Sanità, una "cura" da 68 miliardi per poter dire «mai più»

Sanità, una "cura" da 68 miliardi per poter dire «mai più»
di Mauro Evangelisti
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Mercoledì 16 Settembre 2020, 09:30 - Ultimo aggiornamento: 30 Settembre, 16:46
Sessantotto miliardi di euro da investire in un piano per la sanità che va a coprire i prossimi cinque anni. Spinti al cambiamento da una emergenza che rimarrà nella storia. Obbligati alla riorganizzazione del sistema sanitario nazionale, nelle sue declinazioni regionali, con progetti che servano a contenere nell’immediato le conseguenze della pandemia, ma rappresentino un investimento a lungo termine, per il prossimo decennio. Devono dimostrarsi utili anche quando - il prima possibile - la guerra contro il coronavirus sarà stata vinta. In sintesi: l’obiettivo è evitare sprechi nella pianificazione dell’uso del Recovery fund e trasformare la risposta alla pandemia in una occasione di ricostruzione della sanità italiana.

Strategia

I piani del ministero della Salute valgono 68 miliardi di euro, spalmati in cinque anni per un totale di venti progetti. Come saranno investiti? In questo 2020, soprattutto nei mesi in cui Covid-19 ha colpito in modo più pesante alcune aree del Paese, sono emersi i punti deboli di un sistema sanitario che andavano oltre il semplice effetto del taglio ai posti letto ereditati dagli ultimi decenni o dall’impoverimento delle strutture pubbliche in termini di investimenti su persone e tecnologie. Ciò che è emerso, soprattutto in regioni come la Lombardia che maggiormente hanno subito gli effetti della diffusione del coronavirus, è stata un carenza della sanità sul territorio, di una presenza ramificata che andasse a evitare che gli ospedali diventassero degli imbuti, unico punto di riferimento per chi stava male ma anche moltiplicatori del contagio. La sanità non può più essere solo un ospedale e un pronto soccorso.

Territorio 

Ecco perché, nel piano del ministro della Salute, Roberto Speranza, la parte dedicata a una maggiore presenza della rete sanitaria introduce l’idea delle Case di Comunità, per le quali saranno investiti 5 miliardi di euro. Cosa sono? Strutture che siano un punto di riferimento per i cittadini, dove possano trovare medici delle diverse specialistiche, con équipe multiprofessionali e interdisciplinari e il coinvolgimento dei medici di famiglia il cui ruolo, inutile negarlo, è divenuto sempre meno efficace. Ci saranno due tipologie di Case di Comunità: una sarà rivolta a un bacino di 10.000 abitanti, in zone con una scarsa densità abitativa, in cui non ci saranno solo medici, ma anche l’offerta di prestazioni diagnostiche. La seconda tipologia avrà un bacino più ampio, 15.000 abitanti, in zone più densamente abitate, in cui ci sarà anche assistenza ambulatoriale complessa, con sistemi di sanità digitale che migliorino da una parte i percorsi di cura del paziente, dall’altra l’appropriatezza delle prestazioni. Proprio le nuove tecnologie, gli strumenti digitali che mettano in rete medici di base, ospedali e specialisti, in modo da seguire il paziente avendo a disposizione tutte le informazioni necessarie sulla sua storia clinica, saranno una parte importante del piano. Per questo 1,5 miliardi di euro dovrà essere impegnato per sviluppare il Fascicolo sanitario elettronico e potenziare raccolta, elaborazione e analisi delle informazioni. Si va verso la digitalizzazione dei documenti, ipotizzando anche la realizzazione di una app in cui raccogliere i dati clinici del paziente. Infine, 2,5 miliardi serviranno a migliorare programmi di telemedicina, con la possibilità di seguire da remoto i pazienti a partire dalle cure domiciliari.

Scelte 

La sintesi appare chiara: sia con le Case di Comunità, che vanno - almeno nelle intenzioni - a migliorare ed evolvere il concetto della Casa della Salute, sia con un ricorso più efficace alla digitalizzazione e alla telemedicina, all’assistenza da remoto grazie alla tecnologia, si cercherà di essere più vicini ai pazienti, di non lasciarli soli e nell’incertezza, come non di rado succede quando ci si trova ad affrontare una piccola o grande malattia.
Il cittadino oggi, spesso, ha poche scelte: mettersi in fila nell’ambulatorio del medico di base o andare in pronto soccorso spesso intasati, quando invece dovrebbero essere la prima linea per le risposte all’emergenza. I 68 miliardi di che verranno chiesti al Recovery fund, nei piani del ministero della Salute vogliono costruire una sanità meno “ospedale-centrica”. Questo non significa però che non si dovrà investire importanti risorse su nuovi ospedali, visto che in Italia spesso le strutture sono vecchie e inefficienti. Prima di tutto 4 miliardi di euro interessano la realizzazione di Presidi a degenza temporanea, dove il paziente può essere ricoverato per periodi al massimo di 15-20 giorni, una sorta di risposta a metà strada tra il domicilio e il vero ospedale, per soggetti che, come spiegava un report della settimana scorsa di Quotidiano Sanità, «necessitano di assistenza infermieristica continuativa e assistenza medica programmata su specifica necessità. I pazienti possono provenire dal domicilio o da altre strutture residenziali, dal Pronto Soccorso o dimessi da presidi ospedalieri per acuti».

Ospedali 

Ma servono anche nuovi ospedali e l’ammodernamento di quelli esistenti, per questo la parte più consistente delle risorse del Recovery fund destinate alla sanità - 34,4 miliardi di euro - secondo il piano del ministero della Salute dovrà rispondere a questa esigenza. In che modo? Costruendo nuovi ospedali o riqualificando quelli esistenti, avendo come obiettivo anche la sostenibilità ambientale e l’efficienza energetica; rinnovando le attrezzature e i macchinari; digitalizzando gli ospedali. Nei giorni scorsi, nel corso di una audizione in commissione Affari sociali della Camera, il ministro Speranza ha fatto questa sintesi: «Sulla sanità serve un cambio di paradigma, va considerata non più un costo, ma un investimento. Ogni euro speso in meno per salute negli anni passati ha creato un risparmio solo apparente che si è trasformato in più spesa sanitaria, migrazioni per le cure e minore coesione sociale. Siamo di fronte a una svolta di carattere culturale: la tutela della salute non come spesa corrente, ma come investimento per il bene dell’individuo e per il futuro della comunità. La salute determina la qualità della vita, la sua dimensione sociale, ed è la precondizione per qualsiasi attività». Sulla carta tutto molto giusto, ma alla voce sanità - per quanto il sistema italiano sia considerato tra i migliori in Europa - quando si parla di investimenti vengono anche alla mente gli errori, numerosi, del passato, gli sprechi per ospedali mai completati o per i quali sono stati necessari decenni. Ma anche un pessimo utilizzo delle risorse per la gestione ordinaria, che poi ha originato il contraccolpo dei tagli i cui effetti si stanno ancora pagando. Per questo, insieme ai piani per il rilancio, sarà necessaria anche la capacità di vigilare perché le risorse siano utilizzate nel modo più virtuoso possibile.

Anziani 

Nel piano del ministero c’è un altro passaggio importante, che riporta alla tragedia vissuta dal Paese nella prima parte del 2020, quando nelle Residenze sanitarie assistenziali sono morti centinaia di anziani, quando si è capito che l’attuale organizzazione dell’assistenza agli anziani, pur nelle diverse declinazioni delle varie regioni e del pubblico o del privato, non funziona. Per colmare queste lacune, il piano prevede di mettere sul piatto un miliardo e mezzo di euro. Da spendere come? Puntando sulla riforma del sistema delle Residenze sanitarie assistenziali, aumentando gli standard dell’offerta che, ricordiamolo sempre, interessa i soggetti più fragili. Verrà organizzato un censimento delle strutture esistenti in Italia e una costante verifica della loro attività, con l’obbligo di trasmettere i dati a livello nazionale. Sarà potenziato il sistema di sorveglianza. Saranno inoltre definiti degli standard assistenziali e organizzativi, con l’obbligo di garantire la presenza di un direttore sanitario o responsabile medico, con competenze specifiche per l’assistenza geriatrica. Vigilare significherà monitorare costantemente quante cadute e infezioni avvengono in una singola Rsa, quali terapie siano assicurate.
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