Rivoluzione green, la svolta dell'auto pulita e silenziosa

Rivoluzione green, la svolta dell'auto pulita e silenziosa
di Giorgio Ursicino
8 Minuti di Lettura
Mercoledì 14 Ottobre 2020, 15:05 - Ultimo aggiornamento: 16 Febbraio, 11:29

Una scintilla e si è accesa la luce. Nitida, splendente. La motorizzazione elettrica, da secoli nota a tutti per le sue straordinarie doti, all’improvviso è stata tirata fuori dal cassetto è messa sul palcoscenico, in condizioni di fornire il suo impareggiabile potenziale. C’è la forte sensazione che qualcuno di quelli che “contano” si sia distratto nel recente passato e la banale “scoperta” sia stata fatta con almeno qualche anno di ritardo. Sembra che il vulcano fosse sul punto di esplodere e, saltato il tappo, il vigore di un’idea ha travolto lo scenario consolidato. Invece di accapigliarsi se fosse meglio il motore diesel o il benzina, era il caso di mettersi a lavorare con un po’ d’anticipo sul modo di immagazzinare una adeguata densità di energia elettrica e la conclusione che il propulsore termico aveva ormai fatto il suo tempo sarebbe arrivata decisamente prima. Basta vedere altri tipi di mobilità complementare a quella automotive: fra le due motorizzazioni, da tutti i punti di vista, il confronto non è proponibile. Impari le forze in campo.

I CAMBIAMENTI EPOCALI

A volte, anche i cambiamenti epocali, al pari delle grandi invenzioni, scoccano quasi per caso. Per il genio di qualche mente fuori dal comune. O per interessi geopolitici che hanno il sopravvento sulle motivazioni tecnologiche e industriali. Di solito non è facile dare uno scossone al precedente “status quo”: troppi interessi in ballo, la voglia dei protagonisti di conservare il proprio orticello. A scatenare il cambiamento che covava sotto la cenere hanno dato un deciso impulso due autentici “geniacci”. Arrivando da due pianeti diversi, solo una decina d’anni fa Carlos Ghons, padre-padrone dell’Alleanza Renault-Nissan, e Elon Musk, giovane sudafricano con il pallino per le invenzioni, dissero al mondo più o meno contemporaneamente che «era scoccata l’ora dell’auto elettrica». In realtà, lì per lì, non molti gli diedero credito. «Vanitosi», pensarono alcuni. «Provocatori», fu l’idea di altri. Invece era tutto vero. Musk stava lavorando sulle californiane Tesla in fase di incubazione nel cuore della Silicon Valley. Ghosn tolse i veli dalla Leaf (foglia) di buon diritto la prima vettura elettrica moderna plasmata da un grande costruttore. Un gioiellino che faceva intravedere cosa sarebbe accaduto, ma che aveva un’autonomia improponibile di poco più di 100 chilometri. La sassata nello stagno fu talmente forte che gli esperti del premio “Auto dell’Anno” la incoronarono, un po’ a sorpresa e senza molti mugugni, regina del 2011. Altri due elementi fecero da propellente per il decollo a razzo.

Da una parte la Cina che, diventata il più grande mercato del mondo, voleva anche la leadership industriale e decise che era inutile perdere tempo per recuperare lo svantaggio sulle auto termiche ormai alla frutta. La strategia prevedeva di buttarsi anima e corpo sulla nascente tecnologia delle celle delle batterie. Dall’altra, la locomotiva Germania che disconobbe il diesel dopo i problemi avuti con le emissioni per diventare il testimonial della “svolta energetica”. Il dato era tratto. Spinta dagli industriali e acclamata dagli ambientalisti, l’auto a batterie esplose in tutto il suo splendore. L’accelerazione impressa dai costruttori di veicoli non poteva essere seguita con lo stesso passo dall’esigenza di avere una rete di ricarica adeguata. E il alcuni paesi, fra i quali spicca l’Italia, il gap fra veicoli e infrastrutture è diventato enorme, creando più di qualche disagio. Non si può usare l’auto elettrica senza le colonnine, in particolare durante l’era pionieristica durante la quale i kWh nel serbatoio sono pochi e il tempo ricarica esageratamente lungo (oltre al costo degli accumulatori quasi proibitivo). Così è scoppiato un nuovo malore fra gli automobilisti più avanzati: la “sindrome da autonomia”. Belle, silenziose, ecologiche, ma maledettamente difficili da rifornire perché i punti di ricarica sono merce rara. In alcuni paesi, più di altri, non hanno minimamente capito che per aiutare la rapida diffusione delle vetture zero emission non bastano gli “incentivi” all’acquisto, neanche se molto sostanziosi. A quelli pensano i costruttori e la loro poderosa tecnologia che ha già ridotto drasticamente i prezzi e implementato le prestazioni (e altrettanto farà nei prossimi anni). Per dare il via alle vetture elettriche serve mettere gli automobilisti in condizione di fare il pieno. Tornando alle auto i progressi sono stati enormi e anche il mercato ha reagito con entusiasmo. Congelati diesel e benzina, i grandi giganti globali si sono buttati sull’elettrificazione indirizzando la parte più corposa dei loro ingenti investimenti.

IL CATALIZZATORE DELLA PANDEMIA

Gli ingegneri da una parte e gli strateghi del marketing dell’altra hanno iniziato a spingere nelle stessa direzione, proponendo in breve tempo un listino scoppiettante di auto a batterie. Il covid, il lockdown e le pesante situazione che sta accompagnano la pandemia sono stati il catalizzatore facendo realmente impennare le vendite delle vetture zero emission. Il consumatori hanno capito, i decisori politici gli hanno dato un bella mano. La coscienza ecologica ha fatto il resto. Sia come sia, gli automobilisti hanno percepito che conviene indirizzare i propri soldi verso le vetture del nuovo corso che possono garantire la certezza di viaggiare sempre, conservando un valore residuo molto più elevato. Durante un “anno horribilis” nel quale le vendite sono crollate in modo consistente le auto con la spina sono aumentate con percentuali di crescita bulgare. Sia in Europa, dove avevano un buon ritmo ma, soprattutto, in Italia dove le difficoltà di ricarica avevano fatto prevalere lo scetticismo. Lo scorso anno nella Penisola le auto “ricaricabili” erano appena lo zero virgola, nei nove mesi del 2020 hanno più che triplicato i volumi raggiungendo il 3,1% che, a settembre, ha toccato il 4,4%.

Sorprendente.

Nei primi 6 mesi dell’anno in Europa il mercato è crollato del 39%, con le auto a carburanti tradizionali in caduta libera a braccetto (benzina -45%, gasolio -46%). Crescono solo le motorizzazioni alternative, +21%, di cui il 40% ricaricabili, il 52% ibride senza spina, solo l’8% a gas (Gpl e metano). Anche le vendite di queste ultime sono nel baratro con un meno 41%; un mercato quasi tutto italiano visto che le immatricolazioni da noi sono state oltre 50 mila e nel secondo paese, la grande Germania, meno di 5 mila. In nettissima controtendenza solo le elettrificate: plug-in +114%, full elettriche +35%, ibride non ricaricabili +16%. A livello mondiale Tesla, che produce solo auto elettriche, è l’unica Casa che quest’anno incrementerà le vendite (del 20% o 30%). È difficile da capire, me ci sarà un motivo se l’azienda di Palo Alto è la società con la più alta capitalizzazione del pianeta. Ha superato anche Volkswagen e Toyota. I costruttori tradizionali non si sono certo impauriti. Il brand di Nagoya sta sfruttando l’enorme vantaggio accumulato nell’ibrido e, oltre a scaldare i muscoli nelle auto tutte a batteria, sta un pezzo avanti anche in quelle Fuel Cells, ad idrogeno. Wolfsburg, invece, ha messo in campo un piano ambizioso dei suoi che prevede di scalzare in fretta i californiani dalla leadership dell’elettrico puro. Nessun altro costruttore ha messo sul piatto tanti soldi, nessun altro Gruppo vecchio stampo ha realizzato una piattaforma specifica per vetture a batterie.

PIATTAFORMA DEDICATA

Un progetto pensato per non avere più nulla in comune con i veicoli termici e garantisce enormi plus anche dal punto di vista del design e dell’abitabilità. Il primo modello del nuovo corso è la ID.3 e molti altri seguiranno. Il costruttore più grande del mondo ha fatto scuola anche nelle auto sportive con la superba Porsche Taycan e l’Audi e-tron GT che fa compagnia al primo Suv zero emission di un costruttore storico. I rivali della Bmw sono pronti a lanciare un grappolo di modelli ed hanno già conquistato la leadership europea delle vendite dei modelli elettrificati nonostante siano un marchio premium e non di volume. I coreani di Hyundai-Kia si dimostrano sempre all’avanguardia, quando c’è da innovare, l’Alleanza Renault-Nissan sembra aver sperperato, per non avere più un’unità d’intenti, una parte del consistente vantaggio di essere arrivata prima. Jaguar-Land Rover e Volvo hanno già interamente elettrificato le proprie gamme, Suzuki, Mazda e Subaru vivono tranquille sotto l’ombrello protettivo di “mamma” Toyota. L’ingegneristica Honda si è addirittura ritirata dalla Formula 1 per concentrare tutte le risorse umane e tecnologiche sulla svolta energetica. Anche il made in Italy ha cambiato marcia: alla più glamour delle citycar ecologiche, la Fiat 500e, presto affiancherà le meraviglie della supercar Maserati MC20 al 100% elettrica. In casa Fca frizzanti anche i brand americani con Jeep che ha già sfornato Wrangler, Renegade e Compass con la spina. I futuri soci della Psa hanno elettrificato tutti i marchi e Carlos Tavares ha mostrato la piattaforma nativa elettrica che porterà in dote a Stellantis del presidentissimo John Elkann. In attesa di conoscere il punto di vista Ferrari sull’argomento. Eh sì, le alte prestazioni sono il fiore all’occhiello dei motori silenziosi. Elon Musk, nell’ultimo “battery day” di Tesla ha mostrato celle ancora più “dense” e potenti, ha svelato una speciale versioni della Model S. Non una sportiva, ma un’ammiraglia 4 porte lunga 5 metri che può comodamente trasportare 5 persone. Sul configuratore della Casa è già ordinabile, le performance sembrano uno scherzo per chi è abituato alle schede tecniche della vetture termiche: 0-100 in 2 secondi (50% in meno di una eccellente due posti con motore a scoppio), velocità 320 km/h, autonomia più di 840 km. Anche questa già il doppio di una ipotetica rivale a benzina. Il nuovo mondo è arrivato.

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