Bruxelles chiusa per terrorismo: annullati concerti, eventi e partite

Bruxelles chiusa per terrorismo: annullati concerti, eventi e partite
di Renato Pezzini
5 Minuti di Lettura
Domenica 22 Novembre 2015, 09:50 - Ultimo aggiornamento: 10:02

BRUXELLES Svegliarsi di buon mattino e sentire il primo ministro in tv che parla di «minaccia precisa e imminente». Uscire per strada e incontrare più uomini in divisa che gente comune. Metropolitana chiusa, negozi sbarrati, bande chiodate sull'asfalto delle vie di accesso al centro. La Capitale d'Europa è d'umore tetro, ha ancora negli occhi le immagini terrificanti degli attacchi a Parigi, e in questo sabato piovoso e gelido si sente dire che «potrebbe accadere anche da noi. Qui, adesso». Perché nessuno è immune, nessuno è davvero al sicuro.

La Grand Place di Bruxelles è considerata una delle più belle piazze d'Europa, con gli stucchi dorati delle sue case e i decori gotici dell'imponente Municipio. Ma oggi è inguardabile con quel blindato che la presidia e la «protegge». I pochi giapponesi che l'attraversano magari trovano pittoreschi i militari con i fucili spianati; per i belgi invece sono un presagio di giorni difficili, il simbolo della vita che cambia e della libertà che regredisce trasformando la spensierata quotidianità in rapide camminate rasenti al muro

PRUDENZA O STRATEGIA

La decisione di blindare la città è stata presa in piena notte.

Il governo ha messo insieme i risultati delle ultime indagini sulla fuga di Salah Abdeslam – il fuggitivo delle stragi parigine – e ha deciso che anche qui potrebbe ripetersi ciò che è accaduto in Francia. Forse è una precauzione esagerata figlia di un timore infondato. O forse è solo una strategia per consentire alla polizia di non disperdere energie nel presidio degli «obiettivi sensibili» e di dedicarsi alle inchieste. Comunque sia, ai belgi poco importa.

Quel che importa è che alla stazione di Bruxelles-Midi i viaggiatori in arrivo da Parigi o Amsterdam coi treni superveloci si devono sottoporre a controlli certosini prima di uscire dallo scalo ferroviario attraverso un percorso obbligato fra due ali di agenti. Importa che muoversi è un problema: chiuse le 69 fermate della metro, fermi i tram che hanno percorsi sotterranei. Importa che stadi, cinema e teatri devono sbarrare gli ingressi. Perfino il vecchio Johnny Halliday dopo aver provato a resistere strenuamente ha annullato il proprio concerto.

GLI ALBERI DI NATALE

Nelle piazze del centro si addobbano i grandi abeti per Natale, un rito che solitamente segna l'inizio di un mese di festa, di luci colorate, di allegra confusione. Oggi è un rito dimesso, protetto dai poliziotti in armi. Boulevard d'Anspach, la strada dello shopping, è un viale desolato. Solo il ristorante Les Brasseur seguita a dispensare birra ai pochi avventori, poi però arrivano due gendarmi in divisa: «Alle 18 dovete chiudere, non ci sono deroghe». Ma davvero Salah, e Abdelhamid e tutti gli squinternati fanatici come loro hanno il potere di mettere a repentaglio le nostre poche certezze?

I grandi centri commerciali in periferia sono chiusi, l'Ikea ha dato un giorno di riposo ai dipendenti, le visite ai monumenti interdette. Perfino la piazza comunale di Molenbeek – il sobborgo dove sono cresciuti e dove forse ancora si nascondono i jihadisti – è vuota: il mercato del sabato è stato vietato. Nelle piccole vie del quartiere pure parecchi negozi gestiti dai magrebini hanno le serrande abbassate. E Amehd, che ha comunque acceso le vetrine zeppe di chincagliera araba, è furibondo: «Stiamo facendo il gioco dei terroristi. La nostra paura è la loro vittoria».

Durante il fine settimana Bruxelles si svuota dei suoi europarlamentari, dei suoi portaborse, dei suoi lobbisti, dei suoi funzionari dell'Ue. E i residenti per due giorni si riappropriano della città. Oggi stanno tappati in casa. O, se sono arabi, assistono con gli occhi sbarrati alle dirette televisive nei café magrebini di rue Stalingrad dove gli anziani giocano a dadi in silenzio davanti a bicchieroni di the alla menta. E non c'è nessuno che abbia voglia di parlare.

QUALCOSA STA CAMBIANDO

Una settimana dopo il macabro venerdì 13 Parigi ricomincia a vivere e Bruxelles invece piomba nella cupezza della paura. Giusto o sbagliato che sia, è così. E magari fra due o tre giorni sarà tutto come prima, perché «non è possibile fermare l'economia» come dice Philoméne dietro il bancone del suo negozio di vestiti. Però è evidente che lo choc delle stragi parigine sta seminando la sgradevole sensazione che qualcosa stia cambiando nel profondo, ineluttabilmente. Domani potrebbe toccare a un'altra città, a un altro Paese, di minaccia in minaccia, di attentato in attentato.

OGGI SPOSI

I portoni di legno del Municipio della Grande Place sono sbarrati. Sui grandi balconi al primo piano però c'è movimento: Yves e Fabienne sono sposi, lei in abito bianco, lui in completo nero, e sorridono come ad annunciare che la vita e il loro futuro non si fermano certo per colpa di qualche criminale fuori controllo. Però anche loro, come tutti gli invitati, a cerimonia chiusa sono costretti a sgattaiolare da una porta secondaria verso le loro auto, con gli agenti di guardia in rue de l'Amigo che li osservano senza riuscire a sciogliere la tensone.