Coronavirus, Oms: «Vaccino possibile a inizio 2021»

Ranieri Guerra (Oms)
Ranieri Guerra (Oms)
di Lucilla Vazza
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Venerdì 3 Aprile 2020, 00:31 - Ultimo aggiornamento: 4 Aprile, 10:40

Professor Ranieri Guerra, direttore generale aggiunto dell’Organizzazione mondiale della Sanità e componente del Comitato tecnico scientifico sull’emergenza coronavirus: a che punto siamo con l’epidemia in Italia?
«La situazione è ancora complicata. Il messaggio è sempre lo stesso, tenere duro con le misure di distanziamento sociale finché non c’è un abbassamento ben più significativo della curva dei contagi. Non c’è altro modo. A nord piano piano i numeri iniziano a calare, ma è troppo presto per dirci fuori dall’emergenza. Anzi sarebbe grave pensarlo. Al sud c’è stato più tempo per prepararsi, la situazione sta tenendo. La stragrande maggioranza degli italiani sta dimostrando grande senso di responsabilità. Abbiamo visto gli aperitivi, le feste, ne abbiamo viste di tutti i colori, però tutto sommato, guardando i numeri, mi pare che il centro e il sud si siano preparati bene».

Quando comincerà una nuova fase di convivenza con il virus?
«Bisognerà contare quelli che effettivamente hanno avuto contatto col virus e sono in condizione di sieropositività, che in questo caso è una situazione favorevole, perché vuol dire che hanno sviluppato una condizione di immunità. Al momento l’immunità post virus sembra reggere. Chi ha avuto un contatto, anche se asintomatico, ha sviluppato una risposta degli anticorpi può tranquillamente tornare al lavoro. Ma bisogna fare test e la tecnologia che abbiamo in questo momento non è meravigliosa».

Ogni giorno si parla di nuovi test. Quando riusciremo ad avere uno screening efficace per la popolazione?
«Ci sono parecchi test in pre-qualifica a Ginevra, non è una cosa semplice, perché a fronte della dichiarazione di sensibilità e di specificità del produttore, poi bisogna verificarli. E non si fa in un giorno...».

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Che aria si respira all’Oms, qual è la situazione degli altri Paesi?
«Non è che ci sia molto da discutere, le misure da prendere sono quelle che ha preso l’Italia, si cerca di raffinarle in una situazione internazionale dove purtroppo continua a esserci più competizione che solidarietà. Il problema è che di materiali e tecnologie non ce ne sono abbastanza per tutti. Abbiamo visto la piaga infinita degli acquisti internazionali delle mascherine. Con tanto di blocchi, di sequestri e così via. Per i tamponi lo stesso, mancano i reagenti, per cui, anche lì stiamo a combattere con dei numeri che purtroppo non riusciamo a gestire completamente. Per quanto riguarda i test, anche lì tra poco si scatenerà una guerra mondiale per chi riesce ad accaparrarseli. È una situazione veramente bizzarra in cui l’Europa si sta frantumando».
 



L’Oms potrebbe chiedere agli Stati una profonda conversione industriale per produrre i dispositivi che mancano?
«Non sopravvalutiamo il ruolo dell’Agenzia, l’Oms può raccomandare fornendo evidenze a supporto. Se i governi, come l’Italia, si affidano a una lettura scientifica a supporto di una decisione inevitabilmente politica, le cose funzionano. Se ci si rifugia dietro al negazionismo o nell’inasprimento di misure di dogana e di blocchi, non va bene, perché sono destinati a fallire. Il mantra è “nessuno si salva da solo”».

Il dg dell’Oms all’improvviso ha twittato “test, test, test” da molti interpretato come cambio di rotta rispetto alle politiche di tamponi solo sui sintomatici.
«Non hanno letto tutto. Diceva di incrementare il numero dei test nei confronti dei casi sospetti e tracciare i contatti diretti, ossia fare i tamponi innanzitutto al personale sanitario che è in prima linea sul fronte dei contagi».

Quando usciremo da questa pandemia?
«Credo che il lieto fine arriverà quando avremo un vaccino. Ce ne sono parecchi di vaccini candidati allo studio, uno in particolare in una fase piuttosto avanzata perché utilizza una piattaforma già utilizzata a suo tempo per la Sars nel 2003, però questo coronavirus non promette nulla di buono e abbiamo ancora conoscenze limitate».

Che tempi per il vaccino?
«La mia speranza è che arrivi nel primo trimestre dell’anno prossimo. Per darlo a tutti si percorrerà la strada della licenza su brevetto, come avviene per tutti i farmaci risolutivi. È stato così per i farmaci contro l’epatite C. Qui non si tratta di far guarire un gruppo di malati, ma di salvare tutta la popolazione mondiale».

Come mai in Italia dopo i primi contagi non si è immediatamente capito il pericolo che si correva?
«Innanzitutto è un virus nuovo con uno scenario sconosciuto. È difficile capire in assenza di manifestazioni cliniche, che comunque esiste un rischio di contagio, che va avanti e si manifesta dopo due settimane. Magari si ferma l’epidemia, ma chi lo dice alla popolazione che stai fermando tutto per prevenire i contagi? Non dico sia giusto, ma che purtroppo per le amministrazioni è difficile comunicare misure restrittive in assenza di casi. È anche un problema di mancanza di cultura scientifica».

Ci sono stati errori strategici?
«È mancato un piano B. Essere pronti per una risposta in cui si mobilitano le risorse, tutti quanti gli attori del sistema sanno cosa devono fare. Le regioni si allineano, c’è una cabina di comando unica. Però mi pare che il Paese in una situazione così catastrofica non si sia fatto travolgere. Ora bisogna puntare sulle risorse umane, andranno fatte assunzioni per garantire la tenuta del sistema, in parte lo si sta già facendo».

Dopo questa emergenza senza precedenti l’Italia garantirà ancora il diritto alla salute per tutti?
«Dipenderà dall’impatto economico sul Paese. Dalla fiscalità generale e quindi dalla ripresa. Se diminuisce il gettito fiscale chi pagherà? Il governo però è al lavoro anche per questo».
 

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