ad archiviare la stagione populista e giustizialista che aveva accompagnato gli ultimi due governi, con il grillino Bonafede al ministero di via Arenula.

I sei quesiti referendari

Però i radicali hanno depositato in Cassazione sei quesiti, e puntano a celebrare i referendum per: limitare la custodia cautelare, abrogare la legge Severino, aggravare la responsabilità civile dei magistrati, separare le carriere (giudici di qua, pubblici ministeri di là). Altri due quesiti incidono sulla composizione del Consiglio superiore della magistratura e dei consigli giudiziari. Ciascuno di questi punti merita una discussione approfondita, com’è ovvio, ma una prima considerazione è necessaria: non si iscrivono alla voce «riforma della giustizia penale». Non sono cioè proposte che confliggono con i propositi di riforma presentati dieci giorni fa dalla Commissione voluta dalla Guardasigilli. Il che significa che ci si può augurare che la riforma Cartabia vada a buon fine, e al contempo firmare per i referendum augurandosi che vengano celebrati, e che con essi si apra una discussione su uno dei temi più sensibili della politica italiana degli ultimi trent’anni.

Perché non vi è dubbio che la necessità di snellire i tempi della giustizia e di alleggerire il carico dei procedimenti pendenti «è una richiesta che proviene dall’Unione Europea nell’ambito del programma Next Generation EU e che rappresenta una priorità per la giustizia penale e per il paese, inclusa nel PNRR», come giustamente recita la relazione finale della Commissione. La riforma Cartabia va incontestabilmente in questa direzione, e lo fa – particolare non irrilevante – senza  limitare garanzie e prerogative della difesa, come hanno debitamente riconosciuto le Camere penali.

Le supplenze indebite

Ma i rapporti avvelenati tra giustizia e politica, certe supplenze indebite e il peso preponderante, nelle aule di giustizia e nello spazio pubblico, assunto dalla figura del pubblico ministero non sono toccati dalla riforma Cartabia. Usare il progetto di riforma presentato dal ministro per togliere dal tavolo altri, delicatissimi problemi non è dunque affatto necessario.

Risponde invece a una scelta tutta politica, ispirata forse a un sano pragmatismo – una cosa del tipo: accontentati di cambiare alcune cose e lascia stare i referendum; non pensare di modificare assetti di potere ed equilibri consolidati, sennò si blocca tutto –o forse dettata da miopia, da un realismo di corto respiro, adottando il quale si finisce in sostanza col lasciare tutto come sta.

Certo non deve essere facile, se l’unico punto su cui la Commissione ministeriale ha indicato non una ma due possibili soluzioni è la prescrizione, salda trincea del giustizialismo. Nella relazione si fanno infatti due ipotesi: rimodulare ma in sostanza mantenere un meccanismo di sospensione della prescrizione o prevedere più coraggiosamente che, a certe definite condizioni, l’azione penale si estingua dopo un certo tempo. Evidentemente, in mancanza di una chiara volontà politica, la Commissione non può che lasciare aperte entrambe le porte. Sicché la questione non è facile, si diceva, ma è chiara. E visto che la Lega sostiene i referendum radicali, e visto pure che i grillini procedono in ordine sparso ma sono pronti a serrare le fila intorno alla cara (per loro) bandiera del giustizialismo, la domanda è rivolta al Pd: quante ipotesi è disponibile a mantenere sul campo, il Pd? E in definitiva: vuole o no lasciare aperta la porta dei referendum? 
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA