Il disinteresse dell’Italia. Così l’Europa è dimenticata dopo il voto

Il disinteresse dell’Italia. Così l’Europa è dimenticata dopo il voto
di Biagio de GIOVANNI
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Mercoledì 21 Marzo 2018, 20:22
Il tratto caratteristico del dibattito (si fa per dire) successivo al voto è la completa dimenticanza dell’Europa, tema legato al che fare, quali politiche privilegiare, quale visione dell’Italia offrire al mondo e all’Unione; tutto è concentrato nel chi con chi o contro di chi, ma nulla si sa su altro.  Sia ben chiaro: le elezioni politiche eleggono il parlamento nazionale, sono il punto più alto di una democrazia politica, ancora largamente incardinata nella dimensione statale e nazionale. Insomma, quella dimenticanza si potrebbe considerare fisiologica, se non fosse per un particolare che mai come oggi fa sentire la sua presenza. E il particolare è che L’Europa che c’è, ed è tanta, non è più solo un vincolo esterno, ma penetra ampiamente nei vecchi confini nazionali e nelle vite di tutti. Per questa ragione essa sta lì a guardare ciò che avviene da noi, non in una attesa tranquilla, ma dall’interno di una crisi profonda e quasi abissale della propria identità, offrendo l’immagine di un continente smarrito. E dunque il “che fare” dell’Italia può intervenire in modo decisivo in questa crisi e contribuirà in misura non piccola a ciò che in Europa avverrà nel prossimo futuro. Tema da tutti, o quasi, ignorato, ma tema che fra non molto incomincerà a presentare il conto.

Alcuni elementi vanno subito e velocemente richiamati per giustificare entità e gravità della crisi europea. L’Inghilterra se ne va; L’Europa dell’Est sta formando la propria Europa, più con sguardo verso Mosca che verso Berlino, nonostante l’euro e influenzando tutta l’area balcanica; un gruppo fitto di paesi del Nord dentro e fuori l’area Euro, dall’Olanda alla Svezia ai paesi baltici -i quali ultimi vivono, verso la Russia, la sindrome di Stoccolma- hanno sottoscritto una lettera comune che mette in guardia Francia e Germania da una maggiore integrazione dell’area Euro. Insomma, l’Europa ha in corso una mutazione politico-culturale di dimensioni inedite, quasi abissale, che può esser perfino dissolutiva. Inutile qui ricordare le ragioni sulle quali da tempo molti richiamano l’attenzione, e che, in massima sintesi, stanno negli effetti su di essa della prima grande crisi politica della globalizzazione. Crisi che ha acuito la contraddizione fra dimensione nazionale e sovranazionale, fino a un certo momento tenute in relativo equilibrio. Tutto questo è giunto perfino a intaccare i sistemi politici della maggior parte delle democrazie rappresentative, con la crisi spesso dissolutiva dei partiti storici e delle culture politiche che avevano retto e guidato, e in parte fallito, il complicato rapporto tra la sovranità della nazione e quella dell’Europa, tema in cui è implicata, quasi per intero, la questione della democrazia.

Sul piano della teoria politica, questo è il tema del futuro, ma se oggi esso può esser proposto in questa forma ciò indica che si sta realizzando un contrasto teso, che può diventare molto serio, tra gli elementi di disgregazione politica, prima solo annotati, e la permanente intensità dell’integrazione già in atto, e che riguarda, per ricordare le cose principali: vincoli di bilancio, mercato comune, libera circolazione di persone e cose, moneta unica, primato dell’ordinamento giuridico comunitario, legislazione quasi tutta europea. Tra i due elementi indicati si sta aprendo una forbice che ogni giorno sembra allargarsi, e si tratta di una contraddizione ormai manifesta la quale contiene un rischio di notevole gravità: non potendo essere governata (anzi, molte cose lasciano pensare il contrario), essa può far emergere in forma esplicita l’incompatibilità tra il sistema integrato con tutte le sue profonde implicazioni, e i processi che in forme diverse si allontanano da esso, con effetti politico-sociali i più diversi, in grado di mettere in discussione finanche i caratteri consolidati di una civiltà.

Qui però voglio indicare solo un possibile effetto sulla dimensione finanziaria del sistema. Se l’incompatibilità si allarga, chi può garantire che il capitalismo finanziario globale continuerà a investire, a comprare titoli del debito pubblico sovrano di molti Stati - tra i quali primeggia il nostro - in una struttura che non riesce più a ritrovare un equilibrio e che sulle cose essenziali tende a dividersi? Oggi tutto è tranquillo, c’è come un senso di attesa, troppe cose sono in corso. Immagino che anche l’Italia, silenziosamente, sia sotto osservazione. Aggiungo: legittimamente, visto che l’Italia ha deciso di partecipare al progetto dell’Europa unita. Non faccio previsioni, tutto può accadere, ma è abbastanza ovvio osservare che, data la natura delle forze che democraticamente hanno vinto le elezioni, l’attenzione si stia facendo particolarmente acuta. Però il dibattito politico in Italia su tutto il tema Europa tace. Inspiegabilmente, i contenuti dei programmi sono d’improvviso scomparsi dalla scena. Ognuno può essere alleato con chiunque altro purché lo decida. Tutto scomparso, si ipotizza perfino l’alleanza tra reddito di cittadinanza e tassa “piatta”. A forze cui vien fatta richiesta di impegnarsi, si dice, appunto: senso di responsabilità, il diluvio dei pogrammi più o meno impossibili non interessa più, quasi a lasciar immaginare che non erano cose di cui si era convinti, parole al vento.

La riflessione ha il compito, credo, di provare a individuare le situazioni critiche che si fanno avanti. La realtà concreta, magari, come spesso accade, riuscirà a trovare o ritrovare equilibri perfino più avanzati, ma è necessario che il difficile passaggio di oggi venga sollevato, discusso in pubblico tra le forze politiche e nella società. Altrimenti, tutto cade nell’indistinto e nella disinformazione, e a tener banco è la permanente campagna elettorale ancora attiva su tutto il fronte.



 
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