Il progetto in politica, unica diga all'assalto di qualunquisti e trasformisti

Il progetto in politica, unica diga all'assalto di qualunquisti e trasformisti
di Claudio SCAMARDELLA
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Domenica 28 Aprile 2019, 21:09 - Ultimo aggiornamento: 5 Maggio, 20:44
Ora tocca a voi, candidati sindaci. Tocca a voi il compito di recuperare il senso vero della politica tra le macerie lasciate dall’opera di killeraggio dei partiti e di arginare i famelici (spesso opachi) assalti al “potere” sotto le mentite spoglie del cosiddetto civismo. Come ampiamente previsto e denunciato, è stato polverizzato, quasi ovunque, il record di liste civiche e aspiranti consiglieri comunali. Solo a Lecce sono 28 le liste, pochissime quelle con i simboli dei partiti, per un totale di circa 900 candidati. Se consideriamo che gli aventi diritto al voto superano di poco le 70mila unità e che, appena due anni fa, si recarono alle urne in occasione del primo turno poco più di 50mila, avremo un candidato ogni 75-80 elettori e ogni 50-60 votanti.

Se non siamo alla folle esaltazione del principio “uno vale uno”, nel senso che ognuno intende essere rappresentato solo da se stesso o al massimo dalla propria famiglia, poco ci manca. Ma di questo passo ci arriveremo, e anche presto, se continueremo a insistere sulla fuorviante contrapposizione tra “società civile buona” e “società politica cattiva”, a inseguire il mito della falsa “comunità orizzontale”, dietro e dentro il quale si annida la deriva verso un sempre più inquietante avvitamento intorno alla “verticalità del potere”, con il vuoto riempito da opache centrali uniche di comando.

Ci arriveremo presto se continueremo a non combattere, in nome della democrazia, quel demone che da un ventennio ha eroso dal di dentro il senso della politica e snaturato la funzione dei partiti: il demone della personalizzazione, la sostituzione del principio collettivo con quello individualistico, la ricerca del punto di incontro tra domanda e offerta di interessi esclusivamente personali. Si tratta di un processo che viene da lontano, che ha avuto come detonatori il crollo delle ideologie novecentesche e la perdita di collante per la tenuta dei grandi soggetti collettivi e che si è nutrito per qualche decennio di quel pensiero unico dominante scaturito dalla fallace profezia della “fine della storia” con la successiva liquidazione sommaria della demarcazione destra-sinistra. Da qui alla democrazia senza partiti, senza mediazione, senza corpi intermedi, senza rappresentanza e, alla fine, senza popolo il passo è stato breve.

La proliferazione di liste e candidati civici è lo stadio terminale di questo processo e non l’antidoto, come in molti pensano o vogliono far credere. Rappresenta la negazione della politica, non l’inizio della sua guarigione. Ed è il sintomo - soprattutto al Sud e nei nostri territori - di una ulteriore accentuazione di quel maligno circolo vizioso tra società decomposta e rappresentanza politica che dall’unità d’Italia tiene prigioniera la società meridionale (e ormai non solo meridionale, visto che da un po’ di anni si parla di “meridionalizzazione dell’Italia”). Accentua i guasti dell’avvenuta e pervicacemente voluta disintermediazione della società, segnala l’eclissi di quelle che una volta venivano chiamate classi dirigenti, certifica la scomparsa della selezione dei governanti, esalta l’incompetenza anche in politica come valore, mistifica l’improvvisazione al potere come un traguardo e non come una regressione.

Certo, sarebbe ingeneroso fare di tutta l’erba un fascio. Non mancano motivi nobili nella spinta a mettersi in gioco, nella scelta di abbandonare il bordo campo e di partecipare alla partita, mossi dalle migliori intenzioni di fare qualcosa per gli altri e per la propria città. Ma, anche in questo caso, è la motivazione di fondo che è fuorviante. Perché in questa scelta c’è la convinzione, sbagliata, che la propria “discesa in campo” (ricorda qualcosa questa espressione?) e l’impegno individuale possano cambiare il corso delle cose. È una variante di base della cosiddetta “personalizzazione della politica” e anche il frutto avvelenato della cultura giustizialista, quella secondo cui - a sistema invariato - la soluzione del problema è la sostituzione dei mercanti nel tempio con gli uomini onesti e puri: due processi, fortemente intrecciati, che tanti guasti hanno prodotto negli ultimi decenni nelle democrazie occidentali e, in particolare, in Italia.

Fatte le doverose distinzioni sulla genuinità dell’impegno civico, bisogna anche sottolineare e denunciare, senza troppi giri di parole, che spesso la scelta di scendere in campo deriva dall’aberrante, eppure diffusa convinzione che solo attraverso la politica sia ormai possibile risolvere i problemi personali, entrando in qualche modo nei circuiti decisionali o nei sistemi protettivi. Questo avviene soprattutto in molte aree del Sud, dove è ancora largamente dominante la cultura della protezione e della sudditanza rispetto alla cultura dei diritti e della cittadinanza. E dove spesso prevalgono metodi di governo fondati quasi esclusivamente sulle relazioni amicali e finanche parentali. Ciò che è avvenuto a Lecce in fase di preparazione delle liste è negativamente esemplare. E non può e non deve essere né sottaciuto né sottovalutato né liquidato in modo stizzito nel nome di presunte superiorità morali.

Alle anime candide che continuano a esaltare il cosiddetto “civismo politico” - un’evidente contraddizione in termini - vorremmo semplicemente consigliare di tenere gli occhi bene aperti e, soprattutto, le orecchie ben drizzate per capire ciò che è avvenuto in questi giorni intorno a loro. Promesse di posti in giunta (se dovessimo contabilizzare tutte le promesse di assessorati fin qui fatte, avremmo probabilmente la futura giunta di Palazzo Carafa di oltre trecento assessori); assegnazioni sulla carta di futuri incarichi e nomine in questa o quell’altra istituzione; scambi tra la “discesa in campo” per portare voti e l’assicurazione di corsie preferenziali, qui o altrove, per le ambizioni personali; cambi di casacca e di schieramento, spesso con doppio salto a distanza di pochissimi giorni; la scelta di correre in una lista anziché in un’altra per la maggiore possibilità di essere eletti, indipendentemente dalla visione e dal progetto di governo; le manovre di registi dietro le quinte per muovere i candidati come pedine tra le diverse liste promettendo mirabolanti e stupefacenti carriere: insomma, il peggior repertorio della tanto vituperata e vecchia politica. Un mercimonio da far invidia alla fase più decadente della prima Repubblica. Altro che “civismo virtuoso”. È stata, piuttosto, l’orgia del trasversalismo, del qualunquismo e del trasformismo.

Perciò ora tocca a voi, candidati sindaci. Tocca a voi, in assenza dei partiti, porre un argine a questa deriva, indicare la rotta in questo terreno desertificato della politica, inseguire e riscoprire il senso del principio collettivo, ritrovare il collante per mettere insieme comunità politiche mosse da idealità, valori condivisi, bisogni e sogni comuni. E potete farlo soltanto se uscite dalla malattia dei nostri tempi, il “presentismo”, soltanto se spezzate le catene della gestione del potere per il potere stesso, anche al costo di perdere. Potete farlo soltanto alzando lo sguardo, indicando un progetto, una visione, un sogno. Perché solo il progetto, la visione, il sogno possono sterilizzare e rendere marginali il mercimonio delle aspettative individuali, i veti e i ricatti nel futuro Consiglio, le richieste di basso profilo. Certo, personalizzare questo compito può apparire una contraddizione rispetto a quel demone della personalizzazione che ha svilito la politica. Ma è l’ultima carta da giocare contro l’atomizzazione delle aspettative, visto come abbiamo ridotto (e come si sono suicidati) i partiti e i corpi intermedi.

Lecce, da questo punto di vista, può diventare un laboratorio nel Sud. È una città in cammino, dalle grandi potenzialità, ma anche dalle profonde contraddizioni. E come gran parte delle città meridionali ha davanti a sé una bomba a orologeria. Sulla base delle ricerche di tutti gli istituti di statistica, e senza cedere più di tanto alla fin troppo abusata retorica dell’apocalisse, tra quindici anni al massimo potrebbe diventare una “città insostenibile” per la combinazione di tre processi separati e, al tempo stesso, intrecciati: il forte decremento demografico, l’alto tasso di mortalità (il più alto in Puglia), l’alto tasso di emigrazione giovanile e intellettuale (anche questo il più alto in Puglia). Da qui uno scenario da brividi: il rapporto tra popolazione (potenzialmente) attiva e (sicuramente) passiva potrà raggiungere, intorno al 2035, la parità. Se a questo scenario aggiungiamo i processi di autonomia differenziata e di federalismo fiscale spinto, il risultato è inevitabile: l’implosione della città per la sua insostenibilità. Di fronte a questa sfida, comune a molte città pugliesi - e che la Regione, in tutt’altre faccende affaccendata, continua a ignorare - c’è bisogno di mettere in campo, qui e ora, politiche urbanistiche di lungo respiro, idee e progetti di ampia portata, in grado di attrarre innanzitutto capitale umano per rallentare e invertire quei tre processi. Politiche, idee e progetti oltre il municipalismo, su scala comprensoriale, anzi in una logica di Grande Salento. Va benissimo confrontarsi su centro storico pedonalizzato o no, sul piano coste, sul ticket nelle chiese, sulle periferie e sulle marine, sul rapporto tra città d’arte e città di mare, ma se non si punta ad affrontare e a vincere la “madre” di tutte le sfide - distinguendo il significato e i tempi tra progetto e programma - diventerà tutto inutile perché il destino di questa terra sarà segnato. Molte città italiane al Nord, per non parlare della capitali europee, stanno già affrontando questa sfida, ridisegnando i piani urbanistici per dimensionare le realtà territoriali e per attrarre capitale umano, soprattutto giovanile.

Costruire, rottamare, attrezzare, riqualificare, bonificare, realizzare servizi, attirare forze nuove e intelligenze, essere competitivi con altri territori, decidere che cosa essere e che cosa diventare. Ecco il progetto di cui abbiamo bisogno e da cui far discendere i programmi con l’elenco delle cose da realizzare e dei tempi da rispettare. I candidati sindaci, se non vogliono trasformarsi in curatori fallimentari di questa città e di questo territorio, e se non vogliono ridursi al ruolo notarile nelle stanze delle compensazioni tra i famelici assalti alla diligenza, hanno soltanto questa strada da imboccare. Per dare un senso alla funzione di sindaco. Per offrire un futuro a Lecce. E per far fallire la scalata di qualunquisti, trasformisti e nuovi blocchi di potere.
 
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