L'ex giudice Alemi: «Sì, il boss Cutolo poteva pentirsi: vi svelo tutti i retroscena»

L'ex giudice Alemi: «Sì, il boss Cutolo poteva pentirsi: vi svelo tutti i retroscena»
di Leandro Del Gaudio
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Venerdì 26 Luglio 2019, 07:00 - Ultimo aggiornamento: 17:23
Volevano far pentire Raffaele Cutolo? E magari volevano controllare il flusso di dichiarazioni, in modo da disinnescare possibili colpi ad effetto? Lo ha spiegato Raffaele Cutolo nel corso di un'intervista al Mattino, al termine del colloquio con Antonio Mattone (che sta lavorando a un libro sull'omicidio del vicedirettore di Poggioreale Giuseppe Salvia) e lo conferma oggi Carlo Alemi, magistrato in pensione che trent'anni fa condusse l'istruttoria legata sulla trattativa per liberare l'ex assessore regionale Ciro Cirillo da una prigione delle Br.

Giudice Alemi, le risulta un tentativo di arrivare al pentimento di Raffaele Cutolo?
«Certo che mi risulta. È un fatto acclarato, che fui in grado di esplorare nel corso dell'istruttoria che condussi all'epoca. Una vicenda di cui ho anche fatto menzione nel mio libro sul «Caso Cirillo» (edizione Tullio Pironti), che racconta questi ed altri punti oscuri della detenzione dell'ex capo della Nco».
 
C'è un momento chiave, un punto di svolta, in cui realmente Cutolo poteva passare dalla parte dello Stato?
«Ricordo che quando era detenuto nel carcere di Carinola, c'erano le condizioni per arrivare al trasferimento di Cutolo in una caserma dei carabinieri per dare inizio alla sua collaborazione con lo Stato. Era il punto di svolta: Cutolo doveva lasciare il carcere, per diventare pentito, solo che accadde qualcosa di strano».

A cosa si riferisce?
«Quel giorno, i magistrati inquirenti di Napoli e Salerno che dovevano incontrare Cutolo prima della sua traduzione trovarono il carcere pieno di funzionari dei servizi segreti. Fatto sta che i colleghi magistrati si accomodarono dinanzi a Cutolo, che si limitò ad una alzata di spalle, sostenendo di aver cambiato definitivamente idea. Erano gli anni Novanta: disse che aveva parlato con le sue donne (moglie e sorella), che non avevano accettato la scelta dissociativa o collaborativa, che preferiva rimanere in cella».

Oggi al Mattino ha sostenuto di aver ricevuto richieste di collaborazione fino ad un paio di anni fa, con tanto di beneficio immediato: gli avrebbero offerto una villa privata in cui incontrare la moglie e ricostruire il proprio interno domestico. È credibile una cosa del genere?
«Posso parlare di quanto avvenne negli anni Ottanta e Novanta, alla luce della mia istruttoria, non di cose recenti di cui non sono a conoscenza».

Per il caso Cirillo, ha mai interrogato Raffaele Cutolo?
«L'ho interrogato per giornate intere, tanto che si stava diffondendo la voce di una sua dissociazione o di un suo pentimento, che sarebbe avvenuto per mano mia».

Cosa ricorda di quel periodo e di quel confronto?
«Ricordo un episodio strano: venne a trovarmi un alto prelato che mi chiese di essere autorizzato ad incontrare Cutolo, perché voleva che si pentisse dinanzi a Dio. Ho sempre pensato che fosse stato spedito da componenti della Dc, nel tentativo di capire cosa stesse realmente accadendo nel confronto tra me e il capo della Nco, se fosse realmente credibile la storia del suo pentimento».

Alla luce della sua esperienza diretta, quanto risulta credibile Raffaele Cutolo?
«Quando si parla di Cutolo, bisogna partire sempre da una premessa: le sue esternazioni sono sempre un misto di mezze verità, ma anche di messaggi, di fandonie magari inventate solo per alimentare un certo tipo di suggestioni o solo per orientare la portata delle cose vere messe a verbale. Va preso con le molle, perché non è mai lineare nelle cose che dice».

Una delle cose che Cutolo ribadisce da anni, in tutte le sedi possibili, riguarda la possibilità di liberare Aldo Moro. Anche ieri al Mattino, il capo della Nco ha ribadito il concetto, sostenendo di aver detto ad alcuni notabili della Dc dove si trovasse la cella dello statista democristiano. Crede che sia credibile una versione del genere?
«Purtroppo sì. È quanto emerso anche dalla mia istruttoria. Troppi punti oscuri, troppe anomalie. Gliene cito una: a febbraio del 1978, un detenuto chiede di parlare con il magistrato e racconta di aver saputo che le Br stavano preparando un attentato a Moro. Le sue dichiarazioni finiscono a Bari e verranno trasmesse a Roma solo nel giorno in cui viene realmente sequestrato Moro, con l'uccisione dei suoi agenti di scorta. Una delle tante stranezze di una storia che non è stata ancora scritta fino in fondo».
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