L'eutanasia e l'inerzia del Parlamento: la sconfitta della politica se rimette tutto nelle mani dei giudici

di Giuseppe TESAURO
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Martedì 22 Giugno 2021, 05:00

L’attenzione sull’eutanasia è ritornata di nuovo nelle aule giudiziarie, di giudici comuni, non molto tempo dopo un doppio passaggio alla Corte costituzionale, che sembrava aver risolto almeno una parte del problema. Alla Corte era stata posta la questione di legittimità costituzionale della norma (580 cod. pen.) laddove prevedeva la punibilità sia per l’istigazione che per l’aiuto al suicidio, questa seconda certo più complessa e con variabili diverse rispetto alla volontà del potenziale suicida.

In questa parte, la norma fu dichiarata illegittima in quanto non escludeva la punibilità di chi agevola il proposito di suicidio liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, ma pienamente capace di prendere decisioni consapevoli e libere. L’imputato di violazione di agevolazione al suicidio aveva accettato nella specie di accompagnare il paziente in Svizzera presso un centro medico legalmente attrezzato a provvedere ad esaurire il proposito di suicidio, senza che il paziente avesse contribuito alla maturazione di tale proposito. La sentenza era stata preceduta da una significativa ordinanza di rinvio, non nuova nella prassi della Corte.

«Va dunque conclusivamente rilevato - si leggge nell’ordinanza - che, laddove, come nella specie, la soluzione del quesito di legittimità costituzionale coinvolga l’incrocio di valori di primario rilievo il cui compiuto bilanciamento presuppone in via diretta ed immediata, scelte che anzitutto il legislatore è abilitato a compiere, questa Corte reputa doveroso - in uno spirito di leale e dialettica collaborazione istituzionale - consentire, nella specie, al Parlamento ogni opportuna riflessione e iniziativa, così da evitare, per un verso, che, nei termini innanzi illustrati, una disposizione continui a produrre effetti reputati costituzionalmente non compatibili, ma al tempo stesso scongiurare possibili vuoti di tutela di valori, anch’essi pienamente rilevanti sul piano costituzionale”. La verifica delle condizioni rigorose del paziente (malattia grave e inguaribile, inesistenza di un trattamento terapeutico in grado di portar alla guarigione, continuo stato di dolore insostenibile, capacità di intendere e di volere) che rendevano legittimo l’aiuto se affidata ad una struttura pubblica del sistema sanitario pubblico previo parere del comitato etico territorialmente competente. 

La doppia decisione

L’esito della doppia decisione della Corte costituzionale sembrava quindi avere risolto non dico ogni problema, ma almeno indicato un percorso che poteva portare ad esaudire il proposito del paziente. Non è andata così, come del resto in molte altre occasioni. Vero è che la sentenza della Consulta che rinvia al Parlamento la soluzione dandogli un certo lasso di tempo per riflettere e decidere con calma e serenità, sembra una pia illusione, ma in realtà la Corte sa benissimo che il tempo passerà invano e che per avere una decisione che sia tale alla fine dovrà comunque decidere essa Corte: questo ci dice l’esperienza, non solo quella mia personale che pure non è stata di poco rilievo.

D’altra parte, non è una sorpresa se alcuni medici esitano a dare una risposta così delicata e altri rifiutano, anche in presenza di tutti i presupposti richiesti dalla Corte costituzionale, con la conseguenza di attivare l’inevitabile procedimento giudiziario, magari ancora una volta con un giudice che risponde positivamente ed un altro, nella stanza affianco, rifiuta.

Due episodi emblematici si possono leggere. Il primo riguarda una giovane donna affetta da un tumore al pancreas, arrivato ad un livello devastante, alla cui sorella, andata a chiedere il consenso all’eutanasia sia a Roma che a Foggia, ha ricevuto un secco rifiuto a Roma e addirittura una risata in faccia a Foggia, dove fissavano una visita per il 7 maggio. La donna è morta due giorni prima.

Il secondo episodio è meno truce ma egualmente significativo. Per ottenere la verifica richiesta dalla Corte costituzionale, si è dovuto ricorrere in appello al Tribunale di Ancona, il giudice ordina finalmente alla ASL di visitare un tetraplegico da dieci anni che chiedeva il suicidio assistito, per verificarne i presupposti.

Le firme per un referendum

E da ieri, morale della favola, è partita la raccolta firme per il referendum, per abolire parte dell’art. 579 cod. pen., sì da depenalizzare “l’omicidio consenziente”, espressione che peggiore non si poteva inventare. Questi i fatti, che mentre purtroppo non ci sorprendono più di tanto, ci inducono a qualche riflessione di portata più generale, che derivano anche da vicende vissute. Anzitutto sono più che convinto che determinate scelte non possono che trovare nel Parlamento il luogo giusto per riflettere, discutere e finalmente decidere.

Certo posso sbagliare perché spesso la discussione su un tema importante e delicato viene soffocato da qualche baruffa elettorale tra partiti e/o contro qualche Ministro reo di aver proposto soluzioni non gradite. Non è neppure un problema di credo religioso, la gravità delle situazioni patologiche dei malati che qui interessano hanno veramente poco a che fare con la religione, che vuole il bene e non certo il male per noi tutti. Tollerare situazioni di disperazione così rilevanti non è certo cosa buona e giusta, questo ritiene un cattolico come me. Soprattutto dovrebbero essere tipiche per un Parlamento le decisioni collegate a princìpi generali, alle sensibilità e ai sentimenti principali del corpo sociale. Lasciare ai giudici questo compito è improprio, si riesce solo a non far dormire almeno qualcuno di loro.

La soluzione a tappe, potrebbe migliorare la situazione, in teoria; in pratica serve a poco, se il Parlamento non prende sul serio il rinvio, come quasi sempre succede. Delegando poi i giudici a sbrogliare la matassa, può essere anche peggiore del male, riducendosi sempre più il rispetto non solo per i gradi superiori e per la Corte Costituzionale, ma anche per la norma, italiana e/o dell’Unione europea, spesso manipolata a fantasia o peggio. Nella crisi complessiva del sistema giustizia c’è anche questo: e non è certo poco.
 

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