La protesta dei "no vax" e la battaglia politica che lascia sullo sfondo la questione primaria: la salute

di Fabiano AMATI*
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Venerdì 3 Settembre 2021, 05:00

Gli animatori o ideologi dei movimenti no-vax protestano contro una cosa di cui non gli importa proprio nulla. Il loro unico scopo consiste nel trovare un varco per un’affermazione politica e di potere, strumentalizzando le paure delle persone e utilizzando indifferentemente gli argomenti della vaccinazione, della tav, della tap, del negazionismo xylella, del “no” a tutto e chi più ne ha più ne metta.

La politica e il potere. È sempre questo il problema. La croce e la delizia. Non si spiegherebbe altrimenti per quale motivo le stesse persone sono generalmente impegnate su fronti con oggetto completamente diverso e comunque in contrasto costante con scienziati e prova scientifica.

Lo scontro radicalizzato

Pretendono ragionamenti, discussione e partecipazione, insorgendo contro il pensiero a loro dire “dominante”, all’unico scopo di sobillare, radicalizzare lo scontro e sfruttare il clamore per raccogliere nuova militanza. Cioè consenso e quindi, se possibile, promessa di voti.

È nello psicodramma del consenso e del voto che si gioca questa partita. Non sono mai disponibili a mettere nel conto la possibilità di avere torto anche quando si presentano come fautori del confronto; e quando il loro potenziale di conoscenze tecniche si rivela per quello che è, cioè pari a nulla e farcito di supercazzole, la strada d’uscita è sempre la stessa. 

“Non-siamo-contro-ma” oppure “i poteri forti” che assumono al bisogno il nome di multinazionali, Davos, e Fondo monetario internazionale, per citarne alcuni. Una trimurti sempre in agguato, fortissima e misteriosa. Il capro espiatorio perfetto, nella migliore tradizione del totalitarismo: dare in pasto un nemico così tanto generico e perciò così tanto innocuo.

Il no a tutto

Che questo miscuglio o minestrone non utilizzi gli strumenti dello squadrismo verbale o della violenza è cosa che solo la malafede può aiutare ad ammettere. Non si riesce quasi mai, purtroppo, a cogliere per tempo il pericolo e non tanto per la difficoltà a guardare ciò che passa sotto il nostro naso quanto per la complicità e i silenzi di numerosi reduci di vecchie battaglie perdute - comunismo, fascismo, noglobalismo - e che oggi provano a rinascere, a vendicarsi delle frustrazioni inflitte dalla storia che gli ha dato torto, sotto le nuove insegne del “no” a tutto. 

Nel “no a tutto” non c’è democrazia perché non c’è il sapere, lo studio e la cultura specifica. Nel “no a tutto” c’è il diritto di parola senza il dovere di conoscenza. E quando la coppia “parola-conoscenza” scoppia, oltre il progetto di potere non c’è altra ragione ed è per questo che i primi a essere guardati in cagnesco sono i “sacerdoti” di quel matrimonio, gli scienziati e le loro prove. 

Ho guardato da vicino a questo problema sin dai tempi in cui mi ritrovai quasi solo a raccontare l’utilità del gasdotto Tap oppure la necessità di combattere, invano e con le armi della risolutezza, l’avanzare della xylella. Anche sull’obbligo vaccinale mi è capitato di trovarmi scaraventato dalla parte del torto negli anni in cui il Covid era ancora a venire e la questione riguardava l’obbligo di vaccinazione ai minori per una pericolosissima caduta della copertura vaccinale.

Proposi una legge per porvi rimedio e involontariamente raccolsi una protesta continuativa di pionieri no-vax dinanzi alla sede del Consiglio regionale, perché a loro dire attentavo alla libertà di scelta e al divieto di trattamenti sanitari obbligatori, nonostante fosse chiaro che a nessuno è consentito di scegliere in libertà ciò che può far ammalare gli altri e che la vaccinazione non è un trattamento sanitario individuale ma a valore collettivo: la mia vaccinazione serve a me ma soprattutto agli altri.

Protestare negando l’essenza della ragionevolezza, della prova scientifica e dei principi costituzionali, cos’è se non un’arbitraria piegatura di argomenti di vita quotidiana alle pratiche mortifere dell’ideologia? 

Il dubbio e l'esigenza di basi solide

“Abbiamo il diritto di dubitare?” è la domanda suggestiva che si propone per contrastare per ideologia ciò che non si sa. La risposta a questa domanda non può essere dettata da timidezza. No, non si ha diritto di dubitare, se non si prova la fondatezza del dubbio; si può dubitare sulla forma sferica della terra solo se si offrono prove sulla sua forma piatta. 

Dubitare è un esercizio di ragione se gli elementi del dubbio criticano con le prove le conclusioni degli altri. “La Repubblica non ha bisogno di scienziati“, disse secondo la leggenda il giudice rivoluzionario commentando la condanna a morte di Lavoisier

La Repubblica ha invece bisogno di scienziati e di prova scientifica per poter decidere al meglio. E quando c’è qualcuno che pensa di poterne fare a meno, oppure qualche altro si trastulla sugli equivoci di metà strada, un po’ per l’uno e un po’ per l’altro, vuol dire che ha in animo di preparare una rivoluzione. E se è pur vero quello che diceva Leo Longanesi, e cioè che in Italia si cerca la rivoluzione per trovare l’agiatezza, è meglio non rischiare: si tratta del virus e non smascherare gli ideologi no-vax e le loro ambizioni di potere frustrate può costare molto caro.

* Presidente commissione regionale Bilancio
 

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