Coronavirus. Laura, danzatrice: «Io, in fuga da una Londra deserta con i miei sogni nella valigia»

Foto per gentile concessione dell'artista
Foto per gentile concessione dell'artista
di Lucilla Piccioni e Vanna Ugolini
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Domenica 29 Marzo 2020, 10:44 - Ultimo aggiornamento: 11:12

Un viaggio a tratti irreale, dominato dalla netta, inconsueta, sensazione del ritorno, del rientro a casa.  «Questo viaggio è stato diverso dai tanti che ho fatto per tornare da Londra, dove vivo da quattro anni, a Terni; tutte le volte che sono rientrata avevo già la data della partenza prenotata, ero ben consapevole che si trattava di un tempo preciso, stabilito. Stavolta invece stavo tornando a casa, non per lavorare o per vedere i miei parenti, il mio ragazzo, ma per un problema grosso e oltretutto non so quando potrò rientrare a Londra, quella che è ormai la mia seconda casa». Laura è una ballerina, fa danza contemporanea e a Londra aveva trovato chi credeva in lei e palchi in cui esibirsi. Aveva anche comiciato a sperimentare, facendo performance dal vivo, vicino ai luoghi simboli della capitale inglese che diventavano virali sul web.

Ora ha dovuto mettere i suoi costumi e i suoi sogni in una valigia e ripartire in fretta, per la preoccupazione che la situazione legata all'emergenza coronavirus precipiti. E con lei tanti altri italiani che erano andati a Londra per realizzare quello che l'Italia non affriva loro. «Mi sono sentita pure fortunata: io ho comunque la mia casa a Londra non l’ho lasciata, tanti altri italiani che sperano di tornare hanno dovuto ammassare le loro cose in magazzini perché non possono pagare l’affitto e hanno dovuto liberare stanze e appartamenti», aggiunge.

Laura parla di un viaggio surreale prima di rimettere piede in Italia:  ha attraversato strade deserte, per arrivare in aeroporto ha preso autobus e treni stranamente vuoti. «Quando sono arrivata a Paddington station sembrava di essere in un film horror, di solito quella è una stazione che brulica di gente a tutte le ore del giorno e della notte, ci sono negozi tantissimi locali in cui mangiare. Ed invece tutto chiuso, sentivo solo il rumore dei miei passi, inquietante. Dopo qualche minuto è comparsa all’orizzonte un’orientale che oltre alla mascherina indossava anche una tuta bianca e occhiali protettivi. L’atmosfera si è fatta ancor più irreale». E’ arrivato il treno sono salita io sola, tutto vuoto e non solo il mio scompartimento. All’aeroporto di Heathrow invece una gran calca di persone. Pochissimi non erano dotati di guanti e mascherina e tutti erano a due metri di distanza così come ripeteva in continuazione la voce proveniente dagli altoparlanti. Le persone stranamente disciplinate in fila e in silenzio.

Ecco altro elemento straniante: il silenzio. Davvero strano: tutti bardati e zitti. Qualcosa è cambiato quando siamo saliti in aereo forse perché si stava più vicini e perché molti hanno cominciato a compilare l’autocertificazione, che ci è stata consegnata dalle hostess, ed hanno chiesto consigli su cosa scrivere. L’emozione era forte per tutti, sono cominciate a fioccare domande le cui risposte erano ovvie, come ad esempio qui dove c’è scritto numero di telefono devo scrivere il mio; ma si aveva voglia di condividere». Stranamente disciplinati e ordinati i passeggeri dell’aereo anche all’arrivo a Fiumicino. In fila per i controlli. «Ho avvertito una condivisione della nostra situazione anche da parte dei poliziotti, una strana e mai notata solidarietà, mi viene in mente un termine che definisce bene la situazione: compassione nel senso antico di cum patior, condividere emozioni e sensazioni. Anche quando abbiamo chiesto chiarimenti per la compilazione dell’autocertificazione c’è stato un supporto umano, non solo una spiegazione». E adesso? «Ora devo stare isolata per quindici giorni, non avere contatti con persone anche con quelle con cui vivo, intanto mi alleno in casa, seguo lezioni on line, cerco di mantenere dei ritmi costanti. In attesa di tempi migliori per poter tornare a Londra».
 

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