Donetsk e Lugansk, le due città Stato del Donbass: chi sono i due leader amici di Putin che le guidano

Denis Pushilin (Donetsk) e Leonid Pasechnik (Luhansk) hanno approvato oggi leggi di ratifica dei Trattati di amicizia, cooperazione e assistenza reciproca con la Russia

Donetsk e Lugansk, le due città Stato del Donbass: chi sono i due leader amici di Putin che le guidano
Donetsk e Lugansk, le due città Stato del Donbass: chi sono i due leader amici di Putin che le guidano
di Mario Landi
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Martedì 22 Febbraio 2022, 12:48 - Ultimo aggiornamento: 17:37

Le Repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk sono governate da separatisti filorussi dal 2014. Quando, nello stesso 2014, hanno dichiarato la loro indipendenza, sono state sostenute sia dal punto di vista militare che finanziario da MoscaLe autorità delle due autoproclamate repubbliche hanno approvato oggi leggi di ratifica dei Trattati di amicizia, cooperazione e assistenza reciproca con la Russia, all'indomani dell'annuncio di Putin sul riconoscimento delle due entità. I consigli popolari delle due repubbliche, riferisce Sputnik, hanno approvato all'unanimità le leggi di ratifica. I due leader sono Denis Pushilin (Donetsk) e Leonid Pasechnik (Luhansk). 

I due leader diversi tra loro

Kiev li definisce i due «terroristi separatisti».

Pushilin, 40 anni, quasi dal nulla e senza un profilo militare, si è imposto nel 2014 come primo rappresentante dei separatisti filo-russi che in nell'Ucraina dell'Est avevano autoproclamato la Repubblica popolare di Donetsk (Dpr) successiva alla rivolta di piazza Majdan quando il presidente Viktor Janukovich fu deposto. Al contrario Pasechnik, 52 anni, è un militare con un passato nei servizi segreti di Kiev ed è in carica dal 2017. 

Il Donbass e l'importanza del carbone

La questione dell'Ucraina, ed in particolare del Donbass, si può considerare la madre di tutte le battaglie per Vladimir Putin, nel suo disegno che mira a porre un argine al progressivo allargamento della Nato in Europa orientale. E la ricca regione carbonifera nel sud-est del Paese, dove vive una consistente comunità russofona, è per lo zar il cuscinetto ideale, anche per rosicchiare territorio a Kiev ed indebolirne le pretese di entrare nell'orbita occidentale. Nel Donbass oltre 770mila ucraini hanno il passaporto russo, su una popolazione di circa 5 milioni di abitanti, e secondo Mosca negli ultimi giorni altri 950mila residenti hanno fatto la stessa richiesta. Con la «madre Russia» c'è un legame antico, rafforzato da una Chiesa ortodossa locale che si è staccata da quella ucraina per legarsi a Mosca. Questo legame si nutre anche dell'insofferenza della popolazione verso lo Stato centrale. Perché le condizioni generali di vita, dall'uscita dell'Ucraina dall'Urss, nel 1991, sono peggiorate progressivamente. E allo stesso tempo, sono cresciute le pulsioni secessioniste.

La rivolta del 2014

La miccia si accende nel 2014, quando dopo la rivolta filo-Ue di Maidan e la cacciata di Viktor Yanukovich dal potere, Mosca in reazione decide l'annessione della penisola della Crimea, nel sud dell'Ucraina. Da quel momento parte la mobilitazione anche del Donbass, con gruppi militari delle regioni di Lugansk e Donetsk che riescono in breve tempo a prendere il controllo di parte della regione, grazie all'appoggio occulto di Mosca, che fornisce denaro e armi. I secessionisti vittoriosi sul campo dichiarano l'indipendenza dall'Ucraina proclamando la nascita della Repubblica Popolare di Donetsk e la Repubblica Popolare di Lugansk. In seguito organizzano un referendum, che secondo i leader ribelli ha un esito bulgaro: la stragrande maggioranza della popolazione vota a favore dell'annessione alla Russia.

Gli accordi di Minsk

Gli sforzi della diplomazia internazionale per riportare stabilità nell'area e porre fine ad un conflitto che ha provocato oltre 10mila morti conducono agli accordi di Minsk, che vengono sottoscritti sia dai filo-russi che da Kiev, sotto il cappello delle potenze occidentali, Francia e Germania, e della Russia. I combattimenti sulla carta devono finire ed il Donbass deve tornare sotto il controllo dell'Ucraina, in cambio di una maggiore autonomia. Ma le intese sottoscritte nella capitale bielorussa non sono risolutive, perché in parte non attuate per responsabilità di entrambe le parti. Mosca non è formalmente parte nel conflitto e quindi non si sente vincolata. Mentre le autorità di Kiev, su pressione della frangia nazionalista del Paese, non riescono a concedere l'autonomia ai separatisti. Ed il conflitto, anziché finire, è riesploso.

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