Yara, difesa Bossetti: «Va assolto, rischia pena di morte mascherata»

Yara, difesa Bossetti: «Va assolto, rischia pena di morte mascherata»
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Venerdì 10 Giugno 2016, 21:52 - Ultimo aggiornamento: 22:42

Un atto di coraggio per assolvere un uomo che rischia una »pena di morte mascherata« che continua a dirsi innocente che »mai e poi mai« confesserà un delitto che non ha commesso e contro il quale »c'è solo un mezzo Dna contaminato«. È un appello accorato quello che Paolo Camporini, difensore di Massimo Bossetti, rivolge alla corte d'Assise di Bergamo che è chiamata a emettere la sentenza contro il muratore accusato dell'omicidio di Yara Gambirasio, scomparsa da Brembate il 26 novembre 2010.
 

 


»Mi rivolgo a te Massimo perché io credo alla tua innocenza - dice al termine di un'arringa lunga due udienze -. Non confessare, non farti vincere dallo scoramento, devi credere nella giustizia soprattutto adesso, ti hanno chiesto 'confessa, confessa, confessà hanno bisogno della tua confessione perché non c'è niente. Ma se sei innocente non confessare. Oggi io sono la tua voce: sia fatta giustizia, non sia condannato un innocente«. Le lacrime questa volta non solcano il volto dell'imputato, »mai e poi mai« dice rivolgendosi al legale che insieme al collega Claudio Salvagni ha passato al setaccio ogni indizio contro l'unico accusato. L'appello, però, è rivolto anche alla giuria popolare. »C'è in gioco la vita di un uomo, non abbiate timore di essere giudicati, la vostra sarebbe una sentenza di grande coraggio«.

Ai giurati non spetta »colmare i vuoti di un'inchiesta« di fronte ai dubbi »dovete assolvere. Questo è il processo poi indiziario del mondo, nessun indizio è preciso neanche il Dna. Non si fanno sentenze per esclusione 'se non è stato lui chi?', il Dna è un indizio non è una prova«, dice ricordando anche la sentenza di Perugia sull'omicidio di Meredith.

E sulla prova regina che Salvagni spende due ore di intervento: la custodia e la conservazione della traccia biologica «sono il tallone d'Achille» di un'indagine «con troppe anomalie». Insinua il dubbio sulla «certificazione» di ogni passaggio, ricorda l'uso di kit scaduti ed evidenzia che sulla traccia biologica di vittima e Bossetti trovata sugli indumenti della 13enne c'è un picco «che certifica una contaminazione» restituendo un risultato «che non può essere accettato per dare una risposta forense e per condannare una persona». Non solo: «Non vogliamo puntare il dito contro nessuno ma su quel corpo ci sono dieci profili», di cui uno con un nome e cognome che non corrisponde a Bossetti, di dieci reperti piliferi «sette sono riconducibili a una stessa persona» rimasta ignota. Inoltre la difesa - che non mai potuto visionare dal vivo i reperti - sottolinea l'importanza del Dna mitocondriale liquidato dall'accusa come «un'anomalia non spiegata in termini scientifici».

Se crolla la prova regina «non resta più nulla», spiega la difesa che rimarca l'innocenza di Bossetti facendo riferimento anche alle lettere con la detenuta Gina di cui è stato fatto un uso «strumentale» da parte della stampa che ha usato solo «i passaggi più pruriginosi». Nelle missive c'è un pensiero per la vittima. «Odio tutto quello che le hanno fatto, se sapessi chi fossero gli farei pagare quello che hanno fatto a una bambina innocente», scrive l'imputato. «So che mio padre è certo della mia innocenza (...) Yara si è confrontata con lui, mi auguro che entrambi mi aiutino ad andare avanti».

I difensori mettono in fila gli indizi contro Bossetti. Dai passaggi del furgone davanti alla palestra dove si perdono le tracce della 13enne - «non è il suo» al dire dei legali - alle sfere metalliche e alle fibre trovate sul corpo di Yara che nulla svelano su Bossetti, dalle piste alternative lasciate in una angolo - «ce ne sono diverse», evidenziano -, alle ricerche sul suo pc: «Fino al novembre 2013, tre anni prima del fatto, non c'è nessuna ricerca pornografica». Quelle successive «non dimostrano nessuna perversione e soprattutto c'è un grosso problema nell'individuare l'utilizzatore». Non solo: «Questo è l'omicidio di un sadico, di un pazzo che ha problemi psicopatologici», e questo non è l'identikit del muratore di Mapello, sostengono i suoi legali che non credono che Yara sia morta nel campo di Chignolo d'Isola dove è stata trovata il 26 febbraio 2011.

Quello che mostrano è «un'altra storia» rispetto all'accusa che «non spiega nulla del fatto: dall'aggressione al movente». Gli indizi «vanno valutati uno per uno, non vanno contati, devono essere gravi, precisi e concordanti. Qui nessuno è preciso neanche il Dna. Più che l'accusa ho visto la difesa delle indagini. Qui interessa il risultato, che finalmente ci sia il colpevole», dice Camporini.

Bossetti ha vissuto «un'aggressione mediatica senza precedenti dove l'indagato diventa condannato.
L'arrestato viene dato in pasto al pubblico, diventa un trofeo come i selfie che si sono fatti carabinieri e poliziotti. La politica, una certa politica, non ha trovato miglior cosa che cavalcare l'onda giustizialista». La custodia cautelare «è stata usata come istigazione alla confessione. Il presunto colpevole che diventa mentitore perché insiste a dichiararsi innocente, un ribelle un eretico che non si piega alle pressioni, uno schema noto da Mani pulite». Ma «se sei innocente non confessare, tanto chi ti crederebbe sei un cacciaballe» dice rivolto all'assistito. «Chiedo l'assoluzione di Massimo Bossetti perché non ha commesso il fatto», chiosa il difensore. Nella prossima udienza, in calendario il 17 giugno, spazio a repliche e controrepliche, il primo luglio dopo le dichiarazioni spontanee dell'imputato i giudici andranno in camera di consiglio.

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