Tokyo, il reportage di Pio d'Emilia: la rivoluzione sotterranea delle donne. Sono più esigenti e non trovano partner adeguati

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di Pio D'Emilia
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Mercoledì 23 Giugno 2021, 10:40 - Ultimo aggiornamento: 24 Giugno, 06:00

Lo sapevate? È stata una donna, per di più coreana, ad insegnare ai giapponesi a leggere e a scrivere. Sì, perché nonostante la lingua locale fosse già ricca e sofisticata, come dimostrano antichissime poesie e le struggenti uta, le “canzoni popolari” millenarie giunte sino a noi, il popolo yamato – dal nome dell’etnia che si dice occupasse originariamente l’arcipelago – non aveva una lingua scritta. E sebbene abbia dovuto aspettare fino al V secolo per l’adozione massiccia dei kanji, i “caratteri cinesi”, ci fu una signora, tale Wani, che tre secoli prima, invaghitasi di un nobile locale, li aveva portati con sé dalla Corea. Creando una prima, diventata poi dominante, casta di samurai letterati, oltre che ricchi, coraggiosi e sanguinosi. Il Giappone non è stato molto riconoscente. Né con la Corea – Paese che ha ripetutamente invaso e addirittura annesso, il secolo scorso, sottoponendolo ad una lunga, umiliante e sanguinosa occupazione che tutt’ora pesa nei rapporti tra Tokyo, Seoul e Pyongyang – né, più in generale, con le donne.

LA FOTOGRAFIA

Ci volevano forse le Olimpiadi di Tokyotraz – come qualcuno le ha già soprannominate – per rivelare urbi et orbi l’alto, e decisamente imbarazzante, tasso di misoginia della società giapponese. Dopo innumerevoli e altrettanto gravi gaffes del passato, l’ex premier Yashiro Mori lo scorso febbraio è stato costretto a dimettersi dalla carica di presidente del comitato olimpico nazionale. Un suo commento («Meglio avere poche donne negli organi decisionali: parlano troppo e spesso a vanvera») inizialmente passato inosservato sui grandi media nazionali, era stato infatti intercettato e amplificato dai social, che non si sono fermati fino a quando l’ex premier (anche su pressione del CIO), non si è dimesso. Ma non è che la pressoché immediata e da tutti condivisa sostituzione con una donna, l’ex atleta Seiko Hashimoto, tutt’altro che una pasionaria dei diritti delle donne, abbia risolto la situazione. Dopo pochi giorni si è infatti dovuto dimettere anche Hiroshi Sasaki, il creativo e un po’ arrogante direttore artistico dei Giochi. Anche per lui una battuta “infelice” intercettata dai social. A proposito di Naomi Watanabe, una famosa quanto orgogliosamente sovrappeso star della tv che aveva deciso di invitare ad esibirsi in occasione della cerimonia di apertura, aveva detto: «Anche le Olimpiadi hanno bisogno del loro maiale», giocando sull’assonanza: Olympig e pensando di essere spiritoso. Per carità, non che la cosa ci debba o ci possa inorgoglire, ma il Giappone sta messo peggio, molto peggio di noi italiani per quanto riguarda le pari opportunità.

LA CLASSIFICA

Secondo la classifica appena aggiornata del WEF (World Economic Forum), il Giappone è il fanalino di coda tra i Paesi del G-7, con la sua imbarazzante 120ma posizione in classifica generale, appena dopo Angola e Ghana e prima della Sierra Leone. Noi siamo un po’ più su, ma in altrettanto imbarazzante posizione: al 63mo posto. In testa alla classifica, oramai da molti anni, l’Islanda, seguita da altri Paesi del Nord-Europa, come Svezia, Danimarca, Finlandia. Ma anche la neofita Nuova Zelanda, che da alcuni anni è, grazie alla sua giovane e determinata premier e al suo governo “arcobaleno”, in costante corsia di sorpasso. Attenzione poi: la classifica del WEF viene stilata tenendo conto di quattro “settori”: presenza ai vertici della politica e dell’economia, livello di istruzione, salute e spettanza di vita. È grazie a questi ultimi dati (istruzione e salute), decisamente superiori rispetto ad altre nazioni, che il Giappone non precipita più in basso. Nella politica, ad esempio, con appena il 9% di presenze femminili in Parlamento e appena 2 donne in un governo composto da 21 ministri, scende al 147esimo posto (su 156). Sempre secondo il rapporto del WEF (disponibile qui:http://www3.weforum.org/docs/WEF_GGGR_2021.pdf), mentre all’Europa (nonostante la zavorra italiana) occorreranno circa 50 anni per colmare il cosiddetto gender gap, al Giappone, se non ci sarà una auspicabile, decisa accelerazione serviranno oltre 160 anni. Ma attenzione: qualcosa si sta muovendo. «Le donne stanno realizzando una rivoluzione sotterranea – spiega Yumi Ishikawa, autrice di un popolare blog e ispiratrice del movimento #KuToo, un acronimo che si ispira a due fonemi locali che indicano “scarpe” e “dolore” e che (per ora senza grande successo) sta cercando di lottare contro l’ancora diffuso obbligo per le donne di presentarsi in ufficio con i tacchi – invece che perdere tempo nel cercare di strappare piccole modifiche in un ordinamento giuridico spaventosamente misogino, stanno minando la società alle sue fondamenta. Rifiutando di sposarsi e/o di fare figli.

LA TENDENZA

I numeri ci sono, e sono davvero preoccupanti. Oltre ad essere (sempre assieme all’Italia) il Paese industrializzato con il più basso indice di natalità, in Giappone i matrimoni sono in picchiata. E non solo perché le donne hanno scoperto che l’unico modo per evitare pesanti discriminazioni e ostacoli alla carriera è quello di non sposarsi e soprattutto non fare figli (nonostante la legge preveda il congedo di maternità, poche donne riescono ad ottenerlo, anche perché oramai oltre il 65% lavora part-time), ma anche perché sono diventate – giustamente – sempre più esigenti e non trovano partner adeguati. «Le donne giapponesi sono molto più sveglie, colte e intraprendenti dei maschi – spiega Noriko Hama, docente di sociologia presso l’università Doshinsha di Kyoto – soprattutto dei giovani. La vecchia generazione di maschi arroganti, volgari e violenti ma tutto sommato capaci di prendere decisioni, sta scomparendo, ma la nuova è fatta di erbivori, come li chiamiamo qui, maschietti senza personalità, timidi e inaffidabili. E le donne, piuttosto che fare le badanti, preferiscono restare sole». Oggi solo il 52% delle donne sotto i 30 anni vuole sposarsi ad ogni costo, dieci anni fa erano l’82%. E oltre il 30% fissa condizioni precise per dire sì: l’uomo deve guadagnare almeno 5 milioni di yen l’anno (43 mila euro), un privilegio che con l’aumento del lavoro interinale riguarda oramai meno del 10% dei giovani maschietti. E se nonostante la proliferazione dei siti di incontri on line, costosi e a volte pericolosi, le donne non trovano l’anima gemella, pazienza. Ci sono almeno una decina di siti – uno di questi è il gettonatissimo “solo wedding” (https://www.trazeetravel.com/solo-weddings-cerca-travel/) – dove è possibile sposarsi “in solitario”. Con circa 3 mila euro, un centesimo di quanto può costare un matrimonio tradizionale, ti vengono a prendere in stazione, ti portano in albergo, ti fanno provare decine di vestiti, scegliere il bouquet e, cosa più importante di tutte, ti offrono una sessione fotografica nei luoghi più romantici di Kyoto. Con o senza sposo fasullo in prestito, che costa qualche centinaio di euro in più ma che non risulta tra le opzioni più gettonate. Per tutto il resto, sesso compreso, c’è il mondo dell’hosting, più diffuso e sofisticato di quello riservato ai maschi.

Il Giappone è un Paese che ama programmare, prevedere, esercitarsi: ma poi nella gestione reale delle emergenze non è così efficace, nel bene e nel male, come ci si potrebbe immaginare. Se una sera uscirete di soppiatto dall’albergo in cerca di un bar aperto… tranquilli: non ci sarà un drone che vi illumina a giorno, riempiendovi di vergogna e intimandovi di rientrare in stanza. Anche perché gli stessi giapponesi – che queste Olimpiadi non le vogliono, e per validi motivi – sono anche loro un po’ stufi delle “raccomandazioni” del governo per la prevenzione del Covid. Misure che la Costituzione vieta di rendere obbligatorie e che quindi si sono sempre fondate sul senso di responsabilità civile e di rispetto che i giapponesi hanno nei confronti delle autorità. Una fiducia che peraltro è molto calata, specie dopo l’incidente nucleare di Fukushima, quando le autorità – oramai è dimostrato – hanno ripetutamente e a lungo mentito ai loro cittadini e al mondo.

Peccato. Davvero un peccato non poter andare a zonzo per il Giappone. Non poter girare di notte (ma se siete vaccinati e avventurosi un tentativo lo farei, si vedano le indicazioni nell’articolo in alto) nei quartieri non-stop di Tokyo, alla scoperta dell’affascinante caleidoscopio umano che popola i locali notturni di Shibuya, Ikebukuro, Shinjuku. Peccato non potersi affacciarsi a La Jetèe, uno dei locali più minuscoli e intriganti del Golden Gai, il quartiere più laico di Tokyo, dove a suo tempo Wim Wenders girò alcune scene del suo indimenticabile Tokyo-Ga e dove da sempre i giapponesi, e gli stranieri “culturalmente” autorizzati, tirano l’alba confessandosi con le “mama-san”. Rigorosamente donne. O che non essendole, vorrebbero esserlo e tali si sentono. Perché alla fine, è delle donne che ci si può fidare, e anche in una società maschilista come quella giapponese, esserlo è un privilegio.

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