«Io, torturato dagli 007 russi per le mascherine all'Italia»: parla Semchuk, il giornalista in fuga da Mosca

«Ho rivelato che gli aiuti erano un “virus” per minare la compattezza della Nato»

Semchuk, il giornalista in fuga da Mosca: «Io, torturato dagli 007 russi per le mascherine all'Italia»
Semchuk, il giornalista in fuga da Mosca: «Io, torturato dagli 007 russi per le mascherine all'Italia»
di Valeria Di Corrado
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Domenica 15 Maggio 2022, 22:56 - Ultimo aggiornamento: 16 Maggio, 10:32

«Pensavano fossi una spia dell’Europa, per questo mi hanno sequestrato e picchiato». Il giornalista russo Pavel Broska Semchuk aveva scoperto che il milione di mascherine che sarebbe dovuto arrivare a Napoli a marzo 2020, spedite da una presunta associazione culturale di Sebastopoli e dai veterani della Flotta del Mar Nero, in realtà nascondeva un piano, probabilmente ordito dal Cremlino, per minare l’unità della Nato. Insomma, una sorta di “cavallo di Troia”. L’Italia, infatti, accettando quell’aiuto dalla Crimea, si sarebbe messa in imbarazzo con gli alleati, considerato che l’Ue aveva già emesso il primo pacchetto di sanzioni contro Mosca in risposta all’annessione della Crimea del 2014.

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Il sequestro di Pavel è avvenuto subito dopo la pubblicazione di un suo articolo sul sito Crimea24 in cui cercava di far luce su quell’operazione, che poi saltò.

Alcuni giorni dopo, il 21 marzo, si sentirono al telefono Vladimir Putin e l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte. L’indomani atterrò all’aeroporto di Pratica di Mare il primo dei nove quadrimotori russi Ilyushin carico di aiuti e medici, comitiva che poi si diresse verso Bergamo. Ad attendere la spedizione “Dalla Russia con amore” c’era anche il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.

Dopo l’invasione dell’Ucraina, Pavel capisce che non può più restare in Russia: teme per la sua vita e decide di fuggire in Italia, grazie all’aiuto delle Camere penali del diritto europeo e internazionale, un dipartimento di studi diplomatici presieduto dall’avvocato Alexandro Maria Tirelli, che dà spazio alle voci democratiche interne alla Russia e allo stesso tempo combatte la “russofobia”.

Pavel, perché è scappato?
«Io amo il mio Paese, però non è possibile fare il giornalista libero in Russia e raccontare come vanno realmente le cose. O rimani lì e fai tutto quello che ti dicono oppure, per avere la libertà di scrivere ciò che vuoi, devi andare via, altrimenti ti multano o ti mettono in carcere».

Che tipo di visto ha?
«Sono riuscito a ottenere dall’Italia un visto turistico. Ho raggiunto prima la Bielorussia, in treno. Poi dalla Bielorussia sono arrivato a Istanbul e da Istanbul a Roma».

Perché è stato licenziato da “Crimea24”?
«A inizio pandemia, quando il Covid nel vostro Paese mieteva vittime, una tale Anna Kaskova, direttrice del Centro per la cultura e la lingua italiana di Sebastopoli, che in realtà aveva l’obiettivo di guadagnare e non di promuovere l’Italia, si era offerta di inviare un milione di mascherine. Io ho iniziato a fare un’indagine per capire dove fossero finite e perché non fossero arrivate a Napoli. Ho scritto sul sito internet di Crimea24 un articolo svelando che in realtà quelle mascherine non c’erano e da lì sono iniziati i miei problemi».

Cosa le è successo?
«Mi hanno fatto cancellare l’articolo dal sito e poi mi hanno ordinato di licenziarmi. Una notte, grazie a Dio non c’erano mia moglie e mia figlia in casa, sono arrivati degli agenti dei servizi segreti russi: hanno messo sottosopra tutto per cercare le prove che dimostrassero che lavoravo per gli europei».

Pensavano che lei fosse una spia?
«Potrebbe essere, perché adesso in Russia se non dici quello che vogliono loro vuol dire che sei una spia. Mi hanno caricato in una macchina con i vetri oscurati, per non farmi capire dove stavamo andando, e portato in una stanza dove mi hanno tenuto per tre giorni. Ogni tanto qualcuno entrava e mi picchiava. Pensavano che prima o poi parlassi. Non riuscendo a ottenere alcuna confessione, mi hanno abbandonato per strada e mi hanno ordinato di tacere e non immischiarmi, altrimenti avrebbero saputo dove trovarmi».

Cosa ha fatto a quel punto?
«Ho lasciato la Crimea, ma ho mantenuto lo stesso numero di cellulare e ogni tanto ricevevo una chiamata in cui mi dicevano di starmene tranquillo. Dopo lo scorso 24 febbraio ho capito che dovevo stare zitto perché avrebbero potuto fare qualsiasi cosa a mia moglie e mia figlia. Tra l’altro sono rimaste in Russia. Vorrei portarle in Italia perché ho paura che possa accadere loro qualcosa di brutto».

In Crimea gli abitanti vogliono essere annessi alla Russia?
«Sì, perché si sentono russi da tanti anni».

Invece i russi cosa pensano della guerra in Ucraina, al di là del condizionamento della propaganda di Putin?
«In grandi città come Mosca e San Pietroburgo le persone non si interessano a ciò che sta succedendo, restano indifferenti. Al massimo guardano la tv e quello che gli viene raccontato se lo fanno andar bene, anche se pensano che si tratti di propaganda. Invece nelle regioni più vicine al confine ucraino, non capiscono perché Putin abbia invaso l’Ucraina».

Cosa pensa la gente comune delle sanzioni economiche agli oligarchi e dell’invio delle armi da parte dell’Italia?
«La gente comune non pensa proprio alle sanzioni o agli oligarchi. Però i russi sono scontenti del fatto che l’Italia invii le armi in Ucraina, perché pensano che finché vengono inviate le armi la guerra continuerà. Secondo loro, senza le armi la guerra sarebbe già finita».

Cosa vorrebbe fare in Italia? Vorrebbe tornare a fare il giornalista?
«Sì, il mio sogno è quello di aprire un giornale per dire la verità, poter scrivere tutto e parlare a chi - sia ucraini che dissidenti russi - è scappato dal proprio Paese. Qui, ad esempio, mi sembra strano poter pronunciare finalmente la parola guerra. In Russia si può solo parlare di missione speciale. Vorrei chiamare questo giornale: “Radio free Russia”».
 

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