Racket al Vasto, la denuncia choc: «Ho detto no al pizzo e volevano uccidermi»

Racket al Vasto, la denuncia choc: «Ho detto no al pizzo e volevano uccidermi»
di Leandro Del Gaudio
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Domenica 15 Dicembre 2019, 08:02 - Ultimo aggiornamento: 15:12

Ha rifiutato di pagare il pizzo. Aveva detto no a quella richiesta di soldi, un gesto rivoluzionario da queste parti, specie all’ombra di un quartiere - parliamo della zona di piazza Garibaldi - da decenni al centro di una contrapposizione tra due cartelli criminali. Ed è così che nel giro di pochi mesi la sua vita è cambiata, con un crescendo di violenza che lo ha mandato in ospedale: prima i danneggiamenti alla serratura della saracinesca, ripetuti atti di vandalismo contro il suo negozio (vestiti, chincaglierie etniche, bibite), poi la gambizzazione. Un agguato a colpi di pistola, messo a segno alle undici del mattino, pochi giorni fa in via Venezia. Siamo al Vasto - la polveriera Vasto -, dove accanto alle dinamiche sociali di sempre, bisogna fare i conti con la camorra che impone il pizzo su ogni angolo di quel bazar a cielo aperto, tra via vai di turisti, disperati e botteghe di artigianato spuntate come funghi.

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È questa la storia di Giacob Onu, nigeriano classe 1967, da venti anni in Italia (gran parte dei quali trascorsi a Napoli), sposato e padre di tre figlie nate in Italia. È stato gambizzato lunedì scorso, in un giorno di lavoro, prima di mezzogiorno, a pochi passi dal suo negozio di via Venezia. Ora è ricoverato al Loreto Mare, dove attende un nuovo intervento chirurgico agli arti inferiori, per un quadro clinico che i medici non esitano a definire grave. Assistito dal penalista Hillary Sedu, accetta di parlare della sua condizione di commerciante ferito a colpi di arma da fuoco, ma anche di quanto sta avvenendo sulla pelle di decine di commercianti che operano in zona piazza Garibaldi.
 


Cosa è accaduto lunedì mattina in via Venezia?
«Ero a pochi passi dal mio negozio, dove lavoro onestamente assieme a mia moglie. Ci tengo a precisarlo, perché la mia vicenda è stata ingiustamente associata a fatti di droga che non mi appartengono. Quello che mi è accaduto invece appartiene a una realtà che ho denunciato e contro la quale mi sono duramente scontrato. Fino a rimetterci in prima persona, con l’agguato subìto lunedì scorso».

A cosa fa riferimento?
«Alle continue richieste di pizzo, alle richieste estorsive che mi sono state fatte in modo diretto da cittadini napoletani. Ho detto no alla camorra ed è questo il motivo che mi tiene immobilizzato in un letto di ospedale in attesa di un intervento chirurgico».

È sicuro della matrice estorsiva dietro l’agguato subìto?
«Purtroppo sì».

Come fa ad esserne convinto?
«Mi hanno chiesto soldi, volevano soldi a fine mese e ho detto di no. Anzi. Ho detto che quel denaro serve a me, a mia moglie e alle mie figlie per vivere una vita dignitosa, al riparo da contatti con circuiti criminali che purtroppo risucchiano chi non ce la fa a trovare un lavoro onesto».
 
Quante volte sono venuti a chiederle il pizzo?
«Più di una volta. In questi mesi è stato un crescendo. Hanno bloccato le serrature della saracinesca del mio negozio, lo hanno fatto più di una volta. Poi sono venuti nel mio magazzino a chiedere soldi, lo hanno fatto dando per scontato che avrei pagato, perché si sentono padroni della zona. Erano segnali sinistri, dettati dal mio rifiuto di pagare tangenti, non volevo essere stritolato in questa morsa».

Non ha avuto paura nel dire no alla camorra?
«Sogno per me, ma soprattutto per la mia famiglia, un futuro da persone libere, perché chi paga la tangente resta schiavo di qualcuno. E credo che il mio caso non sia isolato».

A cosa fa riferimento?
«Qui al Vasto, anzi, nell’intera zona a ridosso di piazza Garibaldi, sono in tanti a pagare le tangenti. No che non sono un caso isolato. Sono in tanti ad avere paura e a pagare. Magari pagano poco, ma pagano in tanti. È triste dirlo, ma mi hanno usato come esempio».

In che senso?
«Ora, dopo il mio ferimento, tutti sanno che conviene pagare le tangenti. Guai ad alzare la testa, guai a dire no, che se ti va bene, finisci in ospedale».

Ha provato a raccontarlo anche alle forze dell’ordine?
«Certo che sì. In questi giorni ho denunciato, non mi fermo, se posso svolgere un contributo per rendere più spedite le indagini, lo faccio volentieri. Lo ripeto: la libertà è una conquista e chi è sbarcato in Italia tanti anni fa da un paese bellissimo e martoriato come la Nigeria, lo ha imparato sulla sua pelle. È per questo che sento il dovere di andare fino in fondo». 

Intanto, il quadro investigativo è chiaro: oltre alla denuncia di Jacob, ci sono anche le immagini di un video, che immortala i due napoletani mentre portano a termine la spedizione punitiva in via Venezia.
Agli atti ci sono particolari sui loro abiti, i caschi, lo scooter, probabilmente il tipo di arma usata per l’agguato. Indizi che potrebbero diventare utili. Uno scenario che, al netto di quanto potrà ancora emergere sulla vita del commerciante nigeriano, rimanda alla guerra di camorra in corso ormai da tempo tra Mazzarella e alleanza di Secondigliano, specie in una zona di confine come l’area a ridosso della stazione centrale. Dopo gli arresti di decine di esponenti del clan Contini, quelli dei Mazzarella puntano a spodestare vecchi avamposti criminali dei rivali di sempre. Guerra a bassa intensità, che passa anche per la gambizzazione di un nigeriano ribelle. 

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