La letteratura può restituirci le capacità di immaginare

di Antonio ERRICO
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Domenica 23 Febbraio 2020, 17:41
Lo spazio per l’immaginazione si fa più ristretto. Sempre più ristretto, quasi ogni giorno. Comunque a breve giro di tempo. Come se non avessimo più nulla da immaginare, come se avessimo immaginato già tutto l’immaginabile. Esiste un sistema che immagina per noi, che ci propone tutto già confezionato: pacchetti completi di immaginazioni, storie, figure, prodotti, invenzioni, occasioni consuete o rare. 

Così la nostra, personale, possibilità di immaginazione si riduce progressivamente. Forse si azzererà in maniera rapida. Forse si è già azzerata. Ci è stata sottratta la possibilità di elaborare immaginazione, la tensione verso l'ipotesi di qualcosa di nuovo, di sconosciuto. Non ci domandiamo come può essere una cosa o un'altra, che forma possa avere quello che non conosciamo; possiamo cercarlo tra le maglie della Rete, che quando non può proporci una realtà, comunque ci fornisce una simulazione, una realtà virtuale, una finzione. Ma se l'immaginazione costituisce la prima fase di un processo di conoscenza, senza quella fase il processo di conoscenza s'interrompe o comunque riduce la sua valenza. Di conseguenza, se immaginiamo poco, apprendiamo poco, soggettivamente e collettivamente.

Altri immaginano e conoscono al nostro posto. Una minoranza di persone, una comunità ristretta, sviluppa una conoscenza che poi ci viene offerta o imposta ad alto o basso costo, per cui non solo abbiamo tutti lo stesso sapere ma arriviamo a quel sapere tutti allo stesso modo. Il vero e il falso valgono per tutti. Probabilmente si tratta di un processo inevitabile e irreversibile, a meno che ciascuno di noi non conquisti il coraggio e la saggezza di porsi in contrasto con l'impero dell'uniformità, in modo tale da riservarsi la possibilità della prospettiva.

Immaginare significa figurare per se stessi e per il proprio mondo una diversa condizione futura. È la dimensione della possibilità di sviluppo, di evoluzione.

Allora ci si potrebbe domandare se possa esistere una persona, una comunità, una civiltà che non immagini una condizione futura di sviluppo e di evoluzione. Oppure, se la mancanza di immaginazione non comporti una inevitabile stagnazione sociale e culturale. Poi, ci si potrebbe domandare se esista una persona o una civiltà che desidera questa stagnazione. Probabilmente no. Nemmeno questo tempo la desidera. Però l'accetta, consapevolmente o inconsapevolmente. Come fosse una condizione che viene posta dalla storia. Come se nella storia fosse scritto che giunti ad un certo punto, acquisito un significativo livello di conoscenza, non si debba avere più la possibilità di immaginare, per sé e per il mondo, un altro sapere, un'altra dimensione esistenziale. Non saprei dire se questa accettazione si possa chiamare fatalismo, se si possa considerare come una resa incondizionata all'impero della tecnologia. Non saprei dire nemmeno se ci sia la possibilità di un rimedio. Forse uno ci potrebbe essere: ma si tratterebbe di fare ricorso ad un oggetto vecchio, superato, che ha funzionato per secoli fino a qualche decennio addietro e che, forse, con un po' di buona volontà si potrebbe riattivare, potrebbe funzionare ancora. Quell'oggetto è un libro. Per esempio di un libro di letteratura. Ogni libro di letteratura è un pozzo senza fondo di immaginazione. Deriva dall'immaginazione e produce la stessa cosa.

Nessun libro di letteratura costituisce una rappresentazione dell'esistente nell'esatto modo in cui è, ma è sempre la riformulazione dell'esistente in funzione della determinazione di una prospettiva. Dice cosa potrebbe accadere, come potrebbe essere, come ciascuno di noi potrebbe essere. Dice questo anche quando racconta del passato, perché un libro di letteratura impasta il passato e lo riconfigura. Analizza situazioni. Ipotizza avvenimenti. Elabora storie combinando elementi reali con elementi dell'immaginazione. Accade, a volte, che ci si confronti con esperienze di cui si è avuta una precedente conoscenza in un libro, che si incontrino persone straordinariamente somiglianti a personaggi incontrati in un libro, che si attraversino luoghi di cui si è trovata la descrizione in un libro.

A conclusione della premessa di un saggio che s'intitola La letteratura in pericolo, Tzvetan Todorov sostiene che la letteratura amplia il nostro universo, ci stimola a immaginare altri modi di concepirlo e di organizzarlo.
Allora, se si avverte l'esigenza di immaginare un modo diverso di organizzare il mondo, o almeno certi suoi aspetti che non ci sembrano bene organizzati, che non ci piacciono, che consideriamo inadeguati a quelli che sono i bisogni di tutti o di ciascuno, probabilmente non si può fare altro che indagare nei territori della letteratura: per cercare modelli che possano costituire un riferimento. A volte, o spesso, la letteratura non propone modelli o valori da adottare; a volte, o spesso, propone il negativo. Ma anche così funziona. Anche quando ci dice cosa non si deve fare, che cosa sia necessario, o prudente, rifiutare, quando racconta fatti e personaggi che rappresentano un errore della storia e di conseguenza consente di immaginare il contrario, quando si fa testimonianza del presente per suscitare il desiderio di oltrepassarlo per procedere verso un orizzonte più chiaro.
 
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