È il momento di ripensare e riprogettare i nostri musei

È il momento di ripensare e riprogettare i nostri musei
di Stefano CRISTANTE
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Lunedì 24 Giugno 2019, 17:31
“Museo” era un bel nome, in origine: la casa delle Muse. Ora, invece, il riferimento alle splendide divinità protettrici delle arti si è perso: nessuno, quando nomina un museo, pensa a Tersicore o a Calliope. Museo è parola che evoca cose antiche, cioè vetuste, cioè noiose. Il museo è un luogo dove si va accompagnati da un insegnante (se si è studenti) oppure dove si va per una forma di costrizione culturale, perché non si può essere stati a Parigi senza aver visto il Louvre o a Madrid senza aver visto il Prado.

Ci si va per riempirsi gli occhi di oggetti d'arte già presenti nella nostra mente e da immagazzinare definitivamente con una contemplazione rapida, per evitare che i visitatori retrostanti ci spostino con una spinta per accedere al loro tempo di sguardo e consumo del capolavoro. L'esperienza museale, per molti, è un dover-essere che non si associa al piacere. D'altronde i musei non esistono da sempre. È dell'ingegno settecentesco l'idea di raggruppare opere d'arte e testimonianze scientifiche e naturali in luoghi chiusi e protetti dove sia possibile a tutti l'accesso. Lo strappo venne dalla Rivoluzione francese: nel 1793 la Convenzione dominata dai giacobini ordinò di destinare la residenza parigina del re di Francia a Museo del Louvre, per tutto il popolo francese. L'idea del museo segue dunque una tendenza democratico-radicale, seppure al di fuori della Francia rivoluzionaria spesso caratterizzata da una vena paternalistico-filantropica. I musei spesso nacquero per iniziative di singoli personaggi appartenenti all'aristocrazia del sangue o del denaro, e che decisero di donare alcune delle opere in loro possesso a luoghi dove chiunque potesse ammirarle.

Anche per il Museo Castromediano di Lecce fu così: il nobile Sigismondo, dopo le battaglie patriottiche della gioventù e l'elezione a deputato del Regno, passò la parte restante della sua vita a cercare e collezionare reperti artistici del passato, fino a poter fondare un vero e proprio Museo Archeologico, che ebbe il suo nome, e che fu il primo museo pugliese. Oggi che quel museo festeggia i 150 anni dalla sua fondazione, si imbastisce un rinnovamento non solo architettonico ma di sistema. È un'operazione in linea con quanto avviene in molti altri musei del mondo, perché la nostra stessa condizione di esseri umani esposti alle stimolazioni costanti delle tecnologie e a una forma inedita di accelerazione esistenziale fa sì che tendiamo a inserire il museo in un angolo remoto e poco richiamato della nostra mente. In pratica, evochiamo il museo solo quando siamo in un'altra città (quasi sempre lontana) o ancor più facilmente quando siamo all'estero. I musei un tempo raccoglievano la bellezza, o la scienza, o certe forme di artigianato, o altro ancora. Le presentavano soppesando il valore dei singoli pezzi attraverso allestimenti via via più complessi e più sicuri delle singole cornici o delle teche. Il visitatore doveva avere moltissimo tempo a disposizione, e gambe e piedi buoni perché le visite dovevano essere lunghe, complete, esaustive. È un'impostazione che tende a perdersi: non solo perché un numero sempre maggiore di visitatori ha finalmente deciso che è possibile creare un proprio percorso speciale tra le tante bellezze musealizzate, rinunciando alla faticosissima impresa di vedere tutto. Ma anche perché molti musei si sono dotati di servizi che invogliano a diversificare l'esperienza museale, per esempio facendo una pausa in caffetteria o nel ristorante, oppure dedicando tempo a un giardino oppure scegliendo libri e altri oggetti nello spazio del merchandising, che spesso è assai di più di un negozio di merci ispirate al museo. C'è chi ha fatto scelte anche più radicali, proponendo un ricambio di oggetti d'arte seguendo le disponibilità del proprio deposito, e modificando le presenze a seconda di nuovi temi individuati e di nuove iniziative creative. Ciò vale per tutti i musei che hanno una dotazione di pezzi assai maggiore di quelli esposti, e che oggi intendono agire sul versante dell'alternanza di ciò che si vuole mostrare. In questo modo un museo non è obbligato a esibire sempre uno stesso repertorio magari aggiornato da nuove acquisizioni ma può giocare con tutto il suo patrimonio, secondo tempi e occasioni forniti dall'ingegno creativo e organizzativo (che tende universalmente all'arte combinatoria).

Ai visitatori del Museo Archeologico di Napoli della primavera del 2016 capitò di poter vedere le iperrealistiche sculture di Adrian Tranquilli di cui era protagonista il supereroe Batman (in una versione tragica e languida) in mezzo alle stupende statue archeologiche, dotazione classica e permanente del museo partenopeo. Oppure alla Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea di Roma la direttrice Cristiana Collu ha promosso temi nuovi nelle stanze museali, dove riorganizzare in modo spesso sorprendente i pezzi d'arte in dotazione sollecitando l'immaginazione del pubblico e la funzione di completamento psichico dell'iniziativa da parte del singolo visitatore.

È un buon momento per riprogettare i musei, anche perché le nuove tecnologie digitali reclamano il loro spazio, che si autodetermina diffusamente fin dall'interno dei cellulari, che possono consentire una visione più sfaccettata delle opere secondo il concetto di realtà aumentata. Si può decidere di accettare queste nuove modalità oppure di lavorare sul tridimensionale classicamente umano: ma non si può ignorare la sfida della tecnica, che ci presenta il museo attraverso i siti e le pagine social dedicate. Ci vogliono perciò dei buoni argomenti per invogliare il visitatore a venire a vedere di persona, e tutti ruotano attorno alla qualità dell'esperienza promessa. Non tanto vedere cose irripetibili (spesso le abbiamo già viste mille volte on line o su carta), quanto assistere alla scoperta di come coloro che pensano a organizzare le visioni hanno progettato intrecci e storie tra gli oggetti. Il museo Castromediano potrà essere una sorta di storia a strati del Salento, fin dal suo nome e a partire dalle tante albe dell'uomo che qui si sono manifestate. Una specie di ingresso mentale nei mondi che hanno modellato la nostra terra e l'hanno trasformata in una macchina del tempo che ancora sorprende i visitatori.

Attenzione: non ho detto turisti. I turisti sono solo una parte dei visitatori. Il resto sono cittadini e cittadine residenti che vogliono saperne di più, e che si rendono conto che il nostro tempo di conoscenza deve essere scelto consapevolmente, perché l'automatismo oggi non esiste. Darsi appuntamento in un museo, per pranzo, o per vedere una mostra di sera, o per studiare di mattina: in alcune città sta già accadendo, e sarebbe bello che accadesse anche a Lecce, sotto la protezione del più galantuomo dei patrioti, e anche del più visionario.

 
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