Movimenti femminili mobilitati per il 'No' al referendum, sarebbe un passo indietro per le donne in Parlamento

Movimenti femminili mobilitati per il 'No' al referendum, sarebbe un passo indietro per le donne in Parlamento
di Franca Giansoldati
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Martedì 1 Settembre 2020, 09:43

Il mondo femminile che raggruppa una fitta rete di associazioni impegnate per  ridurre il gap di genere, si sta mobilitando schierandosi per il No al referendum sul taglio dei parlamentari, che prevede una riduzione dei seggi in entrambe le Camere, andando a modificare gli articoli 56,57 e 59 della Costituzione, facendo passare da 630 a 400 seggi alla Camera e da 315 seggi a 200 seggi al Senato. In questo referendum il mondo femminile intravede il rischio evidente di «distorsioni sulla rappresentanza territoriale». Praticamente una minore rappresentanza delle regioni più piccole e dei partiti minori che - avvertono - «concentrerà la scelta sui soli candidati uomini, come dimostrano i principali report nazionali e internazionali». Vale a dire che il referendum penalizzerà soprattutto le donne che siederanno in Parlamento.

In una specie di manifesto che sta avendo grande diffusione attraverso il tam tam sulle chat e sui social, rimbalzando da un cellulare all'altro, viene spiegato molto bene che la riforma costituzionale, in assenza di una contestuale riforma elettorale e dei partiti, resta un salto al buio tale da «compromette la rappresentanza parlamentare e il ruolo stesso del Parlamento».

Al manifesto hanno aderito deputate, magistrate, avvocate, docenti universitarie, storiche femministe, sindache, giornaliste, scrittrici, manager ma anche professioniste di aziende private piuttosto lontane dalla politica, a riprova che il movimento di donne che ha attivato il fronte del 'No' al referendum si sta rivelando piuttosto ampio, trasversale, bipartisan e soprattutto in crescita. Le prime firmatarie sono Antonella Anselmo, Fulvia Astolfi, Laura Onofri

Nel testo si legge. «Con il taglio dei parlamentari la selezione delle candidature da parte delle dirigenze dei partiti o degli stessi leader (già oggi fortemente guidata non sempre da criteri di competenza ma piuttosto da quelli di fedeltà) sarebbe ancor più determinata da considerazioni non valoriali»

Inoltre fa affiorare la posizione predominante di leadership maschile. «L’entrata in Parlamento è nominalmente aperta a tutti, ma di fatto risulta rigidamente controllata dai partiti. Questo dato mostra di avere un effetto relativamente negativo sulle chances di carriera politica delle donne. La misura prevista nella legge elettorale volta all’incremento della rappresentanza femminile non ha consentito il raggiungimento del 40% di donne elette».

Ruoli centrali negli organi parlamentari: «i dati tendono a confinare la rappresentanza femminile in aree settoriali e a ricostruire situazioni di marginalità all’interno del Parlamento: è significativo il fatto che le donne siano assenti in dicasteri importanti quali quelli economici e che siano prevalentemente presenti nelle commissioni parlamentari che trattano questioni tradizionalmente considerate come di pertinenza delle donne».

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