Maria Chiara Giannetta: «La mia forza è resistere, insistere e imparare»

Maria Chiara Giannetta: «La mia forza è resistere, insistere e imparare»
di Alvaro Moretti
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Mercoledì 23 Febbraio 2022, 14:51 - Ultimo aggiornamento: 24 Febbraio, 09:03

C'è stato un momento, molto diverso da questo in cui è luce anche un sottoscala.

C’è stato un momento in cui Maria Chiara Giannetta ha saputo – anni prima di interpretare la detective cieca Blanca – che vuol dire non vedere niente attorno. Un attimo di vuoto non lungo, ma lo stesso lo stesso brutto e amaro. «Mi ero diplomata al Centro sperimentale di cinematografia e pensavo accadesse qualcosa che avrebbe fatto automaticamente di me quello che sono: un’attrice. E invece niente: sei-sette mesi, mica tanto». Una vertigine al contrario.

Da Foggia a Roma per inseguire il sogno, il pericolo di tornare a Foggia per svegliarsi male: fa effetto pensarci ora, dopo il successo in Don Matteo (arriva la tredicesima stagione, lei sempre capitano Anna Olivieri, con Frassica e Raoul Bova ora), l’apoteosi con Blanca e la sorpresa agli italiani a Sanremo.

«Io la forza la trovo nello studio: devo lavorare, capire, imparare. Così mi sono risollevata: non ho superpoteri, ma questa forza sì. Io so: so che per essere spigliata come mi avete visto a Sanremo devo studiare tanto. Non ce l’ho il talento assoluto di una Bette Davis. E nemmeno i suoi occhi, quelli grazie ai quali poteva stracciare i contratti con le major. Ho una tigna di imparare, però, che vuole somigliare a quella di Monica Vitti: le dicevano che con quella voce non sarebbe mai entrata in accademia. La forza è resistere e insistere, come una goccia cinese. Anche nei rapporti. Con fermezza. Così io ho capito con il tempo come fare i provini, come aspettare una parte, come non cadere nella disperazione se non scelgono te. E c’entra anche il tennis in questo...».

Il tennis? È una sportiva?

«Ho letto la biografia di Agassi ed è stato un fulmine: il tennis e quella storia ti insegnano che non puoi confrontarti davvero se non con te stesso. E che serve dedizione, allo sport come alla recitazione. Ma se quello dall’altra parte ha colpi migliori dei tuoi, devi accettarlo. E provare a giocare i tuoi. Ma il tennis mi servirà anche nelle prossime svolte».

Quali?

«Per ora mi si stanno presentando copioni e parti in cui l’esplorazione di me mi porta ad essere migliore: Blanca ormai è un pezzo di me ed è una ragazza consapevole, ironica, per studiarla ho conosciuto gente - da Bocelli ai non vedenti che avete ammirato sul palco a Sanremo - che mette da parte gli imbarazzi. Con la forza dell’ironia e la “pancia” che li guida. Che non hanno paura di dirsi, come fa sempre Bocelli per prenderti in giro, “non perdiamoci di vista”. Nel tennis invece sto scoprendo una parte noir del mio carattere: spero mi serva per una parte da cattiva».

Quando non si sente a suo agio?

«Da ragazzina. Non ero certo la più figa della classe, ero una mezza nerd. Una molto maschile che si nascondeva e non veniva filata: non bullizzata, ma ignorata.

E a me andava bene così. Ora mi piaccio. Magari mi capitasse di interpretare una femme fatale».

Maria Chiara, se lo lasci dire, lei sembra la ragazza della porta accanto.

«Appunto: ma i parametri della bellezza cambiano. Le fiction e i film stanno sdoganando tanta normalità. Non sono altissima, ma con i tacchi... Eppoi anche Marilyn Monroe non era alta. No, scusi, qui ho un po’ esagerato (ride, ndr)».

Come quando dice: vincerei volentieri anche un Oscar.

«La bravissima Kirsten Dunst dice sempre: non ne ho vinto uno, ma se me lo date non è che mi fa schifo. Eppoi mia mamma lo capisce bene l’Oscar. Un po’ meno la Coppa Volpi di Venezia o l’Orso d’oro di Berlino. E per me mamma conta tanto».

Un’infermiera dell’ospedale di Foggia.

«Una donna che ammiro, con una vita che mi ispira: in corsia a 18, sposata e quattro figli e ancora in corsia con la stessa dedizione. Una che ti dice: è una missione. Una che “è” un’infermiera, non “fa” l’infermiera. Un giorno andrà in pensione e io vorrei fare come lei. È stata dura saperla esposta nei giorni del lockdown: ho avuto paura per lei, tanta. La gente moriva, i suoi racconti mi spaventavano. Ma è andata bene».

La fiction e anche show come Sanremo stanno proponendo figure al femminile diverse. Come Blanca.

«Pensate alla Scalera della Tataranni: grande. Diciamo che ora è il momento di osare ancora un po’ con ruoli che escano dal recinto del crime: oltre alle pm, alle poliziotte o alle carabiniere una bella donna manager finanziaria. O donna di casa. Amori diversi. Gli effetti di questo li vedremo nel tempo».

A Sanremo è emersa la Giannetta ironica, addirittura cabarettista.

«L’ironia costa. Aiuta a non prendere di petto le cose, ma ad un certo punto le cose della vita meritano la serietà. Anche Blanca scherza con il suo handicap per non vivere da cieca, ma vivere e basta. Poi però la vita devi prenderla di petto. Comunque a Sanremo sapevo che poteva andare bene bene o male male. Non volevo giocare per lo 0-0: ho provato a vincere 5-0. È andata bene».

Ha fatto ridere l’Italia il duetto sulle canzoni con Maurizio Lastrico, compagno di set anche di Don Matteo.

«Noi ci divertiamo a rappare il copione sul set: il numero nasce lì. Poi 45 giorni di duro lavoro per farlo sembrare naturale... E il giorno dopo su Google tutti a chiedere se eravamo sposati e quanti figli abbiamo. Fa sorridere. Lui mi dice sempre: falli dire sui social. La verità è che io pugliese, lui genovese ci abbiamo messo un po’ a ingranare, ma è l’amico che vuoi dovendo affrontare dopo tanto un teatro pieno volevo. Lastrico il palco se lo mangia».

Cuore libero, invece, Maria Chiara?

«Se mi chiede con chi sto, rispondo: con il mio lavoro. Sogno di diventare una regista. Oggi non posso dare altro a nessuno».

La Ferilli scherzava sulle co-conduttrici chiamate tutte a fare monologhi sui “problemi”.

«Io credo che per parlare di un problema vero, devi averlo vissuto: io ho fatto parlare quelli che la cecità la vivono, come la mia amica Maria che per non essere più compatita ha preso un treno per Roma da Taranto senza l’aiuto di nessuno. Ecco, Drusilla ha portato a Sanremo un problema reale di cui poteva parlare con tanta leggerezza solo perché la discriminazione l’ha vissuta e superata. Con la forza della preparazione e della cultura». 

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