Verso Sanremo/ Note stonate: donne ai margini della musica sia sul palco che nel backstage

Verso Sanremo/ Note stonate: donne ai margini della musica sia sul palco che nel backstage
di Alessandra Micalizzi*
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Mercoledì 26 Gennaio 2022, 15:20 - Ultimo aggiornamento: 22 Febbraio, 00:27

La lunga scalinata alle spalle dell’orchestra e i fiori sono due elementi simbolici di Sanremo che è ormai alle porte. E proprio il tradizionale bouquet è stato oggetto di un importante segnale: dopo anni in cui il mazzo di fiori veniva regalato solo alle donne, rimarcando sì galanteria ma anche differenza - la decisione di essere equal, distribuendolo ogni sera a una figura diversa – musicista o cantante – fosse essa un uomo o una donna. Un gesto simbolico del cambiamento che da alcuni anni interessa anche l’industria musicale a livello globale. Eppure la musica non rappresenta un settore a cui si è dedicata la dovuta attenzione in termini di gender gap pur presentando numeri altrettanto preoccupanti. Le ricerche promosse nel 2020 da Spotify raccontano di una scarsa presenza femminile tra le canzoni prodotte (circa il 27%), di poche autrici donne (poco più del 20%) e di una scandalosa soglia del 3% nella produzione. E in Italia? I dati che si hanno a disposizione sono spesso frammentari ma sembrano confermare gli stessi trend internazionali.

Alessandra Micalizzi, psicologa e PhD in Comunicazione e nuove tecnologie, è docente e ricercatrice presso il SAE Institute di Milano dove insegna Sociologia dei nuovi media, Psicologia del game e Fondamenti di marketing per l’industria culturale

Il SAE Institute, campus internazionale che forma giovani nel settore dei Creative Media, ha promosso uno studio qualitativo, “Women in creative industries il gender gap nell’industria musicale italiana”, molto ampio in tutti gli ambienti della musica italiana: il backstage, il frontstage e il management. Dalla testimonianza diretta delle donne che lavorano in questo settore a vario titolo e dall’incrocio con lo sguardo di un campione più piccolo di uomini sono state indagate le percezioni delle dirette interessate, gli ostacoli e i pregiudizi vissuti sulla propria pelle, insieme alle prospettive, che già si intravedono negli ultimi anni, e all’azione di alcune associazioni come Equaly che fanno del gender equality nella musica l’obiettivo prioritario.

DIVERSE BARRIERE

 Per quel che concerne l’ambito delle performance, sia le musiciste che le artiste intervistate hanno confermato diverse barriere all’ingresso, alcune di carattere socio-culturale, come lo stereotipo della cantante – definita dalle nostre intervistate “vetrina” - altre più di carattere psicosociale, connesse soprattutto all’interiorizzazione di modelli patriarcali che spingono le donne alla ricerca di una perfezione che, se non raggiunta, porta all’abbandono della carriera.

Dichiara una professionista della musica: «Ci sono donne che hanno sviluppato un ruolo ancillare e gregario così forte che quando possono fare il cambiamento non fanno il passo. Anche queste sono emanazioni dello stesso problema connesso al dominio della cultura patriarcale». Le risposte sottolineano anche le difficoltà di una dovuta tutela del lavoro artistico, delle fatiche di un life-work balance, soprattutto in caso di maternità, dei pregiudizi delle commissioni valutatrici, perché quasi sempre composte da uomini. Un aspetto comune, nella musica come in molti altri settori del lavoro, è la naturalizzazione di alcune differenze di genere che diventano la giustificazione condivisa dell’assenza delle donne in un alcuni ambiti professionali, soprattutto se “tecnici” come nel caso della produzione. L’assenza di modelli ne è una diretta conseguenza: non essendovi donne in ruoli apicali o al di fuori dei contesti di inclusione “stereotipati”, mancano modelli di riferimento attorno a cui costruire le proprie aspirazioni di carriera. E questo lo si vede poi anche all’interno dei percorsi formativi. Le donne che studiano produzione audio sono meno del 10% dei gruppi classe: sebbene si avverte anche all’interno del SAE Institute un’inversione di tendenza, i numeri di giovani donne che immaginano il loro futuro in uno studio o nella produzione sempre molto bassi. Questo dato va di pari passo con un aspetto apparentemente contraddittorio: le intervistate hanno tutte alle spalle lunghi percorsi formativi, specializzanti, in Italia o all’estero. A differenza dei colleghi,, che spesso si formano sul campo, da autodidatti, le donne sentono il bisogno di arrivare preparate, di rafforzare le proprie conoscenze e competenze con percorsi mirati. Tutto questo è conseguenza di un altro fenomeno psicosociale: il giudizio verso la donna. Quelle che scelgono questo mestiere sottolineano che si sono trovate sempre a dover dimostrare qualcosa e soprattutto ad essere valutate non solo per le prestazioni lavorative, ma anche per l’aspetto fisico.

*Docente e ricercatrice presso il SAE Institute Italia

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