di Angela NATALE
Non avrebbe voluto fare il consigliere, meno che mai l'assessore,

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Lunedì 4 Marzo 2019, 18:34
di Angela NATALE
Non avrebbe voluto fare il consigliere, meno che mai l'assessore, figurarsi vestire l'abito gessato di sindaco. Fosse dipeso da lui così racconta sarebbe rimasto segretario di partito a vita. Bello gestire i rapporti di forza, accontentare tutti, destreggiarsi da capo nei palazzi istituzionali e oltre. Ma i tempi sono cambiati: la prima Repubblica consegnata alla storia politica del Paese e la Dc, il suo partito, morta e sepolta. Non per Salvatore Capilungo, classe 1928, l'uomo che non doveva chiedere mai, tanta era la sua influenza negli animi pii e andreottiani dello Scudocrociato. «Non ho mai cambiato casacca» dice fiero. Non ha più preso tessere: né di Forza Italia, partito per il quale - ammette - di aver votato due volte. Né della Margherita nata a seguito degli scismi in seno agli ex democristiani e agli ex comunisti. Votava secondo coscienza. Non il partito ma l'uomo. E l'uomo che oggi più lo convince «in questa terra di nessuno» è Matteo Renzi. Al referendum costituzionale gli ha dato il suo sì. L'idillio, al momento continua. Ma - sarà l'età - senza grandi slanci, fremiti, battiti di cuore. Il suo cuore oggi batte al cospetto di una palma, di un albero di ulivo, di un mandorlo in fiore. Sì, fa il giardiniere per passione nella sua villa adiacente al Conservatorio, l'ex sindaco di Lecce. E coltiva, a modo suo, l'amore nei confronti di una città che, fin quando ha potuto - dal '70 al '76 - ha amministrato con piglio patriottico. Come? Scrivendo libri. Duemila pagine conta l'ultima fatica di Sisifo. Un'enciclopedia guidata alla scoperta di Lecce, di ciò che è e di quel che è stata, al netto di quanto l'autore ha fatto da pubblico amministratore. «È in via di ultimazione», svela mentre cerca nel computer gli appunti che gli permettano di ricostruire con fedeltà e rigore gli anni del suo mandato di sindaco. E di quelli precedenti, quando da segretario cittadino, doveva vedersela con il despota trasformista Oronzo Massari e, prima ancora, con il monarchico gentile Gabriele Martirano e l'Uomo qualunque Nicola Nacucchi. Poi al potere, grazie a lui, sono arrivati i fedeli Agrimi, Sellitto e, una volta istituite le Regioni, che si sono prese i pezzi da novanta dai territori, la middle class della politica cittadina targata Dc ha preso il volo. Tra le operazione politiche clamorose che Capilungo ricorda, rivendica e cita c'è l'intesa, raggiunta a San Foca la sera dell' 8 gennaio 1965, tra i 22 consiglieri della nuova maggioranza (13 Dc 12 massariani ). Dopo 15 anni di cruenta contrapposizione; erano previsti sindaci Sellitto e Massari (ciascuno per metà del mandato amministrativo). «Questa soluzione ricorda - fondata su sentimenti di solidarietà, lealtà , rispetto reciproco e singole responsabilità, favorì un lungo periodo di stabilità amministrativa: la città vide migliorato il suo costume politico e di ciò ne trasse vantaggio anche la Dc salentina che vide accresciuto il suo consenso popolare». Gli ex amici di casacca, ma non di cordata, così lo ricordano: «È stato un sindaco forte, pragmatico, all'altezza». Catenaccio: all'altezza delle modalità con cui si gestiva il potere e l'amministrazione cittadina negli anni '70 e '80. Non voleva fare il consigliere comunale, avrebbe volentieri rinunciato alla poltrone di assessore, e meno che mai aspirava a quella di sindaco, riconferma lui. E invece È stato consigliere, assessore (con Sellitto), e due volte primo cittadino. Come lo spieghiamo? Con i numeri. Capolista nella consultazione del 2 giugno 1970, con 5355 voti fu il più suffragato. Compose una maggioranza Dc, Psi, Psdi, Pri, che lo elesse sindaco a luglio con 23 voti su 38 votanti (assenti Poli e Petrucci). La destra prese le distanze con parole sante: il consigliere onorevole Piero Sponziello in assemblea consiliare sottolineò che lui non affidava il suo dissenso a questioni di carattere personale verso il sindaco designato, per il quale, anzi, esprimeva stima e considerazione. La giunta era composta da quattro assessori di marca democristiana Raffaele Anguilla, Francesco Corvaglia, Raffaele Extrafallaces, Lorenzo Errico (supplente); due del Psi (Michele Maddalo, vicesindaco), Lorenzo Quarta (supplente); uno del Psi (Francesco Pinto) e uno del Pri Antonio Marti. A metà del ciclo amministrativo gi assessori Anguilla, Extrafallace ed Errico furono sostituiti, per una rotazione, decisa nella Dc, dai consiglierei Teresio Mariano, Elio Martano e Bruno Tamburrano. Non voleva fare il sindaco, il sempre giovane Salvatore Capilungo, ma sindaco di nuovo fu. Ancora capolista nella consultazione del maggio 1975, rieletto compose una maggioranza Dc. Pri e Psdi. La giunta comunale, non proprio di primo pelo, era composta da Antonio Marti (vicesindaco); Francesco Corvaglia, Enzo Ferrante, Lorenzo Errico, Salvatore Meleleo, Sante Morello, Antonio Torricelli, Raffaele Pozzi. Tutto filò liscio (o quasi) per due anni. Anni in cui l'attività amministrativa andava spedita. Con lui al comando, si costruì il sottovia veicolare e pedonale di via del Mare; la galleria di piazza Mazzini e la monumentale fontana; si realizzo la grande piazza del Palio e i quattro edifici scolastici adiacenti; fu demolita l'ex caserma Massa, si diede un palazzetto dello sport alla città; si completò e arredò il nuovo palazzo di giustizia di via De Pietro; si inaugurò la nuova sede del Conservatorio grazie ai 4.000 mq offerti dal Comune; venne attivato il nuovo archivio comunale nella propria sede che consentì di recuperare centinaia di documenti di eccezionale interesse e valore storiografico; furono ampliate le utenze telefoniche coprendo quasi tutta la città (prima solo un abitante su quattro possedeva il telefono); fu progettato e approvato dal Cipe il porticciolo turistico a San Cataldo; fu messo su, con otto chioschi in pianta stabile, il mercatino dei fiori, che consentì la demolizione delle vecchie baracche nel viale del cimitero; fu restituita al suo originario splendore la Torre di Belloluogo; ristrutturato e ammodernato il convento degli Olivetani dopo decenni di vergognoso abbandono e doloroso oblìo . E poi tanto altro ancora. E nell'altro ci sono anche manifestazioni culturali degne della Lecce di oggi che ha la bussola della propria economia rivolta al turismo. Il piatto forte era il Premio del cinema Rodolfo Valentino. Nato da un'idea di Carlo Apollonio nel 1972 e assegnato ai grandi divi della cinematografia mondiale, per i primi nove anni l'evento si tenne a Lecce, al Politeama. Fu il sindaco Capilungo a benedirlo e a sostenerlo, perché dice oggi «Lecce doveva proiettare le sue infinite bellezze storiche, paesaggistiche e architettoniche in tutto il mondo». E fu così che sbarcarono nel profondo sud divi del calibro di Richard Burton, Elisabeth Taylor, Alain Delon lasciando di stucco la città e mobilitando al loro seguito folle di curiosi. Un'altra Lecce era possibile, secondo il sindaco Capilungo. Ma fu allora che avvenne il fattaccio: la vicenda legata all'acquisto di un'autoclave nel periodo del colera. Il tribunale aprì a suo carico un procedimento penale che si risolse nel 1979 con la piena assoluzione. «Fu un processo assurdo» disse allora e ricorda oggi l'ex sindaco. «Volutamente strumentalizzato nella lunga fase istruttoria ed accusatoria da colui che tenne in mano i fili della vicenda con scarsa obiettività e con evidente interessi politici di parte». Di chi parla? Di Francesco Corvaglia. «Non vedeva l'ora di essere sindaco. Mi ha pugnalato». Capilungo si fece da parte. Di più, sparì dalla scena cittadina. Non prima però di avere lasciato ancora una volta il segno, designando il suo successore: l'amico Salvatore Meleleo.
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