Comprendiamo il presente solo conoscendo l'antico

Otranto, particolare del mosaico della Cattedrale
Otranto, particolare del mosaico della Cattedrale
di Antonio ERRICO
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Domenica 14 Aprile 2019, 20:50
In una lettera del 5 gennaio 1871 indirizzata a Francesco Florimo, Giuseppe Verdi scriveva: torniamo all’antico e sarà un progresso. Antico è quello che è venuto prima e che ha lasciato traccia, resistendo all’infuriare del tempo, all’erosione che fa l’oblio. Antico è l’universo greco-latino da cui proveniamo, che configura il nostro pensiero, il nostro linguaggio, la nostra visione del mondo.
Antico è il Salento, per esempio.
Antica è la cattedrale di Otranto, la chiesa di San Domenico Maggiore a Taranto; sono antiche le colonne romane di Brindisi. Alla notte dei tempi appartengono la Donna di Ostuni, la Grotta delle Veneri di Parabita, la grotta del Cavallo e di Uluzzu, la Romanelli di Castro, e poi i dolmen e i menhir che dialogano con il cielo, e Alexia e Bavota, e anche la pietraia dov'era una volta Casole con i suoi codici spalancati sul Mediterraneo, Santa Caterina d'Alessandria a Galatina, le chiese rupestri, la Centopietre di Patù, il Crocefisso nero della Cattedrale di Nardò, le torri a strapiombo sul mare.
Sono antichi il pane, l'olio, il vino.
La nostra esistenza è circondata di antico; si regge sull'antico.
Nei fatti che riguardano la cultura, probabilmente bisogna diffidare di tutto quello che diventa vecchio: vecchie idee, vecchie storie, vecchie convinzioni. Il vecchio è insignificante perché non produce senso oppure perché produce un senso rugginoso, qualche volta perfino rancoroso, che contamina l'espressione di un nuovo senso, l'immaginazione di un mondo diverso, migliore.
Ma nei fatti che riguardano la cultura non si può trascurare tutto quello che risulta antico, perché, semplicemente, riproduce il senso della storia. E' sul senso della storia che si realizza il progresso. E' con il senso della storia che si attraversa il proprio tempo scrutando l'orizzonte di un tempo a venire.
Forse Giuseppe Verdi voleva dire questo. Forse voleva dire che il progresso può generarsi soltanto se si riesce a penetrare nella stratificazione di significati che il tempo custodisce nei simboli dell'antico. Forse per questo compose il Nabucco.
Omero è antico. Però se si vuole comprendere com'è che lentamente si conformano i destini e com'è che improvvisamente si deformano, che quello che accade intorno a noi è sempre accaduto intorno agli altri, è con quell'antico Omero che bisogna fare i conti. Se si vogliono capire i furori incontenibili delle battaglie, i miraggi strabilianti dei viaggi, la paura e l'attrazione dell'ignoto, la disperazione smisurata dei naufragi, se si vuole riportare la propria nostalgia in una categoria, e il proprio desiderio di ritorno in un'altra, perché una categoria consente di comprendere la rassomiglianza che hanno le emozioni, è con l'antico Omero che bisogna fare i conti.
Forse si potrebbe anche dire che l'antico rappresenta un modello.
Se è anche così che si può dire, allora bisogna chiedersi se il progresso ha bisogno di modelli, e poi se oggi, noi, abbiamo bisogno di modelli per compiere il nostro progresso.
Probabilmente le risposte potrebbero essere davvero molte, in relazione all'idea che ciascuno ha di progresso e di modello.
Tra le tante, si può accettare anche quella che non esiste nulla che non abbia un modello, un riferimento, un archetipo, un prototipo, un esemplare. Non esiste nella scienza e non esiste nell'arte, nella tecnica, nella tecnologia. Forse non esiste nemmeno in natura. Certamente non esiste nelle faccende della cultura né in quelle che riguardano le forme, le articolazioni, le espressioni della società. Ogni fatto, ogni fenomeno, ogni storia, hanno sempre un'origine, e l'origine è sempre antica.
Se si procede senza un modello, con molta probabilità ci si perde lungo la strada, oppure si giunge ad un esito che risulta confuso e di conseguenza improduttivo.
Ogni progresso è lo sviluppo, il perfezionamento di un modello. Il linguaggio, per esempio. L'evoluzione della specie.
Ma il modello è sempre antico: viene prima; è precedente, preesistente.
Allora per realizzare un progresso si ha bisogno di ripristinare i significati dell'antico, di rifondarli, rielaborarli, rigenerarli. Questa rigenerazione si può verificare soltanto attraverso una conoscenza profonda. Ma non ci può essere profondità della conoscenza se si limita lo sguardo alla contemporaneità, in quanto la contemporaneità rappresenta l'ultimo strato di una costante o incostante ma comunque ininterrotta sovrapposizione di elementi. La contemporaneità ha sempre un'origine antica.
Così, se si vuole comprendere quello che adesso accade in Salento, nel Paese, in Europa, sul Mediterraneo, nel mondo, se si vuole comprendere perché accade, se in ogni contesto si vuole determinare un progresso di idee e di prassi e di esistenze, è necessario, indispensabile, perforare gli strati, indagare i motivi e i moventi: giungere fino all'antico.
L'antico si può chiamare storia, per esempio, e la storia non si può ignorare, non può essere indifferente. Si deve conoscere e interpretare. Ogni progresso matura nella conoscenza della storia. L'altro, quello che non matura nei campi della storia, è materia che non dura.
Ogni contemporaneità arriva sempre ad un punto in cui deve decidere che cosa vuole che resti della sua esperienza e che cosa vuole scaraventare nel pozzo senza fondo dell'oblio.
Il tempo che attraversiamo forse sta arrivando al punto in cui si ritroverà a dover decidere.
Alcune delle storie che ci accadono intorno derivano dal niente. Altre, e forse molte, derivano dall'antico anche se talvolta non ne abbiamo consapevolezza.
Se questo tempo deciderà di salvare quelle che derivano dal niente, la storia non potrà fare altro che registrarlo con le definizioni di vacuo, superfluo, inconcludente.
Se deciderà di riconoscere e di salvare quelle che derivano dall'antico, che si sviluppano su strutture sociali, culturali, semantiche vigorose, probabilmente la storia lo registrerà con le definizioni che si adottano per i tempi di progresso.
Allora non sarebbe affatto ozioso farsi tornare in mente, di tanto in tanto, quella frase di Giuseppe Verdi: tornate all'antico, sarà un progresso.

 
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