La Costituzione e lo slancio (smarrito) verso il futuro

di Pier Luigi PORTALURI
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Domenica 13 Febbraio 2022, 05:00

Peggio, molto peggio del gelido discorso di Natale a Cortina del grande Riccardo Garrone nella parte del parvenu Giovanni Covelli («se lo semo levato…»). Quella festa dura un giorno. Questa riforma costituzionale pseudo-animalista e finto-ambientalista ce la terremo invece per i decenni a venire. Completamente inutile, se non proprio insidiosa. Andiamo con ordine. Uno dei due articoli modificati – di gran lunga il più importante – è il 9.

Fa parte dei «dodici apostoli» laici: gli articoli da 1 a 12 della Costituzione racchiudono infatti i principi fondamentali della Repubblica. Norme – diceva un grandissimo giurista come Alberto Predieri – che disegnano il viso civile del nostro Paese e degli italiani.
Sono quindi super-norme costituzionali: quasi di rango superiore a tutte le altre, pur se contenute nello stesso testo. Di pari livello ci sarebbe solo l’art. 139, secondo cui la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale.
Siamo dinanzi ai pilastri del sistema. Per cui – regola non scritta, ma di buon senso – non si devono toccare, onde evitare di combinare guai. A mia memoria non è mai successo, infatti. Almeno sino a oggi. Adesso il tabù è stato infranto. E quando si fa un buco nella diga, il rischio è che non ci si fermi. Speriamo bene.
Vediamo nel merito il contenuto della riforma. L’art. 9 della Costituzione riceve un comma ulteriore: «(La Repubblica) tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali».
Ma l’ambiente ha già ricevuto da tempo piena tutela nel nostro ordinamento, ottenuta attraverso l’interpretazione evolutiva di quell’art. 9. Norma, infatti, che parla solo del «paesaggio». Per cui noi giuristi abbiamo meritoriamente forzato l’area semantica di quella parola, accostandola a un’altra che pure è oggetto di tutela costituzionale: la salute. Da qui abbiam fatto nascere il diritto a un ambiente salubre. Ottimo lavoro, bisogna ammetterlo: non sempre facciamo danni, in fondo.
Peraltro, la Costituzione l’ambiente lo prende già in considerazione in un altro articolo. A che serve allora creare un pericoloso precedente, modificando uno dei dodici principi fondamentali? Secondo me, a nulla. O a farci sentire tutti più buoni. Come a Natale, appunto. 
Quanto alla biodiversità e agli ecosistemi, cosa significhino giuridicamente lo sa solo Iddio: per esempio, sarà interessante vedere cosa faranno i Tar e il Consiglio di Stato quando dovranno pronunciarsi sulla legittimità di un provvedimento amministrativo per contrasto con questi due concetti indeterminati. Qualche mio collega ritiene però che questa sia una riforma di «bilancio»: servirebbe per consolidare traguardi di civiltà giuridica già conseguiti in via interpretativa e per evitare pericolose regressioni. Sarà.
Poi c’è la tutela degli animali. L’obiettivo era quello di abbandonare finalmente la considerazione delle creature non umane alla stregua di semplici cose, per elevarle doverosamente alla stregua di esseri senzienti, e quindi soggetti titolari di diritti.
Missione completamente fallita, purtroppo. La scelta è stata di cortissimo respiro. Dire che la tutela degli «animali» (parola oramai di intollerabile pesantezza) è rimessa alle leggi dello Stato significa affermare un’ovvietà, dunque il puro nulla. La necessità di riconoscere soggettività a questi nostri fratelli, di proteggere la loro dignità, è stata completamente trascurata dal Parlamento. Tutto resta come prima, al di là dei gridolini di gioia di qualche sprovveduto che vuole sentirsi molto alla moda.
Queste pure vacuità, continua l’articolo 9, sono previste «anche nell’interesse delle future generazioni». Roba vecchia. Forse sarebbe stato il caso di superare la visione antropocentrica, per cui l’uomo sarebbe la misura e il fine di tutte le politiche pubbliche.
A meno che per generazioni a venire si intenda tutto il creato vivente – umano e non – che verrà. Ma ne dubito. Sarebbe stato troppo di frontiera, per un ceto politico come l’attuale.
Si doveva avere, a mio avviso, il coraggio di mirare alto; di avere lo sguardo più aperto.
Il tema vero è quello dell’Antropocene; di un pianeta che si avvia serenamente verso la sesta estinzione di massa: la prima, però, causata dall’imbecillità di una sola specie, la nostra. Avevamo tante strade innanzi a noi, alcune già battute da popoli più intraprendenti. Considerare la Terra un solo organismo vivente, che si mantiene sull’equilibrio di tutti i parametri vitali. La splendida lezione della Lettera ai Romani di san Paolo; la Noosfera di cui alla ricerca contrastata e sofferta di Teilhard de Chardin, erano dinanzi a noi. Dovevamo guardare alla Creazione nella sua interezza, e sforzarci di abbracciarla giuridicamente. Lasciando l’uomo al suo posto, se proprio necessario: ma facendolo chinare nel cuore di Gaia. Vogliamo proprio esagerare? Bastava aver leggiucchiato l’interpretazione di Zarathustra che ci dà Heidegger. 
Basta. Ho sognato fortissimo, lo so.
Atterriamo. C’è un altro articolo modificato da questa riforma, il 41. Si parla dell’iniziativa economica. E si ripetono sostanzialmente le stesse cose dell’art. 9. La salute e l’ambiente non possono mai essere lesi: anzi l’attività economica deve essere funzionale a quest’ultimo. Avanguardia pura, come no.
La Costituzione, almeno nei suoi tratti fondamentali, dev’essere Utopia.

Slancio vitale verso il futuro. Nel 1948 era così. Ma oggi quel sogno – direbbe Luporini – si è rattrappito. Un gabbiano ipotetico senza più neanche l’intenzione del volo.

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