Quanto costa essere donna, cresce la ribellione di giovani e mamme ai troppi sacrifici: «Non ce la facciamo»

Quanto costa essere donna, cresce la ribellione di giovani e mamme ai troppi sacrifici: «Non ce la facciamo»
di Maria Lombardi
6 Minuti di Lettura
Mercoledì 22 Giugno 2022, 14:47 - Ultimo aggiornamento: 23 Febbraio, 13:42

Ce la fai, vero? Sei una donna. Sai badare a un hamburger in padella, alla chat di scuola, ai colleghi in riunione e al problema di algebra.

Tutto insieme, come fossi un software. Multitasking, appunto, quella fregatura lì. Sei una mamma in carriera, ma al tempo stesso devota. Sei affidabile e instancabile, il sacrificio ti dona. Chi meglio di te? E allora pensaci tu, a tutto. Continua a pensarci tu, a correre per gli altri, con lo scatto della centometrista, la resistenza della maratoneta, l’equilibrio di una ballerina. Continua a fare e a organizzare, a trascinare il 70% del peso familiare, ad allungare le giornate come fossero elastici. Che ti costa? Solo centosettantacinque minuti di fatica quotidiana in più rispetto al “lui” che ti sta accanto (sul divano).

Ma come, non ce la fai? Non riesci a vivere tutte queste vite in uno stesso giorno? Beh, sì, forse abbiamo esagerato con le attese e le pretese. La verità è che no, chiedete troppo e non ce la facciamo più. «E nemmeno vogliamo farcela», le blogger Francesca Fiore e Sarah Malnerich (su Instagram @Mammadimerda) si fanno promotrici, con ironia, di un manifesto per le donne che non ci stanno: a sentirsi perennemente in colpa e farsi stritolare da un sistema che si basa sulle loro rinunce. «La nostra provocazione è un gesto politico, una rivendicazione. Le aspettative sociali sono enormi: lavora come se non avessi famiglia e prenditi cura della famiglia come se non avessi un lavoro. L’asticella è altissima e in queste condizioni nessuno ci può arrivare. Noi lo denunciamo con leggerezza, abbracciando la nostra inadeguatezza e smettendo di giudicarci». Non farcela come stile di vita, dal titolo del loro libro appena pubblicato da Feltrinelli. In copertina: una bici con le ruote quadrate e il manubrio al contrario. «Ci dicono: hai voluto la bici e adesso pedala. Ma con questa bici non si può pedalare. Significa rinunciare a se stesse o arrivare all’esaurimento nervoso. C’è poco da lamentarsi dell’inverno demografico». Qualunque cosa, non è mai abbastanza. «Basta poco per essere una pessima madre e pochissimo per essere un ottimo padre». Il peso della doppia presenza è quello lì: tre ore al giorno di fatiche casalinghe in più (per lei, ovvio), un’ora e mezza se si somma lavoro gratuito (polvere, pannolini eccetera) e retribuito. Magari con lui che dopo aver assistito alle acrobazie tra hamburger, chat e algebra, se ne esce: «Bastava chiedere!» (dal titolo libro della fumettista francese Emma). Cosa?, verrebbe da urlare.

I COSTI

E se il costo economico dei figli (640 euro al mese circa, secondo l’ultima relazione di Banca d’Italia) può essere condiviso, le scelte e le rinunce ancora no. Toccano a lei, la maternità continua ad essere affar suo. Lo conferma il 77% delle Millennial e delle giovani della Generazione Z intervistate da Freeda Media: la società, dicono, ci mette davanti a un bivio, carriera o famiglia. Incastrare tutto è roba da wonder woman o martiri, le figlie delle boomer si ribellano. Un bambino? Così come stanno le cose è «un ostacolo a carriera e guadagni» (per il 64% delle intervistate).

Gli aiuti non bastano, in casa e fuori: è ferma al 25% la quota dei bambini che vanno agli asili nido, la metà di Francia e Spagna.

NON RESTA CHE URLARE

«Le giovani non hanno visto grandi cambiamenti, percepiscono il contesto lavorativo come non paritario, e si sono quasi rassegnate al fatto che il figlio rappresenti un freno alla carriera». Paola Profeta, docente di Scienze delle Finanze alla Bocconi ed esperta di economia di genere, da tempo va ripetendo che servono «misure choc» per cambiare gli equilibri nelle famiglie. «Ci vuole la parità assoluta del congedo parentale, per mamme e padri, e non aumenti di qualche giorno. Ma finora non c’è stato alcun intervento choc. Così prevale il pessimismo, anche se rispetto alla generazione che considerava la cura come prerogativa femminile adesso il coinvolgimento maschile è visto come un valore positivo. Manca ancora però un vero cambiamento culturale se continuiamo a celebrare quelle poche che hanno ottenuto posti ai vertici anche avendo famiglia. Sono una minoranza, non possono essere un modello per le giovani. E invece dovrebbero essere la normalità».

La bilancia è sbilanciata e rischia di andare a pezzi. «Il peso è enorme, non tanto per la fatica fisica ma per quella mentale di reggere la contraddizione, incastrare gli stimoli opposti», Monica Letta, psicoterapeuta e docente di scuola di specializzazione dell’Aisfi, parla di inganno. «Le giovani mamme tra i 30 e i 40 anni sono cresciute con l’idea che avrebbero avuto tutto: lavoro, famiglia, vita sociale e tempo per se stesse. Invece si sono ritrovate sole e travolte, fanno le donne moderne impegnate nel lavoro e gli angeli del focolare. Il risultato è che nutrono una grandissima rabbia nei confronti del sistema per una promessa non mantenuta. In Italia culturalmente sono ancora le mamme a sacrificarsi. Fare tutto e dover pensare a tutto è una contraddizione logorante, al punto che vediamo l’aumento dei casi di depressione e del consumo d’alcol». Il carico mentale «frena carriera e parità», spiega in un libro la coach francese Marie-Laure Monneret. Tra rabbia, crisi di nervi e rinuncia, avanza però un nuovo modello: farcela insieme. Come suggerisce la stragrande maggioranza (82% della community di Freeda) che vede nel congedo parentale obbligatorio per i padri la via della conciliazione. «Il primo squilibrio è nella distribuzione dei giorni di congedo tra madri e padri: 5 mesi contro 10 giorni», e ai papà tutto questo non sta più bene, è convinto Andrea Scotti Calderini, ceo e co-founder di Freeda. «Le nuove generazioni di uomini vogliono occuparsi di più dei figli e condividere le responsabilità. E questo si può ottenere solo con una maggiore flessibilità su lavoro». Il dato più sorprendente della ricerca? «Lo studio nasce da un’idea di Silvia Sciorilli Borrelli che in un suo libro voleva indagare le ragioni del basso tasso di natalità in Italia. Il dato che più mi ha colpito è quel 42% di donne a cui è stato chiesto in colloqui di lavoro se avessero intenzione di fare figli. Questo è l’elemento culturale da sradicare: se vuoi diventare madre non puoi costruire una carriera. Al momento, la maternità è vista come un gradino rotto, uno svantaggio. Per cambiare servono politiche di welfare e una cultura aziendale moderna, basata sulla flessibilità, che offrano a uomini e donne strumenti per diventare genitori. Gli imprenditori si rendano conto che se continuano a considerare la maternità come un limite perdono competitività e allontanano tanti giovani talenti». E se il modo per farcela, si chiedono le due blogger, fosse questo? Ammettere (e urlare) che così non ce la possiamo fare.

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