Spiagge: la direttiva Frankenstein e il caso della "sostituzione tecnica"

Le concessioni balneari, la Bolkestein e l'Europa: così una sentenza certa apre all'indeterminatezza. Fare le gare, ecco: ma quando?

Uno stabilimento balneare
Uno stabilimento balneare
di Rosario TORNESELLO
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Sabato 22 Aprile 2023, 15:17 - Ultimo aggiornamento: 21:48

Il diritto ha sempre il suo rovescio. E i pronunciamenti, di conseguenza, il non detto e perciò il sottaciuto. Che a volte può sconfinare nella scappatoia perché apre all’interpretazione e, per questa strada, all’indefinito, all’incerto e – càpita, inevitabile – alla somma ingiustizia. Ma somma intesa non come acme, punto apicale, quanto piuttosto come enunciazione cumulativa di interessi diversi, spesso divergenti, non di rado contrapposti. La sentenza con cui la Corte europea di giustizia avrebbe dovuto fare chiarezza intorno all’applicazione della direttiva Bolkestein sulla concorrenza riferita alle concessioni balneari (gare obbligatorie versus rinnovi automatici) lascia il comparto nell’indeterminatezza. Non lancia la palla in tribuna, questo no, ma rimette un elemento centrale – la scarsità di risorse come discrimine per la messa a bando delle aree demaniali – alle valutazioni da fare volta per volta, pur confermando la necessità di attivare procedure “imparziali e trasparenti”, parametri combinati in percentuale variabile con quello della discrezionalità.

Il punto è proprio questo. Sarà il governo italiano (dove non mancano certo interessi sin troppo concreti ed evidenti, per materia o per consenso elettorale) a definire i criteri di valutazione? L’autorità centrale farà una legge quadro da affidare, per l’attuazione pratica, alle Regioni? La Puglia – per restare a noi – chiederà lumi ai singoli Comuni? In caso di contrasto tra enti e relativi conflitti di attribuzioni, si andrà alla Consulta? E ancora: per i contenziosi dei privati si tornerà al Tar, si farà appello al Consiglio di Stato, si finirà nuovamente alla Corte europea di giustizia? E con quali tempi, con quali (in)certezze, con quali garanzie per gli investitori, sia per chi è già sul mercato sia per coloro che invece vorrebbero entrarci?

Dubbi. Sollevati ieri su questo giornale anche dal professor Pier Luigi Portaluri. Per ora la parola torna all’Italia, sebbene la stessa sentenza dell’altro ieri è perentoria nel dire che le disposizioni dell’Ue impongono ai giudici nazionali e alle autorità amministrative (quindi anche ai Comuni) di disapplicare le norme italiane che contrastano con quelle unionali. Regola sacrosanta, ma affidata nel caso in questione a una complessa e difficile composizione tra principi di carattere generale e peculiarità locali tutte ancora da decifrare. Un groviglio che sembra avere tanto del genio italico nel cambiare molto per non cambiare nulla. L’Europa stenta a entrare nel nostro patrimonio culturale e cognitivo.

E invece una buona (o cattiva...) parte del nostro modo di fare – e perciò di vivacchiare – comincia a far breccia nell’Europa unita. Principio evidente di “sostituzione tecnica”.

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