
Recovery fund, istruzione e lavoro, un gap che va ridotto

di Francesca Esposito
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Mercoledì 16 Settembre 2020, 09:31 - Ultimo aggiornamento:
30 Settembre, 16:49
Le Raccomandazioni della Commissione Europea sono chiare: migliorare i risultati scolastici e adeguare le competenze, in particolare digitali. Non è possibile però intervenire sugli indicatori che pongono il nostro Paese sotto la media Ue per livelli di istruzione senza risolvere i problemi strutturali che affliggono scuola, università e ricerca con interventi mirati, in un sistema che vede ancora una quota troppo alta di abbandono scolastico (i cosiddetti Elet, Early leavers from education and training). Ma non ci sono solo segnali negativi: è in rapido e costante aumento il tasso di istruzione femminile che supera di diversi punti percentuali quello maschile sia nella quota di titoli secondari che terziari, con un vantaggio più marcato rispetto alla media UE. Un risultato che ancora fatica a riflettersi sul mondo del lavoro dove la parità di genere in termini occupazionali è ancora molto lontana. Investire in formazione vuol dire incrementare la competitività del Paese, ma è necessario agire sull’organizzazione, sulla didattica e sulle infrastrutture. E soprattutto avere ben chiaro il modello che si intende realizzare, che dovrà vedere una maggiore sinergia fra istruzione e lavoro per colmare il divario fra le competenze richieste dal mondo produttivo e quelle offerte dal sistema didattico, creare nuove opportunità per i giovani e rappresentare quel bacino essenziale per fare innovazione.
Il tempo pieno infatti non è garantito per tutti gli studenti e soprattutto non su tutto il territorio nazionale, così come l’accesso agli asili nido. Ciò crea disparità formative fra i ragazzi e un differente impatto sulla gestione familiare, che nella maggioranza dei casi grava sulle donne pregiudicandone l’attività lavorativa. Se consideriamo che la minore incidenza di programmi che comprendano le ore pomeridiane e di strutture per la prima infanzia si presenta al Sud ritroviamo un ulteriore elemento di divario territoriale. Inoltre la rimodulazione del calendario scolastico per la scuola dell’obbligo, prevedendo una pausa estiva ridotta in favore di pause distribuite nell’arco dell’anno, consentirebbe un minore distacco nel passaggio fra gli anni scolastici e una migliore conciliazione dei tempi di scuola e lavoro, così come accade in numerosi Paesi dell’Unione Europea.

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