Rispettare la volontà degli elettori: la lezione di Moro sempre attuale

Aldo Moro
Aldo Moro
di Vincenzo TONDI DELLA MURA
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Domenica 18 Marzo 2018, 21:02
A quarant’anni dal rapimento e dalla tragica fine di Aldo Moro la sua lezione è sempre più attuale. La distanza storica dal contesto geopolitico in cui egli realizzò le scelte pagate con la vita, rende ora più agevole comprenderne le ragioni umane e politiche. Non c’è più l’ordine mondiale di Yalta e pure il successivo nuovo ordine globalizzato denuncia i segni di un’ennesima crisi. È dunque più agevole cogliere i tratti di un impegno politico giunto al martirio civile; un impegno connesso a un metodo dell’agire politico non più praticato. Questo è consistito nella legittimazione dell’avversario politico, da considerare come espressione di una realtà di popolo di per sé degna di rispetto.

Fu proprio l’applicazione di quel metodo a mitigare in Italia la rigidità delle conseguenze derivanti dal sistema geopolitico di Yalta. Il vincolo della democrazia ‘bloccata’ promanante da quel sistema, non fu mai tale da impedire l’effettivo sviluppo democratico del Paese. La presenza del più grande partito comunista all’interno dei paesi della Nato, per giunta parzialmente finanziato dall’Unione Sovietica, non fu avversata e discriminata; piuttosto, fu resa agibile in ambito istituzionale e sociale.

Il divieto geopolitico di partecipazione del Pci all’esecutivo (la cosiddetta conventio ad excludendum) fu sostanzialmente aggirato a tutela delle specificità politiche nazionali; fu risolto nel trasferimento della gestione dell’indirizzo politico dal Governo al Parlamento: il primo, rimase titolare della politica estera a tutela delle esigenze del patto atlantico; il secondo, divenne promotore ed esecutore della politica interna, da definire fra maggioranza e opposizioni (cosiddetta democrazia consensuale). All’instabilità di governi deboli e rimessi alle oscillazioni dei partiti di maggioranza, corrispose la stabilità di un Parlamento forte, capace di assumere le decisioni principali con il contributo dell’opposizione (il cosiddetto parlamentarismo integrale).

Si trattò di una linea di sviluppo non casuale e dalle salde motivazioni. Sul fronte della Democrazia Cristiana, essa prese le mosse dalle iniziali intuizioni di apertura della Chiesa verso la modernità, sviluppate negli anni ’30 da Maritain e Montini, per passare poi alla disponibilità al compromesso costituzionale, maturato in Assemblea costituente con il contributo realista di Moro, La Pira, Dossetti, ecc., sino ad arrivare alle politiche di sviluppo economico e sociale dei decenni successivi. Sul fronte dei partiti d’opposizione, del pari, essa fu prontamente colta da un approccio parimenti realista dimostrato da alcuni dei relativi leader (Togliatti, Rodano, Berlinguer, ecc.).

L’esito di una tale linea di sviluppo avrebbe potuto consentire uno “sblocco” anche formale della precedente democrazia incompiuta. Il “compromesso storico” avrebbe potuto innescare una serie virtuosa di conseguenze sul piano internazionale e nazionale. Nel primo senso, avrebbe potuto costituire un’occasione di flessibilità del sistema geopolitico: una volta assicurata l’adesione italiana al patto atlantico, esso avrebbe potuto fare del Pci italiano, ormai scollegato da Mosca, il punto di riferimento della sinistra d’Occidente; avrebbe potuto indurre l’Unione sovietica a intraprendere un cammino di riforme ben prima dell’era Gorbacev. Del pari, sul piano nazionale avrebbe potuto affermare un modello di convivenza originale, inclusivo e capace di realizzare il benessere sociale del Paese pur nelle contraddizioni della difficile trasformazione economica in atto: da agricola a industriale, ovvero - per riprendere Pier Paolo Pasolini - da contadina a consumista.

In tal senso, si trattò di una linea di cambiamento epocale, che però rimase incompresa e, dunque, avversata; basti pensare a quanto svelò la vedova Moro in Commissione parlamentare a proposito delle minacce sillabate da Henry Kissinger al marito: “Lei la deve smettere di volere il Pci nel governo. O la smette, o la pagherà cara”.

L’assassinio di Aldo Moro ha impedito il compimento della linea di cambiamento perseguita. Gli stessi presupposti di quel metodo, culturali prima ancora che politici, sono stati resi impraticabili, sino a rimanere progressivamente senza interpreti e testimoni.

Lentamente il popolo è stato allontanato dalla politica e, con questa, dalla comprensione e dalla gestione degli interessi del Paese. Questi ultimi sono divenuti oggetto di decisioni riservate, prescindendo dai luoghi istituzionali e soprattutto dalle ragioni della mediazione. Così accadendo, tuttavia, sono entrati in conflitto senza più possibilità di soluzione. Se nel ’77 Giovanni Testori iniziò la sua collaborazione al Corriere con un articolo intitolato “La cultura marxista non ha più il suo latino”, con il quale accusava la progressiva trasformazione degli “atti rivoluzionari” in “atti bancari”, il seguito è stato ancora peggio: nessuna cultura ha mantenuto “il suo latino” e gli anticorpi culturali ed etici che sostanziavano il tessuto connettivo del Paese, sono stati svuotati di contenuto.

La seconda Repubblica si è esaurita in una contrapposizione senza fine, in un moralismo divisivo funzionale a celare la sostanziale espromissione del popolo dalla politica. Specialmente nell’ultimo quasi ventennio (dal Porcellum in poi) un Parlamento rappresentato in modo artefatto e illegittimo ha preteso di sancire anche formalmente il tutto, brandendo un riformismo istituzionale ed elettorale che ha contribuito ad avvelenare la vita democratica. A trent’anni dalla fine della guerra fredda, il “blocco” apparente della democrazia del dopoguerra si è così risolto nel “blocco” effettivo delle condizioni di sviluppo economico e sociale del Paese; sicché a crescere è stata soltanto l’Italia del rancore fotografata dal Censis.

Eppure, proprio i risultati così imprevisti delle ultime elezioni politiche del 4 marzo, come del resto quelli delle passate consultazioni referendarie dello scorso 4 dicembre 2016, dimostrano anche qualcos’altro. Le fluttuazioni di voti dai precedenti partiti di Governo (Partito Democratico e Forza Italia) alle nuove formazioni d’opposizione (Lega e M5S) esprimono anzitutto un elettorato libero dai precedenti steccati posti al proprio consenso. Esse raccontano di un elettorato intenzionato a essere preso sul serio, determinato a essere rappresentato pienamente e senza frode, pena il diniego del proprio voto alle successive consultazioni.

A tal fine, però, occorrerebbe ritornare al rispetto della volontà degli elettori, rendendo loro quella dignità del voto oltraggiata nei trascorsi decenni; occorrerebbe restituire piena osservanza alle procedure parlamentari e democratiche, rispettando anche i partiti non organici alle maggioranze di governo. Occorrerebbe tornare alla lezione di Aldo Moro.




 
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