Oligarchi russi nel panico, beni di lusso in vendita per salvarsi dalle sanzioni. Caccia agli yacht, intercettato «Amore Vero» di Igor Sechin

Da Abramovich che ha messo in vendita il Chelsea, i magnati legati al Cremlino stanno correndo a liberarsi dei loro beni

Oligarchi russi nel panico, vendono beni di lussi per salvarsi dalle sanzioni: ed è caccia agli yacht in giro per il mondo
Oligarchi russi nel panico, vendono beni di lussi per salvarsi dalle sanzioni: ed è caccia agli yacht in giro per il mondo
di Simone Pierini
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Giovedì 3 Marzo 2022, 09:42 - Ultimo aggiornamento: 4 Marzo, 14:12

«Come tutti gli oligarchi russi, Abramovich è nel panico e sta cercando di vendere tutte le sue residenze in Inghilterra, e vuole anche liberarsi del Chelsea alla svelta».  Lo ha rivelato Hansjorg Wyss, accreditato di un patrimonio personale di quasi cinque miliardi di euro a cui sarebbe stato offerto orioprio il club londinese. Da queste parole emerge però un elemento chiave: il panico che stanno vivendo i magnati russi, accerchiati a livello globale e sotto smacco delle sanzioni. I miliardari legati al Cremlino stanno anche affrontando nuove minacce di sequestro di beni dagli Stati Uniti, con Joe Biden che usa il suo discorso sullo stato dell'Unione per dire che l'America stava arrivando a «sequestrare i tuoi yacht, i tuoi appartamenti di lusso, i tuoi jet privati». 

Nel frattempo le autorità doganali francesi hanno intercettato uno yacht di proprietà del magnate russo Igor Sechin, Ceo di Rosneft. L'intercettazione ha avuto luogo mercoledì sera a La Ciotat, una città nel sud-est della Francia vicino a Marsiglia. Lo yacht, «Amore Vero», era arrivato nella zona il 3 gennaio e doveva partire l'1 aprile, dopo aver completato una serie di riparazioni, secondo il ministero delle finanze francese. Il ministro delle finanze francese, Bruno Le Maire, ha applaudito su Twitter le autorità per l'applicazione di sanzioni che colpiscono persone «vicine al potere russo».

Oligarchi nel panico, caccia ai loro beni 

La caccia in Occidente agli oligarchi del business russo, e alle fortune prosperate o conservate all'ombra del putinismo, diventa senza quartiere.

L'invasione dell'Ucraina ordinata da Vladimir Putin minaccia ormai di fare terra bruciata attorno a loro, quale che sia l'influenza sul leader del Cremlino; e non risparmia neppure Aleksei Mordashov, 56 anni, accreditato da Forbes nel 2021 come l'uomo più ricco di Russia - con un patrimonio stimato a oltre 29 miliardi di dollari, il quadruplo di Silvio Berlusconi e 13 volte John Elkann per avere qualche termine di paragone - preso di mira da una nuova raffica di sanzioni firmate Ue. L'obiettivo di Bruxelles, come di Washington o di Londra, appare evidente al di là della sovrapposizione non ancora piena delle differenti liste di proscrizione: non solo e non tanto mettere sotto tiro proprietà da mille una notte, yacht, beni vari e conti bancari custoditi all'estero dalle elite moscovite, dopo anni in cui tutto questo flusso di denaro era stato accolto senza troppi filtri; bensì soprattutto usare le sanzioni come una sorta di leva politica. Una leva che si vorrebbe in grado di contribuire a destabilizzare presto o tardi il sistema di potere che da 20 anni ruota attorno a Vladimir Vladimirovic. Se non lo zar in persona e il suo cerchio magico più stretto. In questo senso il nome di Mordashov ha un peso simbolico. Un avvertimento: la conferma che nessuno, per florido che sia, è più al sicuro. In ballo nel suo caso ci sono interessi tentacolari, che dalla Russia si allungano all'Europa continentale e al Regno Unito.

Nato in una famiglia operaia della regione di Vologda ed emerso dal nulla come altri nel far west delle privatizzazioni degli anni '90 fino a farsi padrone dei ciclopici impianti siderurgici targati ora Severstal, nel Grande Nord, Aleksei Alekstandrovic è oggi un modello di businessman globalizzato. Uno dei re dell'acciaio a livello planetario, ma non solo. È di casa nella City; ha rilevato in Germania in piena pandemia quasi il 35% del colosso turistico internazionale Tui divenendone il maggior azionista; possiede giacimenti d'oro; fa affari in India e Cina; viaggia su un jet privato Bombardier Global 6000 tracciato di recente in volo fra Londra e Pechino e poi fra le Seychelles e Mosca. E naturalmente ha il suo bel panfilo da favola, il Nord, 144 metri di lunghezza, mandato secondo il Guardian a svernare fuori tiro nell'Oceano Indiano. In Italia ha una villa in Sardegna e una quindicina di anni orsono fu protagonista dell'acquisizione delle storiche acciaierie bresciane del Gruppo Lucchini, alla fine liquidato. L'Unione Europea lo ha inserito nella sua black list per le quote che detiene in seno a Rossiya Bank, additata come 'la banca personale' di molti papaveri della nomenklatura che avrebbero beneficiato dell'annessione della Crimea. Lui si difende affermando di non avere «assolutamente nulla a che fare» con quella che definisce «l'attuale tensione geopolitica», giurando di non volere la guerra («una tragedia fra due popoli fratelli») e deplorando le sofferenze e la morte di tanti «ucraini e russi». Ma oggi ha dovuto dimettersi dal consiglio di amministrazione di Tui Ag, come annunciato dai vertici societari del mega tour operator tedesco. E le sue quote, con un valore di mercato di poco inferiore agli 1,2 miliardi di euro, sono state congelate. A Londra, per il momento, non è nel novero dei sanzionati. Ma le conseguenze sembrano inevitabili. Tanto più che il governo Tory di Boris Johnson, già in prima fila sul fronte della linea dura della rappresaglia anti Mosca e degli aiuti militari a Kiev, si appresta ad ampliare ulteriormente le ritorsioni senza precedenti adottate per la propria parte: promettendo persino - in nome della «trasparenza» - la pubblicazione di un inedito elenco collettivo d'individui e aziende «associate» a qualsiasi titolo al «regime di Putin» nel Regno. Anche sotto la spinta di un'opposizione laburista che insiste a sfidarlo a intensificare la pressione proprio sui miliardari o gli ex notabili russi più radicati oltre Manica, come il magnate uzbeko-moscovita Aliser Usmanov, il banchiere benefattore della comunità ebraica Mikhail Fridman o l'ex vicepremier Igor Shuvalov. E come il patron del Chelsea, Roman Abramovich, in apparenza deciso ormai, volente o nolente, a mollare definitivamente l'isola e a vendere tutto ciò che ha accumulato qui: anche se non gli sarà facile incassare i 3,3 miliardi di sterline che, a dar retta ai tabloid, ha fissato come prezzo-base della sola squadra di calcio.

Abramovich e la corsa alla vendita dei beni

Roman Abramovich ha iniziato una "svendita" del suo vasto portafoglio londinese mentre cerca di scaricare il Chelsea FC per 3 miliardi e 200 milioni di sterline - con un parlamentare che afferma che il miliardario russo stia agendo rapidamente per impedire che i suoi beni vengano congelati. Chris Bryant dei laburisti, usando il privilegio parlamentare per evitare azioni legali, ha affermato che il magnate sta vendendo la sua casa e un appartamento perché è «terrorizzato di essere sanzionato», aggiungendo che temeva che il governo presto esaurisse il tempo per agire. Abramovich vale  circa 12,5 miliardi di dollari, secondo Forbes, e possiede una villa da 150 milioni di sterline a Kensington, un attico da 22 milioni di sterline e oltre 1,2 miliardi di sterline di yacht, jet privati, elicotteri e supercar con sede in Gran Bretagna e in tutto il mondo. 

Fridman e Aven

Gli oligarchi russi Mikhail Fridman e Petr Aven si sono dimessi dal fondo di investimento britannico 'LetterOne' dopo le sanzioni decise dell'Unione Europea. È quanto rileva il 'Financial Times' LetterOne, che è stato fondato nel 2013 da Mikhail Fridman, è stato creato dopo la cessione per 14 miliardi di dollari della quota in Tnk-Bp a Rosneft. Il fondo investe in Europa nel settore energetico, retail e telecomunicazioni. Il presidente Lord Mervyn Davies, un ex ministro del governo laburista del Regno Unito, assumerà il controllo del gruppo, con Fridman e Aven che si dimetteranno dal consiglio. Davies ha detto al quotidiano economico britannico che i miliardari hanno accettato di non avere più alcun coinvolgimento negli affari. Fridman e Aven insieme possiedono poco meno del 50% del gruppo, il che significa che la società ha evitato le sanzioni imposte dalle sanzioni Ue. Le loro quote dovrebbero essere «congelate», ha detto Davies, senza diritti e senza dividendi.

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