La bellezza da scoprire dietro finestre da spalancare: il potere dell'arte e della scienza

La bellezza da scoprire dietro finestre da spalancare: il potere dell'arte e della scienza
di Antonio ERRICO
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Domenica 16 Maggio 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 06:05

In una delle ultime pagine di “Helgoland”, Carlo Rovelli scrive: “Ogni visione è parziale. Non esiste un modo di vedere la realtà che non dipenda da una prospettiva. Non c’è un punto di vista assoluto, universale. I punti di vista tuttavia comunicano, i saperi sono in dialogo fra loro e con la realtà, nel dialogo si modificano, si arricchiscono, convergono, la nuova comprensione della realtà si approfondisce”.

Con un’associazione forse non del tutto impropria, queste righe di Rovelli potrebbero riportare alla memoria quella metafora che Henry James elabora nella prefazione al “Ritratto di signora”, dove dice che la casa della narrativa non ha una sola finestra ma un milione, un numero quasi incalcolabile di possibili finestre, ognuna delle quali è stata aperta o è ancora da aprire, in relazione alla necessità o alla volontà della visione. “Queste aperture, di forma e misure dissimili, danno tutte sulla scena umana, sì che ci si potrebbe aspettare, da esse, una identità di riproduzione maggiore di quella che troviamo. Esse sono finestre nel migliore dei casi o altrimenti meri fori in un muro morto, sconnessi, collocati in alto; non sono porte coi cardini che si aprano direttamente sulla vita. Ma hanno questa caratteristica, che ad ognuna di esse v’è una figura con un paio d’occhi o almeno con un binocolo, che costituisce uno strumento unico di osservazione, il quale assicura a chi ne fa uso un’impressione distinta da ogni altra. Lui e i suoi vicini osservano lo stesso spettacolo, ma uno vede di più là dove un altro vede di meno, uno vede nero là dove un altro vede bianco, uno vede grande là dove un altro vede piccolo”, uno vede rozzo là dove un altro vede delicato.

Così dice James, e ha ragione: tutte le finestre danno sulla scena umana. Probabilmente per la circostanza che tutto quello che si vuole e che si può comprendere riguarda la condizione dell’umano, anche quando qualche volta si ha l’impressione che non sia così.

I processi della conoscenza

Innumerevoli sono le finestre, dunque. Alcune già aperte, altre ancora da aprire. Allora si potrebbe anche pensare che sono proprio le finestre ancora da aprire quelle che nei processi di conoscenza provocano un’attrazione più forte, il richiamo più seducente. Sono quelle che promettono nuove visioni, che fanno ipotizzare il dispiegarsi di paesaggi di sapere, la meraviglia di nuovi orizzonti, che probabilmente consentono di orientare lo sguardo su sconosciute realtà oppure l’approfondimento di realtà conosciute. Forse ogni volta che si comprende qualcosa di nuovo, o che si comprende in un modo nuovo qualcosa di antico, accade perché si apre una finestra che non si era aperta prima.

Ogni volta che si riformula un significato, che si stabilisce un confronto con un nuovo senso dell’esperienza e delle cose, accade perché si apre una finestra sulla scena delle vicende umane.

Forse si potrebbe pensare che le finestre ancora da aprire sono molte e molte di più di quelle che sono state già aperte. Che le cose da conoscere sono molte e molte di più di quelle già conosciute. Che le esperienze vissute finora dagli uomini sono molte di meno di quelle che hanno da vivere ancora.

James e Rovelli dicono che ogni visione è parziale, che ogni conoscenza è parziale: quindi sempre incompleta, incompiuta, precaria, sempre esposta alla verifica, alla riconsiderazione, anche alla smentita.

Accade, talvolta, che aprendo una finestra si vedano scene inimmaginate, che impongono di rinunciare a certezze per le quali non si è mai nutrito alcun dubbio, che mettono a soqquadro visioni del mondo e dell’esistenza, stravolgono modi di pensare, disarticolano strutture di idee stratificate, smuovono ragioni e sentimenti radicati, mettono in discussione e in crisi l’esperienza e la conoscenza.

Oltre una terra piatta

Per secoli e secoli, gli uomini si sono affacciati alle finestre e hanno visto una terra piatta. Poi, una volta, uno di loro ne aprì una rimasta sempre chiusa e da quella vide una terra che aveva un’altra forma. All’improvviso molte certezze si disintegrarono. Gli attori che recitavano le scene di quel tempo si ritrovarono disorientati, sbalorditi. Scaglie sparpagliate nell’universo. Lo racconta Pirandello, nel modo in cui Pirandello sa raccontarlo, in “Il fu Mattia Pascal”.

La scienza, in fondo, è questo: una finestra chiusa che a un certo punto si apre e fa vedere qualcosa che dalle altre finestre aperte prima non si vedeva e che va ad integrare, a modificare, a ridefinire i significati attribuiti al già visto.

Anche l’arte, sostanzialmente, è questo, lo sguardo da una finestra che si schiude lentamente o si spalanca mostrando una continua trasformazione di espressioni, proponendo un’incessante riformulazione di significati, scomponendo e ricomponendo forme, ridisegnando figure, combinando in modo sempre diverso i colori, le note, le parole.

Tutta la bellezza della scienza e dell’arte forse è proprio oltre le finestre che sono ancora da aprire. Oltre quelle finestre si avvicendano scene forse mai viste e forse anche più belle di quelle che abbiamo visto e che vediamo. Probabilmente è sempre la rivelazione di una sconosciuta bellezza che ci si aspetta dalla scienza e dall’arte.

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