Amazzonia, il rogo che cambierà la vita del pianeta

Gli incendi in Amazzonia
Gli incendi in Amazzonia
di Erasmo D'ANGELIS
4 Minuti di Lettura
Domenica 25 Agosto 2019, 18:26 - Ultimo aggiornamento: 18:28
“Può, il batter d’ali di una farfalla in Brasile, provocare un tornado in Texas?”, così strappò un sorriso ai suoi colleghi durante una celebre conferenza nel 1972 uno dei pionieri della moderna meteorologia, lo statunitense Edward Lorenz. Spiegava allora l’Effetto Butterfly, vale a dire la possibilità che un minimo movimento di molecole d'aria generato dal battito d'ali possa causare una catena di movimenti fino a scatenare un uragano a migliaia di chilometri di distanza. La sua metafora è oggi una certezza scientifica. Brucia l'Amazzonia? Il battito d'ali brucerà inesorabilmente anche noi. Il pianeta è infatti più interconnesso di quanto si creda, la nostra atmosfera non conosce confini, e l'uso e l'abuso selvaggio della natura in una parte di mondo diventa un problema maledettamente serio per tutti perché produce effetti glocal, globali e locali.

Ecco perché devono preoccuparci, e molto, gli immensi roghi sfuggiti al controllo nell'Amazzonia brasiliana ai confini con Bolivia e Paraguay, in grado di oscurare anche il sole di San Paolo creando in pieno giorno l'effetto notte. Un disastro ambientale planetario è in corso da settimane di tragica indifferenza e nella complicità del governo brasiliano che con il suo presidente Jair Bolsonaro favorisce la deforestazione dell'Amazzonia a scopi produttivi. Dopo aver negato, accusato scienziati e Ong, licenziato Ricardo Galvão direttore dell'istituto spaziale per la diffusione dei dati sui roghi, messo con le spalle al muro dalle proteste del mondo esplose sui social e dalle minacce dal vertice del G7 di Biarritz in Francia di tagli ai contributi e ritiro dell'accordo di libero scambio, solo oggi proverà a muovere l'esercito contro un nemico che richiederebbe l'intervento di una protezione civile mondiale.

C'è da dire che in questa pazza estate incendiaria, la più calda nella storia dell'umanità, siamo all'esatto replay dei bagliori dei più giganteschi incendi boschivi della Siberia che stanno impattando sull'ambiente e sul riscaldamento globale e sullo scioglimento dei ghiacci dell'Artico. E anche gli ettari di foresta pluviale amazzonica trasformati in immani torce non divorano solo il patrimonio verde dell'umanità, ma ridurranno le piogge e l'acqua, sparano in atmosfera dosi di anidride carbonica in grado di accelerare ancora il global warming, renderanno più esposte agli effetti estremi meteo-climatici le zone del mondo sotto pressione climatica. E tra queste c'è l'area mediterranea, e c'è soprattutto l'Italia, e c'è in particolare il Sud della penisola già avamposto di aree in desertificazione, rischi per l'aumento del livello del mare, effetti del cuneo salino che colpisce gli acquiferi costieri, costi enormi per la gamma di catastrofi.

L'Amazzonia preoccupa il mondo perché è una ciambella di salvataggio del Pianeta, è un polmone verde grande all'incirca quanto l'Unione europea e con i suoi ecosistemi misura 6mila km2, ed è il nostro più grande generatore d'ossigeno che fa respirare la Terra producendone il 20%, e lavora come un assorbente di CO2. È l'immensa ricchezza naturale ma non viene considerata tale perché i beni della natura non rientrano mai nei parametri dei sistemi economici. Questo ecosistema delicatissimo e irripetibile contiene il 10% della biodiversità mondiale e svolge un ruolo fondamentale di contrasto al riscaldamento globale perché il verde e gli alberi sono anche regolatori dei fenomeni atmosferici, producono quel vapore acqueo che aumenta le precipitazioni che i venti trasportano fino a noi. Le sue immense foreste sono sotto attacco da tempo, come lo è in Africa la grande foresta tropicale del bacino del Congo, o in Asia le foreste dall'Indonesia al Borneo che formano il secondo polmone verde del pianeta. L'ultima valutazione globale delle foreste dell'Onu denuncia dal 1990 ad oggi la perdita di 129 milioni di ettari di foresta, quanto l'intero Sud Africa. Se nel 1990 costituivano il 31,6% del territorio mondiale con 4.128 milioni di ettari, nel 2015 sono scese al 30,6%, a 3.999 milioni di ettari.

È da anni che ogni anno, nella stagione secca da luglio a ottobre, i satelliti dal cielo sopra l'Amazzonia rilevano molti incendi innescati dall'uomo. In questo 2019 sono stati finora oltre 80mila, e da luglio ben 2.255 km2 di foresta pluviale è stata ridotta in cenere, rispetto ai 597 dello stesso mese del 2018. Sono crimini contro l'umanità e contro la Terra. E servono azioni immediate anche per proteggere gli ultimi della Terra. Tra il Rio Negro e il Rio delle Amazzoni e le centinaia di altri fiumi che attraversano spettacolari paesaggi pluviali, sopravvivono almeno 500 comunità indigene che cercano di sfuggire a veri e propri massacri perché si oppongono alla deforestazione selvaggia per commerciare legname, aprire pascoli intensivi e convertire terreni alla coltivazioni della soya, alle estrazioni di minerali nella Bolivia di Evo Morales, alla distruzione dei villaggi.
corso, una visione e un governo globale sono necessari anche perché il Pianeta è uno, non ne esiste uno di riserva.

 
© RIPRODUZIONE RISERVATA