Pompei d'Oriente, scoperte centinaia di tavolette incise nella città eldorado dell'Iran

Pompei d'Oriente, scoperte centinaia di tavolette incise nella città eldorado dell'Iran
Pompei d'Oriente, scoperte centinaia di tavolette incise nella città eldorado dell'Iran
di Laura Larcan
6 Minuti di Lettura
Mercoledì 24 Febbraio 2021, 14:26

Una vasta distesa di "domus" articolate in più ambienti funzionali, un sistema di strade e vicoli, quartieri di rappresentanza e vita pubblica, utensili e materiali per la vita quotidiana, fino a centinaia di tavolette in argilla incise. Gli archeologi la chiamano la "Pompei d'Oriente". Si tratta della città Shahr-i Sokhta, sito che risale a 6000 anni fa, sorto nella provincia di Sistan-va-Baluchistan e oggi iscritto nella lista del patrimonio Unesco. Qui le radici affondano nel mito e nell'epopea delle civiltà mesopotamiche e dei Sumeri. Favolosamente ricollegata alla mitologica città di Aratta, in pieno deserto, difficile da raggiungere, ma molto ricca, piena d'oro, argento, lapislazzuli e numerosi altri materiali preziosi. Una realtà che sta regalando fior di scoperte che contribuiscono a ricostruire l'importanza storica del sito. 

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Le ultime scoperte confermano infatti  che si tratta di una autentica eldorado dell'Iran orientale, che rappresentava il punto d’incontro di diverse civiltà, il primo esempio di melting-pot asiatico. Oggi, il sito archeologico è simbolo della cooperazione tra Italia ed Iran, perché qui dal 2016 è stato avviato un progetto di ricerca e scavo da parte di una missione internazionale. 

I più recenti studi hanno innanzitutto raccolto dati che cambiano la cronologia del centro di Shahr-i Sokhta, restituendogli una nuova sequenza stratigrafica e cronologica che alza la vita dell'abitato di circa 3/4 secoli. Significative evidenze archeologioche fanno pensare che il sito si comportasse come un centro dove conviveno insieme in uno stato di equilibrio sociale vari gruppi "clan" di origini tribali diversi, in cui gli aspetti gerarchici furono destinati solo all’interno di ogni singolo gruppo.

Il regime di equilibrio economico era dettato verosimilmente dalla prosperità che il centro dovette avere durante la prima metà del III millennio a.C.

E le recenti straordinarie scoperte di centinaia di proto-tavolette in argilla (ora da decifrare), usate per la registrazione contabile all'interno di singoli edifici, vanno considerate forme di contabilità amministrativa di matrice famigliare, destinate al calcolo e alla gestione del surplus economico prodotto. 

Le nuove scoperte sono state illustrate a Lecce alla presenza del rettore UniSalento, Fabio Pollice, dell'ambasciatore italiano nella Repubblica Islamica dell'Iran, Giuseppe Perrone, dell'Ambasciatore della Repubblica Islamica dell'Iran in Italia, Hamid Bayat, del direttore dell'Iranian Cultural Institute Taghi Amini, del direttore della Scuola di specializzazione in Beni archeologici «Dinu Adamesteanu» dell'Università del Salento Gianluca Tagliamonte, e del direttore del Dipartimento di Beni culturali UniSalento, Raffaele Casciaro.

L’importanza del sito Il sito di Shahr-i Sokhta, che sorge tra l’inospitale deserto del Lut e le alture del Baluchistan, rappresenta uno dei centri più ambiti per l’indagine archeologica, sia per essere perfettamente conservato a causa di concrezioni saline presenti su tutta la superficie che hanno sigillato reperti e strutture del sottosuolo, sia per essere stato spesso associato, dalla letteratura archeologica, alla mitologica Aratta che, localizzata dai testi mesopotamici “dove sorge il sole”, rivaleggiò con i sovrani della I Dinastia di Uruk (tra cui si ricorda Gilgamesh), padroni del Sumer e depositari della regalità dopo il Diluvio

In particolare, Aratta, citata nei maggiori poemi sumerici (tra cui “Enmerkar e il signore di Aratta”, “Enmerkar ed Ensuhkeshdanna”, “Lugalbanda e l’uccello Anzu”, e nello stesso poema di Gilgamesh), è presentata come un posto lontano e difficile da raggiungere, favolosamente ricco, pieno di oro, argento, lapislazzuli e numerosi altri materiali preziosi. La città è anche presentata come la sede della dea Inanna, alla quale fu dedicato un tempio completamente costruito di lapislazzuli; le vicissitudini della città con i re sumerici indurranno la dea a scegliere Uruk, centro della Mesopotamia meridionale, come propria residenza, consegnando la regalità al Sumer e alla dinastia fondata da Enmerkar e continuata con Lugalbanda e il mitologico Gilgamesh.

Il ricordo della città rimarrà vivo nella letteratura mesopotamica tanto da essere ricordata nei poemi di Shulgi, re di Ur, e in altri testi paleobabilonesi approssimativamente datati al XIX secolo a.C. In attesa di trovare conferme sull’identificazione del sito, i rinvenimenti effettuati negli ultimi 23 anni dalla missione iraniana di Mansur Sajjadi e dal nuovo progetto di Enrico Ascalone nella cosiddetta “Pompei d’Oriente” hanno confermato l’eccezionalità di Shahr-i Sokhta che, sebbene depositaria di un percorso autonomo di crescita, sorge a cavallo tra le quattro grandi civiltà fluviali (Oxus, Indo, Tigri-Eufrate e Halil) dell’Asia Media, Centrale e Meridionale: quella sumerica, i cui legami letterari confluiscono nella mitologia; quella di Jiroft, culla di una nuova e dimenticata civiltà fino al 2003; quella dei grandi centri dell’Asia Centrale; quella dei grandi insediamenti di Harappa e Mohenjo-daro, con cui Shahr-i Sokhta intrattenne rapporti a vario livello.

Shahr-i Sokhta, la cui estensione è di circa 200 ettari, da una parte ha mostrato processi di crescita locale ben radicati nel tessuto culturale del Sistan iraniano e, dall’altra, tra il secondo quarto del III e l’inizio del II millennio a.C. ha restituito straordinarie evidenze di un ‘long-distance trade’ tra i principali centri del Vicino Oriente. In particolare, le evidenze di attività manifatturiere nell’insediamento e la scoperta di ingenti quantitativi di pietre non lavorate semi-preziose come lapislazzuli, turchese, alabastro e altro hanno permesso di riconoscere, nel centro del Sistan, un’area di approdo, stoccaggio, lavorazione e redistribuzione del materiale destinato per un fabbisogno interno e per un domanda esterna da riconoscersi nelle oasi dell’Oxus, nelle fertili valli dello Halil (Jiroft), nelle pianure della valle dell’Indo e nelle aree alluvionali mesopotamiche, le cui evidenze archeologiche provenienti dai maggiori centri del sud (Ur), della Diyala (Khafaja), del medio corso dell’Eufrate (Mari) e dell’Alta Mesopotamia (Tepe Gawra), assieme a quelle della Siria Interna (Ebla), risultano decisive per confermare la presenza di due maggiori itinerari commerciali che sfruttarono, a nord, la via del Khorasan (ben conosciuta dai più tardi testi dei geografi arabi) e, a sud, la via marittima del Golfo Persico che, a partire dalla seconda metà del III millennio a.C., gradualmente sostituirà l’arteria settentrionale.

Con la fine del III millennio a.C. la floridità del maggiore centro del Sistan dovette scomparire progressivamente e improvvisamente, per cause perlopiù misteriose che coinvolsero i maggiori centri di tutta l’Asia Media. Shahr-i Sokhta, come i maggiori centri della civiltà Harappana, cesserà la propria esistenza colpita da una crisi che la ricerca archeologica tende a spiegare, non senza incertezza, con un radicale e repentino cambiamento climatico che avrebbe colpito quei centri, la cui sussistenza risiedeva principalmente nelle risorse idriche della regione.

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