Neomelodico condannato: «Il suo inno al capoclan un’istigazione a delinquere»

Neomelodico condannato: «Il suo inno al capoclan un’istigazione a delinquere»
di Dario Sautto
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Venerdì 24 Luglio 2020, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 11:01

La canzone era un inno alla camorra, al clan Birra-Iacomino, al boss (poi morto) Vincenzo Oliviero, che ne aveva scritto e firmato il testo. Ora a certificarlo c’è una sentenza di primo grado, che ha condannato anche il cantante e gli attori del videoclip, che altro non erano che affiliati allo stesso clan di camorra di Ercolano. Il brano in questione era «’O Capoclan», in cui il boss veniva definito, in sintesi, «uomo serio, devoto alla famiglia, ma pronto a farla pagare a chi gli si fosse messo contro o lo avesse tradito» e che sarebbe servito – come ricostruirono le indagini dei carabinieri della compagnia di Torre del Greco con l’allora pm dell’antimafia Pierpaolo Filippelli – a creare «orgoglio» e spirito di appartenenza negli affiliati al clan, e contemporaneamente paura e omertà tra le vittime di estorsioni. 



Era il 2004, quando Aniello Imperato – professione marittimo, incensurato, in «arte» Nello Liberti – cantava che «il capoclan non è cattivo» e che ogni decisione era giusta perché «lui non sbaglia, perché è il capo e dobbiamo rispettarlo». Da neomelodico semisconosciuto diventò improvvisamente il cantante più in voga tra gli affiliati al clan Birra-Iacomino e il suo brano si trasformò nella hit del momento, tanto di diventare un vero e proprio inno tra i camorristi di quella fazione. Nel videoclip, che spopolava su alcune emittenti locali e fu pubblicato anche su YouTube, gli attori intepretavano gli spostamenti di un boss latitante da un covo all’altro, la lettura e la distruzione di alcuni «pizzini» con i messaggi per gli affiliati, l’organizzazione di un agguato con tanto di armi, un summit di camorra. Scene di ordinaria camorra. Ieri, i giudici del tribunale di Napoli – quarta sezione penale, collegio A, presidente Loredana Acierno – hanno sancito per la prima volta che una canzone, al di là dei discutibili gusti musicali, può essere considerata istigazione a delinquere in favore di un clan di camorra. Soprattutto perché nel videoclip di quel brano tra i diversi attori comparivano alcuni affiliati ai Birra-Iacomino che in pratica interpretavano loro stessi. Tre di loro erano stati condannati già per altri fatti di camorra e ieri per lo stesso reato contestato a Nello Liberti. Si tratta di Anna Esposito (soprannominata «’o masculone», nel video interpreta Anna l’angolo del regalo, l’autista), Luigi Oliviero (fratello del boss Vincenzo «papa buono», nella clip interpreta Luigi ‘o pesante) e Alfonso Borrelli («’o Fonzy» nel video musicale, dove interpreta il protagonista capoclan). Un mix tra realtà e musica che era servito a rafforzare il clan Birra-Iacomino, in quel periodo guidato dal reggente (poi morto) Vincenzo Oliviero, al quale l’Antimafia è riuscita negli anni a sequestrare addirittura «Radio Ercolano», l’emittente radiofonica di sua proprietà che trasmetteva solo canzoni neomelodiche miste a messaggi per gli affiliati al clan, che potevano ascoltarli anche in carcere. Una passione per la musica e la comunicazione che aveva permesso ad Oliviero di scalare le gerarchie all’interno del clan, fino a diventare «’o capoclan», il boss reggente durante la detenzione dei capi.

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Imperato è stato condannato a un anno e quattro mesi di reclusione, stessa pena inflitta a Borrelli. Condannati (anche per altri reati) Anna Esposito a sei anni e mezzo e Luigi Oliviero a cinque anni e tre mesi. I quattro «artisti» del clan – il cantante e i tre attori camorristi – sono stati condannati anche a risarcire la parte civile Fai Antiracket Campania. A processo, con l’accusa rappresentata in aula dal pm Sergio Ferrigno, c’erano altri protagonisti della faida di Ercolano tra i clan Birra-Iacomino e Ascione-Papale. E così, è stato condannato a 18 anni di carcere anche il 32enne Mario Ascione, figlio del boss Pietro, accusato del tentato omicidio di Ciro Langella, alias «meuccio», ex affiliato al clan Birra-Iacomino, oggi pentito e costituitosi parte civile. L’episodio, avvenuto il 23 aprile 2008, scatenò una nuova serie di agguati di camorra. Langella dovrà anche essere risarcito da Ascione junior, nel frattempo tornato libero. In continuazione con altre sentenze, sono stati condannati per armi anche Aniello Taurino (13 anni), Ciro Savino (10 anni) e Pasquale Borragine (6 anni e 3 mesi), questi ultimi due con il riconoscimento dei benefici previsti per i collaboratori di giustizia.

Tutti gli imputati sono stati condannati anche a risarcire l’associazione antiracket, costituita parte civile contro tutti.  

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