La stilista Erica Marigliani: «Libera il tuo talento di donna e sarai bellissima»

Docente e creativa: «Tre parole: comfort, libertà e consapevolezza di essere un’opera d’arte. Ognuna di noi possiede una luce interiore che va valorizzata»

Erica Marigliani
Erica Marigliani
di Paola Pastorini
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 26 Aprile 2023, 14:55 - Ultimo aggiornamento: 27 Aprile, 07:30

Stilista, docente di moda, consulente di immagine, creativa.

Tanti ruoli, una sola professionista, vulcanica e innovativa: Erica Marigliani. Cresciuta a San Felice Circeo, liceo classico e poi Polimoda a Firenze, Marigliani vive a Milano, dove dal 2019 firma la Collection Game. Definirla collezione è riduttivo. È un percorso che consente a ciascuna donna di ri-conoscersi e valorizzarsi. La stilista, con incontri a metà tra il fashion e la seduta psicologica, aiuta la cliente a far emergere esigenze, qualità, sogni. E a indossarli, traducendoli in abiti. Una bella lezione di empowerment femminile.

Erica Marigliani, come approda alla moda?

«La vocazione di stilista mi era chiara fin da bambina. La moda l’ho praticata sia lavorando per griffe come Pucci sia insegnando al Polimoda di Firenze e allo Iuad-Accademia della moda di Milano (dove ancora insegna, ndr), sia con consulenze d’immagine per celebrities e musicisti. Fondo il mio brand quando divento consapevole di voler applicare la mia professionalità e sensibilità per far emergere il talento e la propria luce a ogni donna».

Cos’è Collection Game?

«Un guardaroba sviluppato sull’autostima. La collezione è composta da sette pezzi “fondamentali”, costruiti in maniera ingegneristica. Capi semi sartoriali, che modifico e adatto in base al corpo di ciascuna. Accompagno agli abiti anche gioielli in maglia metallica».

Niente consigli di grandi trasformazioni, diete o altro?

«Non serve rimodellare il corpo, bisogna sapere come è fatto e come gestirlo; non è questione di come ti vesti, ma di come usi il tuo corpo. È la cosa più preziosa che tu abbia, lo devi valorizzare».

Nel mondo del lavoro resiste il cliché della donna in carriera?

«Sì. O sei diretta ma vieni spogliata della tua femminilità, oppure sei carina e sminuita».

Come si costruisce uno stile?

«Tirando fuori il talento che ciascuna ha innato».

Le donne riescono in questa operazione di scouting?

«Non sono abituate a comunicare cosa le fa sentire a proprio agio.

Le donne spendono grandi cifre per fidanzati, mariti, figli ma quando si tratta di parlare di sé e valorizzarsi vanno in crisi».

Come lavora con la sua cliente?

«Tre parole. La prima è comfort. La donna deve sentirsi felice e a proprio agio negli abiti. La seconda è libertà. La libertà di scelta, di narrazione. Terzo: la donna è un’opera d’arte di inestimabile valore. Non trasformo, tiro fuori quello che ha già. In genere la cliente pensa le manchi qualcosa. Al contrario, dentro sé possiede una bellezza e luce incredibili».

Cosa accade nella seduta?

«C’è un colloquio in cui mi racconta chi è, il suo carattere, cosa vuole raccontare di sé e cosa vuole che gli altri vedano di lei. La mia armocromia, ovvero lo studio dei colori di una persona, non è quella oggi “di moda” in Europa, importata dall’America. Mi baso sullo studi di artisti come Jose Albers, Sonia Delaunay e Goethe, il più grande di tutti. Assemblo questi elementi e ho come una sorta di “visione”, diciamo una intuizione, e propongo alla cliente abiti che esprimano il suo carattere».

Un esempio?

«Una manager mi chiese una giacca. Mi raccontò che tutta la sua carriera si era svolta nella stessa azienda e che ora i colleghi la rimproveravano di puntualizzare troppo. Le ho disegnato una giacca minimal, nera, con una decorazione in maglia metallica sulla spalla che mandava bagliori, effetto mostrina. Le dissi di indossarla e quando qualcuno le faceva rimostranze di non parlare, rimanendo solo ad ascoltare. Mi ha chiamata dicendomi “ma hai fatto una magia al vestito”? Si può parlare senza le parole: è tutto scritto sull’abito».

Lei come si definisce?

«Stilista filosofa (ride), mi definii così da bambina. Oggi, direttrice creativa. Le mie clienti mi prendono in giro. “Tu fai la direttrice creativa di moda ma sei la direttrice creativa della nostra vita”».

Tra le competenze, anche la armocromia con i fiori freschi.

«Sì, ho riflettuto che c’è contrasto fra la mia finalità di illuminare la donna e l’utilizzo di supporti inerti, quali le palette colore fatte di carta o di tessuto. Così ho creato una palette colore “viva” con bouquet di fiori freschi. L’ho sperimentata al Fuorisalone di Milano, in due sedi: al Castello Sforzesco e in un negozio di orchidee a Brera. Un’esperienza multisensoriale esaltante, che voglio ripetere».

Se non avesse fatto questo lavoro?

«Nel mio diario segreto da bambina scrissi: “Voglio fare la stilista; se non ci riesco, vorrei ritrarre i turisti sulla Senna a Parigi”».

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