Veli griffati, jeans per islamici, ma il burkini da noi non si vede

Veli griffati, jeans per islamici, ma il burkini da noi non si vede
di Azzurra Meringolo
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Giovedì 18 Agosto 2016, 23:59
ROMA Non è nato né in Arabia Saudita né in Afghanistan, ma in Australia, dove la stilista di origini libanesi Aheda Zanetti lo ha disegnato per aiutare le musulmane a superare un ostacolo che impediva loro di diventare bagnine: scoprire il corpo in un luogo pubblico. È questa la genesi del burqini, una specie di muta che copre tutto il corpo femminile eccetto le mani, i piedi e il volto. «Per i musulmani più conservatori, anche il burqini è troppo perché mostra delle parti del corpo.

IN SPIAGGIA Nella maggioranza dei casi, nei Paesi musulmani le donne che vanno al mare si coprono utilizzando dei normali vestiti con i quali fanno il bagno. Per questo il burqini si è diffuso soprattutto tra le comunità musulmane della diaspora, dove a usarlo sono le musulmane che non rinunciano a frequentare le spiagge dei Paesi nei quali vivono e vogliono osservare i precetti della loro religione, indossando qualcosa di più comodo rispetto ai vestiti normali» spiega Renata Pepicelli, docente presso l’Università Luiss e autrice di Il Velo nell’Islam: storia, politica, estetica (Carocci 2012). In Italia però, dove la comunità musulmana non è numericamente paragonabile a quella francese, di burqini quasi non se ne vedono. Chi ha provato a mapparli, questa estate ne ha contati pochissimi, 42, concentrati soprattutto sulle spiagge romagnole, dove a indossarli sarebbero in primis turiste straniere. Anche se questi dati vanno presi con le pinze, anche Arena, primo marchio a lanciare il burqini nel nostro Paese, conferma che le vendite di questo prodotto nel nostro Paese sono nulle. Eppure, la moda islamica è un settore in piena espansione. Nel 2013 le musulmane hanno speso 235 miliardi di dollari in vestiti e scarpe che rispettano le loro credenze. Una cifra che secondo Le Parisien è destinata a salire a 500 miliardi entro il 2019.
 

I GRANDI MARCHI Per questo motivo, i grandi marchi francesi hanno scelto di dedicare alcune collezioni ai clienti musulmani, allestendo le vetrine dei propri showroom nelle principali vie della moda – Champs Elysee, Avenue Montaigne, Faubourg Saint-Honoré, Monte Napoleone e Oxford Street – con veli griffati. È questo infatti il capo di punta del settore che cerca offrire a ogni donna il suo velo, consentendo alle musulmane di esprimere così la loro personalità, tenendo insieme l’estetica, il piacere del bello e la religione. E questo è possibile anche nella diaspora, dove, grazie a shop online, si riescono ad acquistare i diversi veli e avere consigli su come indossarlo. Scorrendo i cataloghi virtuali, ci si imbatte anche in collezioni “italian style” che si ispirano alla nostra eleganza e ad alcuni luoghi turistici del nostro Paese come Venezia e Positano.

La moda halal va però ben oltre il velo.
Proprio nel nostro Paese sono nati dei jeans con un apposito taglio all’altezza delle ginocchia, comodo per potersi inginocchiare durante le cinque preghiere quotidiane. Un prodotto dal successo incerto, visto che i jeans non sono un capo d’abbigliamento accettato indistintamente da tutti i musulmani. Più sicuro invece il mercato dedicato ai bambini, dove abbondano le magliette e i bavaglini con scritte che esprimono l’orgoglio di essere musulmani. Tra gli italiani che investono nel settore -magari adattando il loro stile alle esigenze musulmane, proponendo completi di leggins su camicioni o trasformando la gonna lunga in un capo d’abbigliamento da tutti i giorni- ci sono anche Dolce & Gabbana. Sono stati loro a realizzare la prima linea di elegantissime abaya per donne musulmane. A indossare una di queste tuniche, obbligatorie in Arabia Saudita, è anche Fulla, la prima Barbie velata comparsa sul mercato. E le bambine che la ricevono in regalo possono trovare nei negozi vestiti e veli della loro taglia identici a quelli di barbie Fulla.
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