Conte e la lettera su Milano: la difficoltà a improvvisarsi guida politica

di Massimo ADINOLFI
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Domenica 15 Agosto 2021, 05:00

La lettera su Milano di Giuseppe Conte al «Corriere della Sera» sta facendo discutere, ma c’è molto poco, nelle discussioni in corso, che interessi il versante della proposta programmatica. È colpa di un dibattito troppo artificioso, strumentale, tutto volto in politichese, o è semplicemente colpa della lettera? Temo sia vera la seconda. Il neopresidente dei Cinque Stelle prova ad accreditare una nuova attenzione del Movimento nei confronti di Milano: del suo tessuto produttivo, dei suoi ceti professionali, dei suoi bisogni sociali, per lasciarsi alle spalle l’immagine di un Movimento preoccupato esclusivamente del divario del Meridione dal resto del Paese. Perciò Milano torna ad essere, nella prosa di Conte, «locomotiva» del Paese, «traino» all’Italia intera.

La doppia proposta

In vista di questo rilancio, per il quale Conte promette il sostegno suo personale e del Movimento, mette per iscritto due proposte: una, piuttosto stramba, sulle «vertical farm» che dovrebbe assicurare alla città autosufficienza alimentare entro il 2050; l’altra sulla legge speciale per Milano che dovrebbe aiutare la città in vista delle Olimpiadi invernali del 2026. Ora, quanto alla prima, l’errore marchiano sul numero dei bambini poveri che vivono nella metropoli (duecentomila, secondo Conte, mentre se li conti tutti insieme, poveri e meno poveri, ricchi e ricchissimi, non arrivi a duecentomila) e la logica dal sapore vagamente autarchico in cui è inserita, generano il sospetto che la proposta abbia il valore di uno spot, nato in risposta a una domanda del tipo: qual è la cosa molto bella e innovativa che posso citare, possibilmente in inglese, per far vedere che sono al passo coi tempi, aperto all’innovazione, con in più quel tanto di sensibilità ambientale che serve? Quanto invece alla seconda, sembra una proposta ancora più stralunata. Non tanto perché non si sia mai discusso  di una legge speciale per Milano (le prime proposte del genere risalgono a un secolo fa), ma perché proprio non si saprebbe come collocarla nel contesto di un’Italia che ha ben altri territori, metropolitani e non, urbani e non, da sostenere eventualmente con provvedimenti speciali, così che cominciare da Milano suonerebbe quasi come una beffa, per il resto del Paese. Con la fretta del neofita, e la logica da marketing del «one shot» (la dico pure io, in inglese), del colpo cioè che cancella tutto in una volta quello che il Movimento è stato finora, Conte promette di dedicarsi d’ora innanzi a «tutta la questione settentrionale».

Tutta quanta.

Terminata la lettera – che per il resto si diffonde con la solita generosità nella retorica dei principi e dei valori, nonché nella rivendicazione dell’azione condotta dai «miei passati governi», senza alcuna distinzione fra il primo e il secondo, il che è forse comprensibile dal punto di vista personale ma politicamente lo è molto meno – terminata la lettera, dicevo, comincia la discussione. Che non parte dalle vertical farm o dalle leggi speciali, ma dalle elezioni comunali del prossimo autunno, in cui Conte cerca di costruire un terreno d’intesa con Beppe Sala e la coalizione di centrosinistra. Non hanno molti voti, i 5 Stelle, a Milano, ma forse possono servire a far vincere Sala al primo turno. O almeno: è questo l’amo gettato, sperando che qualcuno dalle parti del Pd abbocchi.

La scommessa sulle elezioni

Naturalmente, sotto elezioni vale tutto: è comprensibile che uno ci provi, e che l’altro faccia due conti e si chieda quando e se agganciare i Cinque Stelle. Ma colpisce, nell’approccio contiano alla partita milanese, quel che palesemente manca: una perizia politica vera. E una storia, un tessuto di rapporti, una somma di esperienze che nelle parole del leader si raccolga, si esprima e si rappresenti. Perciò Conte comincia da zero e si intesta nuovi corsi – con qualche problema di credibilità, ovviamente, visto che di meneghino, e del riformismo di Sala, non c’è, nei Cinque Stelle, quasi nulla. Ma la novità da testare è soprattutto lui, Conte medesimo. E non solo perché è nel ruolo da pochi giorni, ma perché nel ruolo di guida politica, senza aver mai combattuto per un solo voto, è davvero complicato improvvisarsi. In verità, non ci si improvvisa nemmeno presidente del Consiglio: se dunque mi è riuscito di farlo ben due volte, si sarà detto, perché non dovrei riuscire anche in questa nuova sfida? Forse perché a capo di un governo sei in cima a una struttura che, se non guidi, ha comunque risorse e competenze sufficienti per guidarti, o almeno per accompagnarti nei tuoi primi passi. Ma chi accompagna Conte nei suoi passi da leader di partito? Chi lo affiancherà, nel sangue e nel sudore della lotta politica? Chi gli eviterà di sparare a caso il numero dei bambini poveri? Chi, infine, toglierà dalle sue lettere la sgradevole impressione della proposta improvvisata, dello spot elettorale?

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