Eventi a Rio e Roma: il Brasile festeggia il bicentenario dell'imperatrice Teresa Cristina, l'amata napoletana

Eventi a Rio e Roma: il Brasile festeggia il bicentenario dell'imperatrice Teresa Cristina, l'amata napoletana
di Francesco Padoa
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Mercoledì 23 Febbraio 2022, 12:25 - Ultimo aggiornamento: 6 Marzo, 00:00

La storiografia mondiale è in debito con lei. Descritta per oltre un secolo come una donna semplice, di bassa cultura, moglie fedele ma poco incisiva nella vita coniugale, dopo la sua morte è stata relegata nell’ombra, e solo negli ultimi decenni rivalutata. Ma l’opera di riabilitazione non è conclusa: ancora pochi conoscono Sua Eccellenza, Teresa Cristina di Borbone, moglie di Pietro II, ultimo imperatore del Brasile, sul trono per oltre cinquanta anni. Pochi sanno quale grande imperatrice è stata.

Un giornale francese dell’epoca, Le Gaulois, scrisse che «la storia parla poco di Teresa Cristina perché nulla di male ha fatto». Aniello Angelo Avelia, nel libro “L’imperatrice ai tropici”, ricco di testimonianze storiche, la descrive come «la principessa borbonica finita nell’affollato girone dell’oblio». C’è anche chi la definì l’imperatrice “invisibile”. Ed è per questo, per concludere il processo di ricostruzione di una figura fondamentale nella creazione dell’identità di una nazione e del suo popolo, in occasione del bicentenario della nascita (14 marzo 1822) l’ambasciata del Brasile in Italia, a piazza Navona, organizzerà una serie di eventi per celebrare Teresa Cristina e restituirle definitivamente la dignità storica che merita. In programma, tra gli altri appuntamenti, un’esposizione fotografica (dal 14 marzo al 22 aprile) e successivamente una mostra archeologica. Anche a Rio sono in calendario degli eventi, come la mostra nella sede del Parlamento Fluminese, con i reperti storici appartenuti all’imperatrice.

I SUOI MERITI

Lei, napoletana verace, aveva molte virtù. Fu benefattrice: finanziò la più antica società di assistenza medica e sociale del Sudamerica, e durante una terribile epidemia di colera, invece di rifugiarsi al riparo dal contagio, offrì supporto ai malati negli ospedali, portando loro cibo e abbigliamento, e conquistandosi così il soprannome di “madre dei brasiliani”;  fu amante della lirica e della musica in generale: oltre a non perdersi un solo concerto era anche una brava cantante e talvolta dalle finestre del palazzo imperiale a Rio de Janeiro si udiva la sua voce intonare i versi del Barbiere di Siviglia; fu appassionata d’arte: la sua collezione composta da circa 50mila opere tra pitture, sculture, libri, foto e reperti vari, donata dopo la sua morte da Pietro II ai musei della capitale carioca, è la più ricca del Sudamerica e patrimonio mondiale dell’Unesco; e fu anche archeologa: gli scavi di Veio, vicino Roma, vennero da lei finanziati nell’area etrusca di sua proprietà. Fu dunque imperatrice straordinaria.

Con il consorte, nel 1889, dopo il golpe che mise fine alla monarchia e diede vita alla repubblica, fu esiliata e morì in Portogallo, seguita nella tomba da Pietro due anni più tardi. Solo dopo il rimpatrio in Brasile delle loro spoglie ebbe inizio il lento processo di valorizzazione internazionale di quella donna tanto determinante e così presente nella società dell’epoca. Oggi non è più considerata moglie sottomessa e devota, riservata e senza personalità, consapevole della propria inferiorità; piuttosto è dipinta imperatrice di spessore culturale, autorevole, anche moglie passionale, che seppe brillare di luce propria illuminando suo marito, la sua famiglia, il suo regno e facendosi amare dal suo popolo. Tanto che ben sei città brasiliane hanno un nome che rappresenta un omaggio alla figura dell’imperatrice, Teresopolis su tutte.

Tutto cominciò con un quadro. Pietro II, che successe sul trono al padre Pietro I, inviò l’ex ministro degli Esteri, Benzo da Silva Lisboa, in Europa in cerca di una consorte di sangue blù, connubio che avrebbe rafforzato il suo prestigio politico in campo internazionale. E la meta fu inevitabilmente quella di casa Asburgo. Ma la trattativa fallì, per colpa di suo padre Pietro I, e dei maltrattamenti che questi aveva riservato alla prima moglie, Maria Leopoldina d’Asburgo: infatti il ricordo dell’infelicità vissuta dalla prima imperatrice brasiliana non convinse né Ferdinando IMetternich a concedere in sposa una discendente della dinastia austriaca. Ma gli Asburgo non risposero subito, temporeggiarono, e dopo quasi due anni d’attesa, su consiglio dell’ambasciatore delle Due Sicilie a Vienna, il delegato brasiliano cambiò obiettivo e puntò sulla famiglia dei Borbone che, senza pensarci troppo, sempre attenta alle alleanze strategiche oltreoceano, accettò di concedere la mano di Teresa Cristina, sorella più giovane di Ferdinando II, re delle Due Sicilie. La principessina, 21 anni allora (tre in più del futuro sposo) era figlia di Francesco I e di Maria Isabella, e discendente diretta in linea maschile di Re Sole, Luigi XIV di Francia, antenato illustre dal quale evidentemente aveva ereditato la sua passione per le arti.

Il consenso di Dom Pedro giunse dopo aver ricevuto il contratto di matrimonio e, soprattutto, un ritratto appositamente realizzato per fargli conoscere l’aspetto fisico della candidata consorte.

Ricevuto quell’olio su tela, l’imperatore trovò Teresa Cristina «Muito bela» e, come si legge nel suo diario, corse felice a farlo ammirare a fratelli e sorelle e alla corte intera. Le nozze furono celebrate per procura, a Napoli, il 30 maggio 1843, con Pietro II lontano dieci mila chilometri, dall’altra parte dell’emisfero, in ansiosa attesa di conoscere e abbracciare la sua sposa. Dovette però attendere il settembre successivo, quando la futura imperatrice, dopo una navigazione durata due mesi, arrivò accompagnata da una nutrita flotta composta da fregate, vascelli e corvette, sia brasiliane che borboniche, e accolta nella baia di Rio da salve di cannoni.

Festa grande. Non per Pietro, almeno inizialmente. Quando Teresa Cristina scese a terra nel porto di Rio, ad attenderla c’era quello sconosciuto, ormai suo marito. L’imperatore le baciò la mano, tremante, e non potè fare a meno di osservarla. Più tardi, nelle sue stanze del Palazzo, si lasciò andare a un pianto disperato sulle spalle del maggiordomo. «M’hanno ingannato», avrebbe singhiozzato Pietro, neppure diciottenne, deluso e sconsolato. Sì, quel quadro inviatogli per convincerlo a sposarla non era proprio una riproduzione fedele della principessa, in realtà sicuramente meno avvenente - e sembra anche claudicante - di quanto l’avessero raffigurata con i pennelli. Ma poi il matrimonio e il rapporto tra i due sarà sostanzialmente felice, anzi dai fitti diari di Teresa Cristina trapela la descrizione di un amore sincero.

In quelle terre lontane dove era approdata quasi per caso e che amò da subito come la sua Napoli (spesso nella sua vita rimarcò l’analogia tra l’essere napoletano e carioca, oltre alla similitudine scenografica tra la sua città natale e Rio, il Golfo Partenopeo come la Baia di Guanabara) l’imperatrice contribuì a diffondere l’immagine dell’Italia - seppur ancora non unita - come patria della cultura, creando un terreno fertile sul quale si sarebbe sviluppata la comunità italiana. Si impegnò personalmente per coltivare i rapporti economici e politici, sociali e culturali; creò nel cuore del Brasile una vera e propria “repubblica italiana delle arti”. Grazie a Teresa Cristina i flussi migratori furono alimentati e gestiti nel modo migliore gettando le basi per la formazione e il radicamento sociale di quella colonia, ancor oggi la più numerosa nel Paese sudamericano.

Osservava la realtà circostante con equilibrio e così conquistava la fiducia del marito, riuscendo infine a intervenire anche su delicate questioni di Stato. Insomma tutt’altro che remissiva e invisibile: dimostrò di essere una dominatrice, come la figlia Leopoldina scrisse in una lettera alla sua istitutrice, la contessa di Barral: «Anche papà deve sottostare a quello che vuole lei». Sicuramente fu decisiva nel forgiare il carattere e il regno di Pietro, più timido nel governare e più chiuso nella vita sociale.

LA CADUTA DELL’IMPERO

L’imperatrice fece promulgare leggi per migliorare le condizioni sanitarie e incentivare l’insegnamento, facilitando l’arrivo dall’Italia di ingegneri, medici, professori, farmacisti, musicisti, artisti e artigiani (soprattutto napoletani), che gradualmente contribuirono a elevare il livello sociale della popolazione. Come sostiene Julio Cezar Vanni nel suo “Italianos no Rio de Janeiro”, «L’unità d’Italia è cominciata in Brasile».

Nel corso del regno, Pietro e Teresa Cristina viaggiarono molto in Europa, e non solo: girarono veramente dalle Alpi alle Piramidi, e anche oltre, soffermandosi ovviamente a lungo in Italia. L’imperatrice non poteva dimenticare di salutare la sua Napoli, rimasta sempre nel suo cuore. Ci ritornò 28 anni dopo la partenza per il Brasile, e nel suo diario scrisse: «Che dolore rivedere la mia patria e non ritrovare le persone a me più care. E la casa della mia compianta madre distrutta da un incendio».

Nel 1876 arrivarono i primi segnali di malcontento che, tredici anni più tardi, porteranno alla caduta dell’impero. Nel 1880 Teresa Cristina scriveva così a sua figlia Isabel (gli altri tre figli della coppia imperiale erano morti giovanissimi): «Ho paura che alla prima contrarietà per la nuova tassa sui trasporti succedano cose brutte. Che Dio protegga tuo padre». Ma ormai il futuro era segnato. E la svolta storica che la stessa Isabel - reggente del regno durante l’ennesimo viaggio in Europa dei suoi – decretò nel 1888 sottoscrivendo la “Lei Aurea” che sanciva dopo secoli l’abolizione della schiavitù, non fece altro che accelerare il processo che portò alla caduta della monarchia: la lobby dei grandi latifondisti insorse non potendo più contare su manodopera a costo zero. Un anno dopo Teresa Cristina e Pietro furono spodestati e costretti all’esilio. Si chiedeva, l’imperatrice, nei giorni dell’addio al Brasile: «Perché mai ci trattano da criminali?». La fine del regno fu un colpo davvero mortale per Teresa Cristina (e anche per suo marito). Prima di spegnersi per sempre, in Portogallo, si racconta che pronunciò queste parole: «Non muoio di malattia, ma di tristezza».

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