La rinascita passa per la fiducia e il “ritorno” alla società

La rinascita passa per la fiducia e il “ritorno” alla società
di Claudio SCAMARDELLA
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Giovedì 31 Dicembre 2020, 10:01

A mezzanotte si chiude la seconda decade del Terzo Millennio. E si chiude con la fine di un anno terribile, il più pesante e drammatico che le generazioni post-belliche ricordino. Abbiamo vissuto, in questi venti anni, avvenimenti ed eventi che nemmeno lontanamente avremmo potuto immaginare. E che hanno incrinato, soprattutto in noi di una certa età, due convinzioni fondamentali della nostra formazione, con le quali siamo cresciuti e che abbiamo fortemente inseguito sia nella dimensione privata sia nella proiezione pubblica della nostra vita: il futuro sarebbe stato sempre migliore del passato; i depositari delle leve per cambiare il mondo saremmo stati noi. Dietro e dentro queste convinzioni c'era una visione semplice e, come dire?, rassicurante del progresso, di sicura - anche se un po' forzata - derivazione illuministica: il progresso come accumulo, il superamento dei traguardi raggiunti come processo sempre positivo perché quello che verrà sarà comunque migliore. Un'idea progressiva, non necessariamente lineare, ma progressiva della storia. Che ruotava intorno a due parole: fiducia e speranza nel divenire.


Gli avvenimenti e gli eventi di questi primi venti anni del terzo millennio hanno bruscamente offuscato questa visione. La pandemia, ancora in corso, è il terzo choc globale che abbiamo vissuto nel giro dei due decenni. Tre choc che hanno spinto l'intera umanità a diventare preda della paura, dello sconforto e - in molti casi - della disperazione. L'esatto opposto della fiducia e della speranza.

Nel 2001 fu l'attacco alle Torri gemelle di New York a far piombare l'intero Occidente nella paura per la guerra asimmetrica lanciata dal terrorismo delle frange fondamentaliste islamiche all'Occidente infedele, una minaccia seria che ha stravolto le nostre vite e che mette ancora a dura prova la convivenza pacifica tra popoli, religioni, nazioni. Nel 2008 fu la grande recessione, la più grave mai conosciuta dal '29 del secolo scorso, innescata da una crisi dell'economia finanziaria con l'esplosione della bolla dei mutui, a produrre effetti devastanti nel corpo sociale del mondo occidentale, fino a incidere nelle fondamenta delle democrazie liberali. Nel 2020 un maledetto virus, oltre a seminare morte e terrore in tutto il mondo, ha paralizzato le attività economiche e sociali, distanziato persone e comunità, rialzato muri e frontiere, alimentato nuove paure e pessimismo nella vita delle persone.


Non è che gli choc della storia siano una caratteristica solo della nostra epoca. Se pensiamo al secolo breve, a quei terribili trent'anni che intercorsero tra il 1915 e il 1945 - con due guerre mondiali e milioni di morti, una crisi economica spaventosa nel '29 sicuramente più pesante di quella del 2008, una pandemia molto più grave di quella odierna, regimi spietati che lasciarono una lunga scia di terrore e tragedie - il raffronto con i primi decenni del terzo millennio potrebbe addirittura risultare risibile. Inoltre, a guardare le conquiste tecnologiche e scientifiche, i giganteschi passi in avanti nella medicina e nelle produzioni, il mondo di oggi appare molto più potente di allora e l'umanità sembra di gran lunga più attrezzata di conoscenze e di forze in grado di costruire un futuro migliore del passato. Ne è la prova la capacità di trovare il vaccino contro il Covid 19 nel giro di pochi mesi, quando per debellare le pandemie del passato furono impiegati decenni e, in certi casi, secoli.


Perché, allora, stiamo smarrendo quella visione semplice e confortante del futuro migliore del passato, sempre più prigionieri della paura e del pessimismo? Perché, oggi, i nostri comportamenti sono condizionati più dalle debolezze e dalle vulnerabilità del mondo che dalla sua potenza e dallo straordinario bagaglio di conoscenze che ha raggiunto? Che cosa ci manca per uscire dagli choc, in particolare da quest'ultimo choc, più forti e meglio di prima, come avvenne con le generazioni che ci hanno preceduto? Davvero pensiamo che la via d'uscita sia soltanto legata all'efficacia delle misure economiche, politiche o sanitarie in questo caso?


Questioni complesse, ma decisive.

Gli studiosi di geopolitica e di geoeconomia ci avvertono da tempo che il mondo costruito negli ultimi decenni è potente ma anche fortemente disordinato, entropico. Produce, proprio con la sua potenza, rischi che possono diventare continui choc (economici, ambientali, geopolitici, sociali e tecnologici). Tant'è che in molti si interrogano su quale potrebbe essere il prossimo choc, dopo il coronavirus. È perciò una pericolosa illusione pensare che l'uscita dall'attuale e diffuso smarrimento coincida soltanto con l'efficacia delle tecnicalità in economia o in politica. Importanti, certo. Ma non determinanti.


Il virus, come già prima la crisi del 2008, ci ha trovati soli e isolati. Pur vivendo nell'era della massima connessione virtuale, ci siamo accorti di essere sprofondati nel massimo della disconnessione civile. La liquidazione sommaria delle ideologie, portatrici certo di grandi tragedie e di grandi macerie nella storia dell'umanità, ma anche incubatrici di sogni e ambizioni capaci di tenere insieme moltitudini di persone per perseguire e raggiungere obiettivi comuni (come nelle ricostruzioni post-belliche), per inseguire sogni, per affermare valori e ideali attraverso grandi soggetti collettivi, ha scosso nel profondo la tenuta delle società, ha lacerato il loro tessuto connettivo. Da molti, troppi anni abbiamo smesso di pensare e parlare con il noi. Da molti, troppi anni abbiamo smesso di pensare insieme e di guardare al futuro insieme. Per troppi anni è stata teorizzata come nuova frontiera la cosiddetta società del rischio che ha scaricato sull'individuo il peso di affrontare e superare i problemi globali. La negazione della società, della coesione, della collaborazione. Abbiamo sbagliato. Dobbiamo correggere la rotta, ripartendo dall'elemento umano nella gestione delle complessità, e riconnettendo tra loro gli uomini. Nella realtà, non solo dietro i computer.


Ecco la vera sfida davanti a noi. È la ricostruzione del senso di società, di società coese, è la rifondazione dell'alleanza tra soci per perseguire obiettivi comuni o per difendersi da comuni avversari. Soci nelle città, sui territori, negli Stati, nelle istituzioni sovranazionali. Soci nel mondo. Solo così può ricostruirsi la fiducia. Fiducia in se stessi, certo. Ma soprattutto nell'altro e negli altri, nella capacità dell'uomo e degli uomini di sapere dove andare e come andarci insieme perché da soli, alla fine, si va sempre dalla parte sbagliata. Oggi nessuno si fida più dell'altro. Oggi nessuno più si sente socius di una societas. Fiducia e società, società e fiducia sono la stessa cosa. Le abbiamo smarrite entrambe negli ultimi decenni, abbiamo bisogno di recuperare presto entrambe per affrontare i prossimi decenni e ridurre gli choc, oltre che limitare i loro danni, che il mondo potente ed entropico dei nostri tempi inevitabilmente produce. Se il 2021, oltre al vaccino e a scelte efficaci per il Recovery plan, porterà in ognuno di noi questa consapevolezza sarà un anno davvero di rinascita. È questo il nostro augurio.

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