Welfare, internet facile per sanare il gap dei servizi online

Welfare, internet facile per sanare il gap dei servizi online
di Francesco Malfetano
6 Minuti di Lettura
Mercoledì 30 Settembre 2020, 13:13 - Ultimo aggiornamento: 1 Ottobre, 10:21
Dopo aver smontato la demonizzazione tutta italiana dell’e-learning e dello smart working, l’emergenza Covid e la digitalizzazione forzata che questa ha innescato stanno continuando a generare cambiamenti in ogni settore. Così nel “mirino” ora è finito anche uno dei comparti tradizionalmente ritenuto tra i più complessi nella Penisola: il welfare. Che sia pubblico o integrato, il sistema welfare italiano sta faticando molto a trovare una sua collocazione digitale. E cioè nello sfruttare al meglio le tecnologie nuove per affrontare le criticità di sempre, da entrambe le parti. Tanto da quella degli erogatori dei servizi quanto, soprattutto, da parte dei beneficiari. Fatta eccezione per alcuni esempi virtuosi infatti, a colpire è soprattutto la scarsa conoscenza delle opportunità. Secondo il Welfare Index PMI appena elaborato da Generali Italia ad esempio, quasi il 40% dei lavoratori non ha consapevolezza dei servizi di welfare esistenti all’interno della sua azienda. Il 37,7% ne ha una conoscenza generale e appena il 22,9% sostiene di averne piena contezza.

L’inclusione

Appare quindi evidente come esista un deficit in termini di capacità reale di includere le persone nel sistema. Non una cosa da poco considerando l’importanza del welfare in tempi difficili come quelli di oggi. Un vuoto vero e proprio in cui può inserirsi il digitale. La maggiore accessibilità garantita dai nuovi strumenti e la loro capacità di monitorare e rendere più efficienti i sistemi - non si pensi solo alle app, ma anche all’Internet of Things (IoT) o le nuove possibilità di Big Data e Intelligenza Artificiale - può infatti rivoluzionare il rapporto stesso dei cittadini/lavoratori e delle imprese pubblico/private con i servizi di welfare. Non solo perché gli strumenti, per loro stessa natura, sono capaci di creare una connessione sempre più stretta tra domanda e offerta ma soprattutto perché, per la medesima natura, sono in grado di semplificare pratiche e fruizione. Basti pensare a quanto accaduto con i tradizionali buoni pasto, benefit per eccellenza, che nel giro di pochi anni sono diventati per tutti e-ticket, invertendo i rapporti di forza con la loro versione cartacea (ora il 70% sono digitali) e permettendo a milioni di lavoratori, che spesso hanno fatto di necessità virtù, di istruirsi sull’uso di applicazioni per smartphone o anche sui sistemi di archiviazione in cloud.

Il deficit

Il tutto ovviamente deve fare i conti con la poca padronanza del mezzo digitale diffusa nel Paese che, non a caso, secondo l’Indice di digitalizzazione della società e dell’economia elaborato dalla Commissione Europea, nel 2019 è quartultima in Ue. Le cose però, anche a causa dell’emergenza sanitaria, sono destinate a cambiare e il potenziale della digitalizzazione nel settore è enorme. Per quanto possa sembrare un paradosso, il fatto che l’innovazione si sia solo timidamente affacciata ai servizi sociali e sociosanitari del nostro Paese indica che le sue potenzialità devono ancora tradursi in impatti concreti per il sistema di servizi. Secondo le ricerche condotte da Eleonora Perobelli e Andrea Rotolo ad esempio, in riferimento a tre target dei servizi di welfare – anziani non autosufficienti, persone con disabilità e minori – l’utilizzo delle nuove tecnologie digitali è ancora molto limitata (ad esempio, meno della metà delle strutture residenziali per anziani le utilizza) e legata ai modelli di servizio tradizionali (si pensi all’utilizzo di dispositivi digitali e robot con l’obiettivo di ampliare i contenuti educativi degli asili nido, senza però cambiare ruoli, luoghi e modalità di erogazione). «C’è dunque ancora un ampio spazio inesplorato che attende coraggiosi innovatori», ha spiegato lo stesso Rotolo. Tra loro, ad esempio, si può iscrivere il colosso Cgm che, dopo aver sperimentato con il Comune di Tradate, nel varesotto, una piattaforma di welfare in cui i cittadini e i lavori potessero usufruire dei servizi forniti dalla cooperazione sociale, dalla salute all’assistenza, ha esteso durante il lockdown l’esperienza ad altre città lombarde prima, e poi ha superato i confini regionali.
Il risultato è la nascita di una piattaforma unica che agisce per eliminare nel welfare le distinzioni tra pubblico, territoriale, comunale e aziendale.

Le esperienze

La piattaforma si chiama WelfareX e permette di scegliere tra servizi alla persona, educativi, di utilità, ricreativi, attività dedicate al tempo libero, ma anche servizi informativi sulle agevolazioni pubbliche e buoni spesa. In questo modo cittadini e famiglie, ad esempio, possono trovare le migliori soluzioni per qualsiasi necessità, in particolare per i carichi di cura, direttamente sul territorio; i Comuni hanno la possibilità di selezionare servizi di qualità e metterli a disposizione di tutta la cittadinanza, gestire voucher, le domande per i bandi o sussidi e digitalizzare completamente la cartella sociale. Le aziende, sia di piccole che di grandi dimensioni, possono offrire ai propri dipendenti tutti i servizi tipici del welfare aziendale come rimborsi, voucher servizi e viaggi, fringe benefit e molto altro. Le fondazioni possono mettere a disposizione fondi per progettualità rivolte a determinate categorie di persone, oltre a monitorare e rendicontare in totale trasparenza. Se invece si guarda agli erogatori, in particolare a quelli pubblici come il Sistema sanitario regionale, la digitalizzazione può rappresentare anche uno strumento per ottimizzare. Per quanto al momento non vi siano strategie nazionali in merito, l’utilizzo di algoritmi e di intelligenze artificiali ad esempio è fondamentale. Un esempio è rappresentato dalla piattaforma Sinfonia progettata per supportare l’operatività del Sistema Sanitario Regionale (Ssr) campano. La piattaforma permette l’analisi del fenomeno sanitario nella sua completezza attraverso la gestione di grandi quantità di dati e di flussi, in modo tale da poter armonizzare l’incontro tra l’offerta e la domanda (grazie all’Intelligenza artificiale sarà possibile migliorare l’approvvigionamento di farmaci, andando a comprarli solo quando necessari), proporre nuovi modelli assistenziali e così ottimizzare la spesa farmaceutica e ospedaliera, migliorando i servizi territoriali. Un classico esempio di situazione vincente per tutti. Prima che però questa possa innestarsi davvero nelle vite di milioni di italiani c’è bisogno che il digitale diventi una prerogativa e non un accessoria. Un punto questo, su cui è necessario lavorare oggi più che mai. Le risorse infatti, grazie all’Europa ci sono. La volontà anche. Non resta che tradurre il tutto in un’opportunità reale e costruire una nuova rete di servizi attorno ai cittadini e ai lavoratori.


IL DEBUTTO
Così lo Spid sostituisce il Pin: la rivoluzione inizia dall'Inps

La chiave di volta è lo Spid. Per le istituzioni italiane il sistema pubblico di identità digitale è il «passaggio epocale» che aprirà ai cittadini le porte del welfare 3.0, spingendo verso la digitalizzazione di servizi e pratiche. Il primo step sarà l’adozione dello strumento di accesso ai siti e alle banche dati della PA. Come ha ricordato il Presidente dell’Inps Pasquale Tridico al convegno “Il Welfare con una nuova identità unica e digitale”, ad esempio da oggi, primo ottobre, lo Spid sostituirà il tradizionale Pin per accedere ai portali dell’Istituto (coinvolti 27 milioni di utenti). L’unico neo della questione però è che, al momento, le identità Spid attive in Italia sono solo 10,7 milioni. Il rischio quindi, è che nell’immediato qualcuno resti tagliato fuori. Col tempo però, sperando che gli investimenti si concentrino sul supportare gli italiani nell’acquisizione di competenze digitali, questa si farà. Tant’è che non solo Nunzia Catalfo parla di un «traguardo fondamentale» in vista (il ministero del Lavoro passerà allo Spid dal 15 novembre) quanto soprattutto la titolare dell’Innovazione Paola Pisano ha ricordato che lo Spid è «parte di un progetto ampio di digitalizzazione del Paese». 
F. Mal.
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