Il voto e gli scenari in Puglia/ L'elettorato da ricostruire e un futuro da progettare

Il voto e gli scenari in Puglia/ L'elettorato da ricostruire e un futuro da progettare
di Rosario TORNESELLO
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Martedì 27 Settembre 2022, 05:00

Le analisi sul voto seguono traiettorie ben precise. Chi ha trionfato, chi ha perso, chi è sprofondato ma è andato meglio delle aspettative, chi avrebbe vinto se solo avesse stretto ben altre alleanze, chi ha partecipato e in fondo va bene anche così. Il dato elettorale può essere esteso a piacimento, ma non oltre i limiti del buon senso: Giorgia Meloni ha stravinto le elezioni, il Movimento 5 Stelle è il primo partito in Puglia e in vaste aree del Sud, e non è detto che sia esattamente un risvolto positivo se il motivo – in tutto o in parte – è nel reddito di cittadinanza e nel suo straordinario potere di attrazione. Il Pd è sospeso nel limbo: il passato è passato, il futuro è un mistero e il presente è un disastro, se il destino di una forza composita e complessa, erede di solide tradizioni politiche e di pensiero, affida le proprie sorti progressiste più che progressive (e magnifiche) alla spinta in esaurimento di plenipotenziari o satrapi, a seconda dei casi. Il gioco d’azzardo implica sempre un bluff. Non è più tempo.

Saranno la legislatura, l’attività del prossimo governo, le scelte del futuro leader e del suo schieramento a dare la misura del voto affidato al responso delle urne. Ma se la politica è la gestione della cosa pubblica, occorre partire da un dato su tutti: la fuga degli elettori dalle urne, che sempre meno vedono e cercano nella mediazione partitica il luogo di composizione degli interessi e dei conflitti e di soddisfacimento dei bisogni per sé, per gli altri e per le future generazioni (e se non lì, sarà interessante capire dove cercano, se cercano, e anche per chi o per cosa lo fanno). E tutto questo, ai fini della presente riflessione, molto anche in Puglia, territorio con la quarta peggiore performance in Italia, dove alle urne si è presentato poco più di un elettore su due, con un preoccupante arretramento rispetto a quattro anni fa. Le incertezze e le delusioni dell’elettorato italiano sono un capitolo fondamentale: in nove anni ha affidato robuste dosi di fiducia – e perciò di consensi - prima a Renzi, poi a Grillo, quindi a Salvini e infine, adesso, a Meloni, con una girandola di convinzioni e infatuazioni da far girar la testa, non sempre a ragione. Le spiegazioni sono molteplici, e probabilmente tutte valide per quanto in misura variabile, ma la volatilità alle urne è inequivocabile. È in atto dappertutto, e qui in modo ancor più deciso e marcato. La società sarà anche liquida, il corpo elettorale tuttavia appare fin troppo aeriforme. E per il momento in gran parte evaporato. Perché questa disaffezione? Perché così massiccia? Tre ipotesi, vediamo.

Primo punto: il senso di lontananza. La Puglia è ancora troppo distante dai centri di potere e dalle politiche pubbliche di sviluppo (le energie private fanno molto e anche di più, altra storia di eccellenza). I piani messi in campo – Zes, Cis e acronimi vari – hanno ancora tempi lunghi per poter sortire effetti capaci di innescare dinamiche virtuose. Quando torna protagonista del dibattito, la Puglia, è per un malinteso senso di centralità e importanza strategica. L’energia è solo l’ultimo dei paragrafi, ma non meno importante: eolico on e offshore, fotovoltaico, gasdotti, rigassificatori, centrali a carbone e hydrogen valley, le ipotesi sono molteplici. Ma aver ospitato colossi industriali e infrastrutture essenziali non ha procurato le ricadute sperate. Soprattutto, non ha portato ad alcun beneficio in bolletta (quanto mai gradito di questi tempi). La classe politica, in fasi diverse e sotto varie bandiere, ha giocato di sponda o con le aziende o con la piazza (e talvolta su entrambi i fronti), senza mai riuscire a far leva sui nuovi insediamenti per pianificare uno sviluppo duraturo, di ampio respiro e soprattutto sostenibile.

E aver rispolverato con abbondante ritardo la battaglia delle compensazioni, come ristoro per il sacrificio richiesto al passaggio o all’insediamento di opere strategiche per l’economia nazionale, è parso il danno col sovrappiù della beffa in un territorio in forte ritardo su infrastrutture e collegamenti. Quando lo sviluppo è negato, è l’assistenzialismo il primo approdo (vedi alla voce reddito di cittadinanza).

Secondo punto: la ragione pratica del consenso. Le strategie politiche, il blocco di alleanze, l’utilitarismo spinto sotto forma di civismo politico, l’estrema disinvoltura nel sistema di nomine e incarichi hanno delineato un quadro impressionante di cosa voglia dire, oggi in Puglia, fare politica, seguirla, interessarsi ad essa. La teoria delle mani libere – che fin qui ha prodotto notevoli vantaggi agli attori principali, salvo ora mostrare tutti i suoi limiti – ha aggrovigliato le amministrazioni locali in un intrico difficilmente comprensibile se non all’interno di una cornice di convenienza che inizia a venire meno, adesso che alcuni dei protagonisti hanno messo in atto un rapido riposizionamento verso i punti di origine e gli schieramenti di partenza in virtù dei nuovi rapporti di forza tra partiti e coalizioni. Letto da fuori, un magma indistinto di ruoli ma non di potere e di poteri che non avvicina alla politica, di sicuro non appassiona e probabilmente allontana. A meno di non volerne far parte a tutti i costi, ma questo è un altro discorso.

Terzo punto: le future generazioni. I dati elettorali diranno come e quanto i giovani hanno partecipato al voto. L’apertura delle urne per il Senato anche ai diciottenni ha spalancato le porte a una maggiore partecipazione, nonostante una legge elettorale incomprensibile e un sistema di voto cervellotico. Ma da queste parti scontiamo ritardi imbarazzanti sul fronte della partecipazione attiva, a cominciare dalla rilevazione che più di tutte trasuda coinvolgimento e iniziativa: l’indice di lettura, tra i più bassi in Italia, con riflessi diretti su informazione, comprensione e analisi dei fenomeni. Se si somma alle scuole malmesse, a un lockdown affrontato con declinazione unica nella didattica a distanza e on demand (disastrosa nei risultati, a riscontro i test Invalsi), a una politica incapace di incontro e dialogo, soprattutto con le nuove generazioni, salvo ricorrere in calcio d’angolo a TikTok, abbiamo la dimensione esatta della frittata. Combinata con quanto detto al punto precedente, delinea scenari pressoché catastrofici. Anche perché incombono altri due fattori convergenti e concomitanti: la denatalità e l’emigrazione intellettuale. Mettere su famiglia è complicato, per le donne un calvario coniugare figli e lavoro, per i nuclei in difficoltà quasi un’impresa avere il necessario sostegno, diciamo per carenza di uomini e mezzi. La Puglia invecchia, i ragazzi se ne vanno. Cos’altro attendersi?

Per carità: non è tutto così nero, non tutto così compromesso. La Puglia è un’isola felice sotto molti aspetti. Una realtà dinamica, ricercata, ambita. Un altro Sud nel Sud. Ma il dato elettorale è un campanello d’allarme, neanche tanto ovattato. Al di là della resa dei conti interna ai partiti, delle fibrillazioni nelle maggioranze e nelle giunte locali, dei riposizionamenti nelle coalizioni, c’è un corpo elettorale da ricostruire. E un futuro da riconsegnare al Meridione e a questa regione, non come speranza o sussidio, ma come progetto. Il primo impegno per il nuovo governo. Vincitori o vinti, ripartiamo da qui.
 

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