Lapo, tra eccessi e finanza, la rovina dell’Elkann che sognava di diventare il nuovo Avvocato

Lapo, tra eccessi e finanza, la rovina dell’Elkann che sognava di diventare il nuovo Avvocato
di Massimo Novelli
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 30 Novembre 2016, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 14:39
Se fosse vissuto negli anni Venti o Trenta del Novecento, magari Francis Scott Fitzgerald gli avrebbe riservato un ruolo tra i suoi “belli e dannati”. Oggi, in queste cronache in cui abbondano i Fabrizio Corona e i Lele Mora, i Flavio Briatore e le veline, i calciatori miliardari e le modelle, i finanzieri e gli imprenditori di carta, Lapo Elkann, classe 1977, nipote dell’Avvocato per antonomasia, cioè Gianni Agnelli, è semplicemente uno dei tanti eroi del nostro tempo.

Un tempo, beninteso, dove conta l’apparire; e in cui lo stile, la misura, sono scomparsi come la cultura di cui parlava Leo Longanesi: quella “cultura” che «è un lusso che il ricco borghese non pratica e non rispetta più».
Eppure Lapo, secondogenito di Margherita Agnelli (figlia dell’Avvocato) e di Alain Elkann, con studi fra Parigi e Londra, aveva cominciato più come in una saga alla Buddenbrook che come in un articolo di un giornale diretto da Alfonso Signorini.

Soldato semplice nella Brigata Taurinense, quando c’era la vecchi naja; operaio in incognito più o meno reale alla Piaggio per qualche mese, come il cugino Giovannino Agnelli, e accreditato persino tra i partecipanti a uno sciopero. Ma un vizio di famiglia, forse, lo stava già divorando: voleva la grande scena, la grande cronaca, magari la storia. E guardava all’esempio del nonno. Quell’Avvocato che Pietro Citati, in un memorabile “Elogio del pomodoro” uscito nel 2011 in un libro dal titolo omonimo, descriveva in questo modo: «Gianni Agnelli ha avuto l’unico merito storico di portare l’orologio sopra il polsino».

LE ESPERIENZE GIOVANILI
Lapo Elkann, almeno per ora, non vanta meriti storici. Però, a suo modo, ha provato a indossare un metaforico “orologio sopra il polsino”. Inizia bene. Fa le sue brave esperienze in Maserati e in Ferrari, collabora con Henry Kissinger, presto entra in Fiat dove si occupa di comunicazione e di “brand”, altra magica parolina del mondo odierno.

Ha talento, dicono che è davvero geniale; intreccia amori con stelle e stelline di turno. E s’inventa la felpa con lo storico marchio Fiat impresso sopra, che ancora oggi i “modaioli” (di ieri) sfoggiano con orgoglio. Responsabile della promozione per Fiat, Alfa Romeo e Lancia, partecipa al lancio della nuova Fiat 500. 

Poi, come in una “resistibile ascesa” brechtiana, il primo crollo. Il 10 ottobre del 2005, a Torino, dopo una notte trascorsa con alcuni transessuali e segnata da un grande uso di droghe in un modesto alloggio a pochi metri dalla sede del quotidiano di famiglia La Stampa, viene ricoverato in coma in un ospedale cittadino. Overdose da stupefacenti assortiti. Nel pomeriggio dell’11 ottobre, i medici danno una comunicazione ufficiale alla folla di giornalisti convenuta: prognosi riservata, ma è fuori pericolo.

Lo scandalo è notevole, tanto che Lapo, ristabilitosi, è costretto a lasciare l’incarico in Fiat. Ma questa volta i giornali, pure La Stampa, non fanno i salti mortali per scrivere il meno possibile sulla vicenda, come era capitato qualche anno prima, quando Edoardo Agnelli, il figlio dell’Avvocato, era stato trovato morto, suicida, sotto un ponte dell’autostrada Torino-Savona.

LA PARENTESI AMERICANA
Il figlio di Margherita Agnelli, che intanto cerca di recuperare in tribunale un po’ del tesoretto (all’estero) del padre, va negli Stati Uniti, si disintossica, ritorna in patria e si stabilisce a Milano. Nuove iniziative imprenditorali lo coinvolgono, tra moda e “glamour”, design (progetta occhiali che costano un patrimonio) e “made in Italy”, finanza e movida. Quota una società in Borsa, l’Italia Independent; crea un altra impresa, la Garage Customs. I giornali americani lo lodano, Vanity Fair lo incorona quale maestro di eleganza, El Paìs scrive che è «l’ultimo principe d’Italia.

Tuttavia quel desiderio di essere un eroe del suo tempo, purtroppo per lui un tempo di miseria morale e civile, lo assilla. Nel 2007 e nel 2008, quindi nel 2011, viene più volte chiamato in causa dai giornali per avere lasciato in incredibili divieti di sosta, in piazze e vie di Torino e di Milano, bloccando il passaggio dei tram, le sue auto di lusso: Maserati, Ferrari azzurra bicolore, jeep. In certi casi i vigili lo multano, in altri no.

Non sono imprese degne di passare alla storia, certo, tuttavia sono imprese perfette per le cronache di questo nostro tempo. Anche Fabrizio Corona, del resto, ne fa di simili, e sicuramente di ben peggiori. Meno perfetto è quanto succede nell’inverno del 2014, a Milano. Nuovamente implicato in una vicenda di droga e di sesso triste, ne vive un’appendice caratterizzata da un presunto tentativo di ricatto nei suoi confronti. Lapo, comunque, sembra averci fatto il callo a quanto dicono i giornali, soprattutto quelli scandalistici: ammette di avere fatto delle fesserie, ma ricorda pure che in Italia l’eccentricità non è accettata. E non ha timore, nell’ottobre del 2013, di raccontare a Il Fatto Quotidiano di avere subito abusi sessuali in collegio, quando aveva 13 anni.

Dopo ogni “notte brava” promette che cambierà vita. Invece ancora una volta, adesso, ci è ricascato. Da ragazzo, ha affermato in varie interviste, sognava di diventare come l’Avvocato. Un giorno ha capito che non sarebbe andata così. Non è detto, in ogni caso, che non possa passare alla cronaca, se non alla storia, per avere trovato anche lui un “orologio sopra il polsino”. Scandisce la sua volontà di vivere al di sopra tutte le righe. Un eroe del nostro tempo, allora, in tutto e per tutto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA