“Digital divide”: l'urgenza di tenere alta la guardia della ragione contro le disuguaglianze

di Mauro CALISE
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Lunedì 21 Giugno 2021, 05:00

Si fa un gran parlare del fatto che l’accesso sempre più obbligato a Internet acuisce le diseguaglianze. Tra chi ha la connessione veloce, smartphone e laptop e le competenze per usarli e i tanti che fanno fatica a stare al passo della rapidità con cui la rete sta invadendo ogni mondo vitale. Ma un “divide” ancora più insidioso e più diffuso rischia di minare alle radici la nostra convivenza democratica. La divisione tra i pochi – pochissimi – che capiscono cosa sta succedendo e la stragrande maggioranza che resta – culturalmente e psicologicamente – alla finestra. Obbligati a stare a un gioco le cui fila non sanno chi e perché le stia tirando.

I media, che dovrebbero orientare, rispecchiano questo smarrimento. Lo stesso quotidiano, in due giorni, ospita l’attacco alzo zero del solito maitre à penser d’oltralpe contro «la nuova barbarie digitale», e un’analisi del suo direttore sull’ondata di cyber attacchi che sta mettendo a soqquadro l’Occidente. Da un lato, un patchwork di luoghi comuni sui pericoli dei social media, che amplifica le paure all’insegna di un neo-luddismo autodistruttivo. Dall’altro, una lucidissima disamina di come la vera sfida sulla ripresa dei prossimi anni si giochi sulla capacità di sviluppare sistemi di difesa adeguati, integrati nelle imponenti infrastrutture digitali che stiamo costruendo in ogni ganglio della nostra vita associata, per renderla più efficiente e trasparente.

L'allarme sabotaggi

In entrambi i casi, nel lettore cresce la consapevolezza della propria inadeguatezza. E se è più facile difendersi contro l’idea che Facebook e Google siano il lievito del nuovo anticristo, ben più arduo è riuscire a districarsi tra l’escalation di sabotaggi che, negli ultimi mesi, ha messo a repentaglio – e sotto ricatto – nodi industriali strategici. Da uno dei più grandi distributori di benzina del Nordamerica a uno dei maggiori produttori mondiali di carne, fino a «un tentativo di avvelenamento della rete idrica in Florida per 15mila residenti che – se fosse riuscito – avrebbe minacciato un’area di tre milioni di abitanti». Di fronte a questo tipo di minacce, cosa possiamo fare per difenderci? E chi ha la responsabilità di farlo? Nel caso del terrorismo in carne ed ossa, per quanto micidiale, sapevamo che occorreva una risposta militare. Ma a chi spetta – e con quali mezzi – fronteggiare il dilagare dei cyberattacchi? Ora che il governo ha varato l’istituzione di un’Agenzia ad hoc, possiamo sentirci più tranquilli o rischia di diventare l’avamposto di uno scontro tra potentati sottratto alla nostra vista? Più cresce la necessità di controllo elettronico, più aumenta il bisogno di controllare chi controlla.

Una spirale che le democrazie fanno sempre più fatica a gestire.

I rischi per l'occupazione

Senza contare la reazione sociale che la digitalizzazione può innescare impattando sull’occupazione. Sappiamo che, nei prossimi mesi, lo sblocco dei licenziamenti e il fallimento delle aziende fragili faranno crescere inevitabilmente il numero dei disoccupati. Nell’analisi lungimirante di Domenico De Masi, i cantieri del Pnrr aiuteranno a riassorbire almeno in parte questa crisi. Ma «gran parte di quei cantieri sarà impegnata nella digitalizzazione delle aziende e della Pubblica Amministrazione. Quando, entro il 2026, questo lavoro sarà completato, la modernizzazione tecnologica farà fuori migliaia di posti di lavoro e la disoccupazione sarà più forte di oggi». A quel punto, quali saranno le reazioni e le conseguenze politiche dell’espulsione di ampie fasce di popolazione dai processi produttivi imputabile – a torto o a ragione – al demone digitale?

Sono interrogativi inquietanti. Che restano ancora sommersi, poco visibili e pochissimo discussi nell’agenda dei partiti e, più in generale, in quella dell’opinione pubblica. Sta crescendo un digital divide dentro di noi. Tra quello che stiamo diventando e ciò che riusciamo a comprendere, tra il nostro nuovo dover essere sociale e la nostra identità di cittadini. Non ci sono scorciatoie per risolverlo. È bene dirselo con franchezza. Ma è una ragione di più per tenere alta la guardia della ragione.
 

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