Coronavirus, lavoro: per le donne la crisi sarà più dura

Coronavirus, lavoro: per le donne la crisi sarà più dura
di Maria Lombardi
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Sabato 11 Aprile 2020, 12:16 - Ultimo aggiornamento: 12 Aprile, 13:08

Sarà dura per tutti, per le donne di più. La paura del contagio, chissà per quanto ci accompagnerà, e quella della vita che ci aspetta. Niente è più scontato. Il lavoro, per adesso e per chi può, è dentro casa, sperando che resista. Precarie, part-time, con contratti ballerini o a tempo determinato in percentuale decisamente maggiore degli uomini, le lavoratrici rischiano di pagare di più. Tante in casa ci resteranno ben oltre la quarantena. E tanto cambierà. Nell'immediato in peggio, potremmo tornare indietro negli anni e perdere tanto spazio conquistato. Ma nel lungo periodo la rivoluzione smart working potrebbe scardinare vecchi modelli di lavoro al maschile e introdurre nuovi stili più flessibili che facilitano la conciliazione famiglia e carriera. Lei e lui colleghi in casa, ma questa volta dividiamo meglio i compiti: in due si lavora e in due si svuota la lavastoviglie.

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LO SVANTAGGIO
Ci vorrà tempo e anche fatica. I mesi che ci aspettano, tutti in salita. «Nelle crisi le fasce deboli soffrono di più e le donne sono particolarmente fragili nel mercato del lavoro». Paola Profeta, professore associato di Scienza delle Finanze all'università Bocconi ed esperta di economia di genere, sottolinea lo svantaggio da cui si parte: in Italia meno di una donna su due lavora (il 48,9 %), un terzo ha impieghi part-time (contro l'8,7 per cento degli uomini), il 13,7 per cento ha contratti a tempo determinato. E chi lavora guadagna in media il 10 per cento in meno. In tutto il mondo quasi il 60% delle donne «lavora nell'economia sommersa guadagnando di meno, risparmiando di meno e affrontando un rischio maggiore di cadere nella povertà», è l'allarme appena lanciato dal segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres.
«In Italia stavamo ancora cercando di capire come lanciare l'occupazione femminile e recuperare, adesso sarà ancora più difficile colmare il gap». Una crisi diversa e più profonda di quella del 2008. «In quell'occasione l'occupazione femminile non era stata colpita più di quella maschile. Aveva rallentato ma senza precipitare», aggiunge la professoressa Profeta. «Nei settori che più avevano risentito della recessione, finanza e industria, le donne erano meno presenti. In questa crisi le donne sono più esposte e rischiano tanto: il turismo, il commercio, la comunicazione, ad alta presenza femminile, avranno un duro contraccolpo e non ripartiranno subito. Nel breve periodo, dunque, le donne rischiano di pagare molto: i contratti part-time o a tempo determinato in queste congiunture sono i primi a saltare».
Ma proprio da momenti così può nascere il cambiamento. «Nel lungo periodo - spiega Paola Profeta - lo smart working e l'isolamento nelle case possono innescare uno choc culturale all'interno delle famiglie e nelle coppie. Sappiamo che uno dei fattori del gender gap è lo squilibrio nella divisione del lavoro domestico e di cura, tutto sulle spalle delle donne, che si trasforma in minore disponibilità sul mercato e una difficoltà a conciliare carriera e figli. Lo smart working, se implementato, può portare a un migliore bilanciamento tra vita professionale e familiare, non solo per le donne ma anche per gli uomini».
Passi indietro non se ne possono fare. «Una contrazione dell'occupazione femminile non ce la possiamo permettere e dunque si dovrà intervenire per proteggerla». Quello a cui sta già pensando la ministra della famiglia e delle pari opportunità Elena Bonetti che, ha annunciato, proporrà di rendere più conveniente l'assunzione delle donne con tasse più leggere. «Ritengo - ha spiegato - che l'impulso di energie e di risorse non possa che arrivare dalle donne. Sembrerebbero più resistenti al coronavirus, quindi non è da escludere che tornino prima in campo. Inoltre per la ripartenza occorreranno capacità di relazioni, sociali, lavorative e di cura familiare. E le donne sono allenate a questo».

NUOVI MODELLI
Cosa ci sta insegnando questa crisi?, si chiede Paola Mascaro, presidente di Valore D, l'associazione di imprese impegnata per l'equilibrio di genere. «Se è vero che lo smart working, in questa emergenza, si è trasformato in estreme working per le donne, con i carichi di cura sulle loro spalle, a lungo andare potrà rappresentare un'innovazione sociale e culturale. E soprattutto contribuire al passaggio da uno stile di comando e controllo, in cui la presenza fisica contribuisce a determinare la valutazione delle performance, ad uno stile di delega e fiducia, che è tipico del lavoro a distanza».
Le mamme lavoratrice, tante volte, sono state punite da un modello che premia le ore passate alla scrivania, non potendo sostenere quei ritmi. «Un modello diverso che valorizza i risultati rispetto alla presenza fisica può aiutare le donne a conciliare meglio la vita lavorativa e quella familiare. Ma non solo loro. Può consentire anche agli uomini di trovare altri equilibri ed essere più presenti e collaborativi in famiglia». E se le donne rientrassero prima? «Sarebbe di certo un'opportunità di dare evidenza al proprio lavoro e di trovare spazi per esprimersi anche a livelli più alti. Sperando che non accada, come nel dopoguerra: allora i ruoli conquistati dalle donne furono poi perduti. Senza dubbio adesso sarà necessario pensare a forme di incentivazione che sostengano e favoriscano il rientro delle donne al lavoro. Una cosa è certa: da questa crisi se ne esce insieme, non è pensabile che una metà sia tagliata fuori. Sarebbe un danno per le donne e per il paese».
 

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